(1082) Fiorire

Il significato (uno dei significati) da dizionario è: essere in un periodo di splendore. Bello vero?

Ognuno di noi a questo punto avrà ben chiaro i periodi di massimo splendore che ha vissuto. Possiamo tracciarne le linee e i punti, uno ad uno, con grande chiarezza perché periodi come quelli non solo sono rari, ma sono di per sé indimenticabili. Ci sentiamo bene, tutto gira alla grande e non ci potrebbe fermare nessuno. La durata è ininfluente, la memoria non ne sarà toccata.

Dovremmo fiorire almeno una volta l’anno, certi fiori lo fanno più volte e in ogni stagione. Se non ci impegniamo affinché succeda, temo, l’evento potrebbe verificarsi una volta ogni vent’anni (se va bene). Eh.

Se penso all’ultima volta che mi sono sentita in un periodo di splendore devo tornare talmente indietro nel tempo da dubitare di essere stata io quella là. Una tristezza impressionante.

Eppure le persone che lo stanno vivendo quel periodo ti fanno voltare mentre le incroci per strada, a bocca aperta per l’ammirazione. E se ne rendono conto perché in quel momento la consapevolezza della propria forza è cristallina. Forse è per questo che ti permetti di fare cose che i più possono soltanto desiderare.

Mi domando però come si materializzi questa condizione benedetta. Non ricordo le mie precedenti esperienze come si sono preparate, se avessi fatto qualcosa per aiutarle a palesarsi o se fosse tutto riposto nelle mani delle stelle in congiunzione astrale perfetta. Non ricordo. Ricordassi potrei correre ai ripari e lavorare per ripristinare la situazione. Ma non ricordo.

Forse la tristezza non aiuta.

Eh. La vedo dura.

Davvero.

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(1003) Alba

Ci sono mattine difficili e altre meno. In quelle difficili, piuttosto che alzarmi dal letto mi taglierei i capelli (e ho detto tutto). Nelle mattine positive dopo la doccia inizio a ragionare e a reagire al mondo con una certa presenza. Non dico rapidità (quella arriva dopo qualche ora), ma una certa presenza sì.

Dopo questa premessa passo al nocciolo della questione di cui oggi vorrei parlare: ci sono mattine come questa dove mi sembra di stare vivendo la mia prima alba. Non so se basta ‘sta frase a rendere l’idea, ma forse non so dirla molto meglio di così.

Ne ho vissute parecchie di albe, e alcune di loro sono state accompagnate da una sensazione di inizio-nuovo, come se non fosse mai stato visto prima. Poi la giornata va come deve andare, magari uguale al giorno prima (le mie no, mai uguali a sé stesse), ma non è quello l’importante. Quello su cui vorrei soffermarmi è la sensazione del essere-nuova-per-davvero. In che modo? E chi lo sa? In qualche modo. Punto. 

E se fosse soltanto questo a contare, dopotutto? Una sensazione che può non avere né capo né coda, ma che ti avvolge e ti conduce chissà dove… Basterebbe forse per lasciare la porta aperta a qualche possibilità di cui non ci siamo mai accorti? Non lo so. Non ci ho mai fatto caso. Non ho mai valutato a posteriori se quella sensazione mi avesse poi portato realmente a posizionarmi in un nuovo assetto. Ma potrebbe essere proprio così.

Ho nella testa ben impresse una decina di albe-nuove che in quel-qualche-modo mi hanno poi determinato piccoli e importanti cambiamenti. Ma sospetto di averne dimenticate altre perché troppo distratta o troppo “chiusa” rispetto al mondo e anche alla vita. 

Forse devono restare in memoria solo quelle che hanno fatto la differenza, le altre è giusto lasciarle andare. O forse è solo una cosa che mi dico per non sentirmi in colpa per averle lasciate andare senza neppure un grazie.

Stamattina l’ho fatto. L’ho ringraziata. 

Spero valga per tutte le altre che mi hanno portato del bene e che ho dimenticato.

Spero di essere meno distratta e meno chiusa, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Con me non si sa mai. 

Eh.

 

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(859) Excursus

Ieri sera ci sono cascata. Ho aperto il bauletto delle foto d’epoca. Quello che raccoglie la me bambina, la me adolescente, la me giovane donna fino a qualche anno fa (poi è arrivata la fotografia digitale e non ne ho stampate più). All’inizio l’ho fatto per uno scopo, me ne serviva una in particolare, non sapevo dove fosse finita e immaginavo fosse lì dentro. Immaginavo bene. Solo che lì dentro c’era anche il resto della mia vita, che mi ha inchiodata, e ho finito per sfogliare ogni album che avevo riposto in archivio. Maledizione.

Mentre guardavo ricordavo. Cercavo soprattutto di ricordare come stavo, come mi sentivo quando quella foto fu scattata. Solitamente stavo bene. Sollievo (ricordo sempre i momenti in cui sono stata male, ho questa perversa deviazione della memoria che alimenta la mia latente autocommiserazione). Ripeto: stavo bene.

Me ne sono andata a letto con una sensazione strana, ma l’ho messa da parte, non avevo voglia delle mie solite menate.

Stamattina senza accorgermene ho ricominciato a pensarci e mi sono scoperta – con sorpresa, lo ammetto – contenta. Ho iniziato a pensare a tutte le cose che ho fatto, a tutte le persone che ho vissuto, a tutti i posti che ho visto e le situazioni che ne sono scaturite. Diamine, ne ho fatte di cose! Ecco, mentre le facevo non è che era tutta una gioia, ma ero presente con tutta me stessa e quelle cose – al di là delle foto – sono rimaste attaccate al mio DNA, supportandolo quando i gap tradivano le aspettative. 

Andando oltre la voglia di tornare ai miei diciotto anni, che festa spettacolare!, e alle persone che mi mancano (ma indietro non si torna), non posso che guardare a quanto è stato come a un’avventura bellissima. Davvero. Non dico che rifarei tutto perché certe stronzate se le evitavo era anche meglio, ma ormai che le ho fatte è bene che rimangano lì e che di tanto in tanto le ricordi.

“Quant’eri folle, Babsie?”, un bel po’.

“Quanto lo sei ancora?”, bhé, guarda, sotto sotto… anche di più.

Ma questa è materia per un altro post, molto probabilmente. Forse.

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(819) Cancellare

Non si cancellano certi gesti, certe parole, certi pensieri. Non si cancellano certi pregiudizi, certe presunzioni, certi convincimenti. Non si cancellano certe scelte. Non si cancellano certi errori. Non si cancellano certi dolori. Non si cancellano certe mancanze, certe ferite, certe oscillazioni. Non si possono cancellare. Semplicemente.

Allora starci attenti, prima, non sarebbe una pratica inutile, ci salverebbe da parecchie sciagure, da parecchie seccature, da parecchie paranoie. Ma noi ci pensiamo? No.

Possiamo cancellare una persona dalla nostra vita, certo. Ma dal nostro cuore? Possiamo cancellare un fatto dalla nostra memoria. Ma dal libro delle conseguenze? Possiamo cancellare un giorno dal calendario. Ma dal nostro ricordo?

Le tracce si ripercuotono all’infinito, anche se ce ne dimentichiamo. Ci sono riverberi che sfuggono al controllo, si riflettono in specchi frantumati da attimi di rabbia o d’acuta goffaggine. Non siamo sempre capaci di tenere le briglie salde della nostra emotività. Magari fosse così.

Resta il fatto che abbiamo una gomma in mano per cancellare qualcosa o qualcuno, ora, proprio adesso. Cosa o chi cancelleremmo? Ok, se non ci è possibile farlo, ci è possibile non replicare l’errore, la scelta, l’azione. Basta focalizzarci su questo e cambiare la dinamica della nostra esistenza. Si lavora su quello che c’è e che non vogliamo più per cancellare quello che si sta preparando per noi nell’universo e che vorremmo evitare. Tentar non nuoce. Bando alla pigrizia!

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(809) Spensieratezza

Quando è stata l’ultima volta che ho fatto qualcosa in spensieratezza? Sarà stato nei primi anni ottanta, immagino. Un giro in bici, forse. Che ne so. Non ricordo. Non è terrificante? Non ricordare cosa si prova facendo qualcosa in spensieratezza è terrificante. Sotto ogni aspetto.

Ne faccio mille al giorno di cose mentre sono distratta da un pensiero o l’altro, non è questo il significato che voglio dare a spensieratezza, mi riferisco piuttosto al fare qualcosa con leggerezza, con gioia pura. Ebbene… ho la sensazione di aver perso un potere magico che mai più riavrò. Peggio del mantello dell’invisibilità che mai è stato mio, tra l’altro. Peggio.

Come diavolo è potuto succedere? Non è una cosa che puoi fingere, mica funziona se fingi. Non è qualcosa che riproduci a memoria, contando pure che non ne ho proprio memoria sarebbe ben difficile. Non è qualcosa che t’inventi nuovamente, che anche se non è la stessa precisa sensazione almeno ci assomiglia. No. No. No!

Devo proprio rassegnarmi, devo mettermela via, devo far finta che ne ho avuta tanta di spensieratezza in tenera età da aver dato fondo a tutta la scorta e ora non posso che continuare a esistere senza. Già il pensiero è deprimente, figuriamoci la consapevolezza che sia davvero così.

E se l’avessi soltanto messa da parte, dimenticata in un angolo e lei è ancora lì che mi aspetta? E se ci fosse una fonte magica da cui attingerla e io non dovessi far altro che trovarla? E se me ne fossi messa da parte un po’ per i tempi bui e mi comparisse davanti appena il buio arriverà? Eh. E se. Sarebbe bello, ma mi faccio poche illusioni al riguardo.

Se solo ricordassi l’ultima cosa spensierata che ho fatto nella vita, forse il ricordo mi basterebbe a colmarne la mancanza. Sarebbe bello. Eh.

 

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(802) Data

Lo diamo per scontato, pensiamo che sia facile, invece fissare una data non è mai facile. Mai. Né fissarla in calendario né nella memoria, a meno che non sia segnata prima nella tua carne perché importante per te. Così importante da non potertela dimenticare.

Odiavo studiare storia per la sfilza senza senso di date da imparare a memoria, battaglie e conquiste e sconfitte, ognuna di loro sembrava fondamentale e poi scoprivi che era solo una delle tante e che di lei nessuno se ne faceva più nulla. Andiamo per balzi, fatemene memorizzare un paio per secolo e vedrete che saprò fissarne una ventina senza troppi scompensi neuronali, tranquilli prof. Niente da fare. Insensato.

Le date si fissano e per qualche motivo slittano, come se la superficie su cui le punti fosse cosparsa d’olio. Più ti fissi nel fissarle e più sfuggono al controllo, manco avessero un proprio volere da imporre. Vincono sempre loro, comunque.

La data mi è vitale per tenere conto dei giorni che mi stanno triturando, faccio fatica al mattino a ricordare che giorno è quello che sto per affrontare e vivere, come se nella mia testa ci fosse un giorno ininterrotto dove il presente è un ripetersi di un qualche passato e il futuro sia soltanto un breve passaggio da qui a lì. Boh.

E i lunedì sono come i venerdì, ma più pigri anche se meno stanchi. I martedì hanno poco peso perà sommati al peso dei mercoledì e del giovedì fan venire il mal di schiena. Ecco, la data è un ancoraggio che a volte vorrei togliere per provare a non avere ieri e neppure oggi e figuriamoci domani, avere solo l’adesso e vedere come va. Come potrebbe funzionare?

Forse non funzionerebbe, forse ogni mia data è la ragione per cui ancora sto qui. E scrivo.

Boh.

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(794) Segnalibro

Ormai uso i post-it, perché nei libro che leggo solitamente ci sono sempre mille passaggi che devo ricordare e che vorrei ricordare – anche se raramente ne ricordo più di una manciata (per evidenti limiti neuronali). Mi piace sottolineare le righe che dovrei memorizzare, se lo faccio ci sono più probabilità che mi si imprimano in testa e comunque so che se lo riprenderò in mano dopo qualche tempo basterà seguire i post-it e le sottolineature e ricomporrò velocemente tutto il resto. 

Faccio lo stesso anche con gli eventi che si introducono nella mia vita, alcuni li sottolineo dentro di me con forza perché non voglio farmeli scappare. Ad altri ci metto il post-it perché vorrei far presente a me stessa che non serve replicare l’esperienza, già l’ho fatta e già m’è servita. Tanto basta.

Mi sono accorta, però, che ne ho troppi di post-it sparsi tra i giorni attraversati e ormai le pagine si sono gonfiate e sembra tutto troppo. Troppo da ricordare, troppo da accettare così com’è, troppo da sopportare. Sto pensando di alleggerirmi il carico e toglierne alcuni. Soltanto alcuni. Magari quelli che hanno colori sbiaditi e che coinvolgono persone ormai lontane. Inizierò da questi e vediamo che effetto che fa.

Sono incerta se dare loro l’addio o semplicemente toglierli facendo finta di niente. Non so se poi rimpiangerò il momento del distacco, perché troppo frettoloso e poco celebrativo. Non lo so. Per alcuni penso di aver dato più che abbastanza, per altri meno, ma in fin dei conti non è che posso pretendere di essere sempre equa e giusta. Posso pure perdonarmi qualche mancanza, no?

Il segnalibro oggi lo posizione tra le parole “mancanza” e “perdono”. Credo sia un buon inizio e, tutto sommato, una fine onorevole. Sì, onorevole.

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(731) Funghi

Il mondo dei funghi viene stimato essere popolato da oltre 3.000.000 di specie diverse. Impressionante vero? L’altra cosa impressionante è che soltanto digitando su google la parola “funghi” si aprirà una pagina con almeno altrettanti link a siti/blog/ecc. che si occupano appunto di funghi. Un universo fungino di cui si ignora l’esistenza se non ci si mette d’impegno a indagare. E lo si indaga se proviamo interesse o meno per l’argomento. Così per i funghi, così per tutto.

Per tutto. Proprio tutto tutto tutto tutto.

Persino gli spilli hanno il loro universo spillifero che contiene milioni di informazioni per lo più ignorate dai comuni mortali. Un vero peccato perché chissà quante cose ci potrebbero insegnare gli spilli – ora che ci penso me lo segno e vado ad approfondire la questione più tardi.

Questa banale riflessione parte da un dato di fatto: tutto ciò che non conosciamo non è che non esiste. Esiste, solo che noi non ne sappiamo nulla. Non ci passa neppure per la testa che ci potrebbero essere universi paralleli e perpendicolari a noi sconosciuti che varrebbe la pena conoscere. Pensiamo che tutto quello che stiamo vivendo sia tutto quello che c’è. Ci piacerebbe fosse così e ce la raccontiamo per non farci prendere da un coccolone. Se capita che esce fuori qualcosa che prima per noi non c’era ci sorprendiamo. Quasi ci scandalizziamo (come osa?!?). Siamo per lo meno infastiditi, ma non dalla nostra esplicita ignoranza – sia mai – bensì dal fatto stesso che quella cosa c’è e in qualche modo bisogna farci i conti. Ora che ci è comparsa dinnanzi dobbiamo decidere se negarla, se continuare a ignorarla, se indagarla e/o se farne la nostra ragione d’essere da qui alla fine dei nostri giorni. Un bel dilemma.

Credo che – considerato tutto – dovremmo pretendere il giusto da noi stessi e partire con un minimo di discernimento, per esempio: a meno che l’universo degli spilli non diventi indispensabile per la mia vita e/o per la vita di chi mi sta attorno è pur plausibile che io non lo conosca fin nelle viscere. Un’infarinatura generale può essere sufficiente. Però, se a un tratto questo spilloso universo diventasse vitale sarebbe mio dovere impararmelo a memoria per trovare il modo di salvare il mondo. 

Ecco, più o meno questo criterio dovrebbe domare il caos in cui siamo immersi. Ci metterei una bella chiusa, ora, tanto per gradire: se non sai di cosa stai parlando stai zitto. Se non sai di cosa si sta parlando stai zitto e ascolta. Se non sai di cosa stanno parlando, stai zitto, ascolta, fatti un’idea, studia una soluzione e poi con educazione parla e condividi. E chi non fa così è un troglodita. Amen.

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(696) Palindromo

Il numero 696 di questo ***Giorno Così*** rimane invariato anche se letto al contrario. Detto l’ovvio, stavo riflettendo su come io sia solita leggermi correndo all’indietro (nel tempo e nello spazio) per cercare di capirmi meglio. Questa pratica se da un lato m’ha dato più di una soddisfazione, ora sta perdendo la sua carica positiva. In poche parole: mi annoio.

Conosco i passaggi a memoria, mi sembra tutto banale e privo di significato.

Dovrò cambiare tattica. Anziché all’indietro potrei leggermi di traverso. Questa interessante intuizione comporta parecchi problemi d’equilibrio, sono ancora titubante sul da farsi, non vorrei amplificare certe mie deviazioni sinaptiche e non ritrovarmi più – magari pensandomi Marilyn Monroe (mica si possono prevedere le conseguenze di una autoletturatrasversale, eh!).

Un po’ mi dispiace, perché davvero la mia vita letta dall’anno 1972 al 2018 e dal 2018 al 1972 non cambia di una virgola e in questa perfezione di forma mi crogiolo da un bel po’. Certo, non ho un’esistenza da immortalare in un’autobiografia capace di scalare le classifiche di vendita di tutto il mondo, ma conosco persone che hanno avuto possibilità ben più ricche delle mie e quando raccontano di se stessi ti vien voglia di buttarli al macero per quanto siano riusciti a non capire una benemerita mazza riguardo la vita. Le mie persone preferite, invece, sono quelle che hanno capito tanto e senza bisogno di molto e te lo porgono come fosse un dono da niente, con umiltà. Vabbé, ora sto uscendo dal seminato però, ripigliamoci.

Diamo per scontato che cambiando punto di vista, cambiando prospettiva, potrei trovare angoli interessanti del mio vissuto di cui ancora non mi sono presa carico, varrebbe la pena tentare, ma dal basso ci sono già passata, dall’alto ormai è un’abitudine, all’indietro è cosa nota, in avanti è decisamente pericoloso – considerato che il mezzo del cammin di mia vita è stato superato da un po’ e l’idea di aver così pochi anni ancora da vivere non mi mette di buon umore – non mi resta che prenderla in trasversale – come dicevo qualche riga fa. Non so ancora cosa significhi nel concreto, ma mi sono ripromessa di pensarci in questi prossimi giorni per vedere se riesco a venirne a capo.

Non so di tutto questo a voi cosa possa interessare, voi che gentilmente e pazientemente mi state leggendo, ma spero che qualcosa di utile in tutte queste cialtronate voi possiate trovare e magari usare meglio di come sto facendo io.

In ogni caso: grazie.

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(597) Triciclo

Mi sono resa conto che ritornare al triciclo è un sacrificio che mi sta troppo stretto. Non lo so, forse perché siamo nati per soffrire e la vita è comunque una merdaviglia e siamo tutti masochisti e via di questo passo. Che ne so il perché. Non è che ogni volta che mi passa un pensiero per la testa, prima di scriverlo qui, io faccia grandi approfondimenti. Lo scrivo e mentre lo vedo scritto, spesso, mi rendo conto che c’è bisogno di fare un passo oltre il confine del non-ritorno. Così, tanto per rassicurarmi di non essere totalmente pazza, anche se dentro di me il dubbio è forte.

Non sempre riesco a rassicurarmi. Ovvio.

Vediamo, quindi, di capirci qualcosa: stavo andando in bicicletta da un po’, due ruote, e viaggiavo libera e felice-a-fasi-alterne (a seconda del terreno che incontravo, specifico che io sono donna-di-pianura-friulana) e devo dire che malgrado tutto me la stavo cavando discretamente. Certo, avrei dovuto accelerare per passare a un livello superiore e molto probabilmente in un periodo di sfinimento ho dubitato di me più del solito e questo mi è stato fatale. Quindi cos’ho fatto? Ho parcheggiato la bici e ho trasferito il mio deretano su un triciclo. Meglio per quanto riguarda l’equilibrio, ma non è che sia meglio in toto. I casi sono due: o soffro di labirintite oppure la libertà perduta mi sta giocando brutti scherzi.

In un caso o nell’altro sto soffrendo. Ma soffrendo perché? 

Non lo so. Davvero. Davanti a me le possibilità si aprono come quando sei proiettata dentro le maglie di Matrix, da perderci la testa. La prima naturale riflessione è: incredibile quanto la sofferenza sia sfaccettata! Quando sei felice non è che stai lì a misurare quanto e come, sei felice e basta. Per la sofferenza le cose non sono mai così semplici. Niente è come sembra, pillola rossa o pillola blu? Porca miseria, Morpheo, che domanda è? Se le smagliature nella tua realtà fittizia stanno andando in malora non è che puoi far finta di niente. O ti butti o vieni buttato fuori.

Chiudi gli occhi e passa tutto?

Vabbé, divagare non mi aiuterà a risolvere la questione, devo capire perché il triciclo che a due anni era la mia massima idea di libertà, ora è diventato un mezzuccio di poco conto. La bici mi faceva dannare, porco diavolo! Non me lo ricordo più? Cosa è successo alla mia memoria? Cosa mi è successo? Cosa? C?

Ora mi sparo tutti e tre i Matrix di seguito, la risposta è lì dentro, ne sono certa.

Caricamento.

 

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(590) Insostituibile

Uno vale l’altro, dicono, ma non è mai stato così per me. Le persone le ho sempre guardate come pezzi unici, non rimpiazzabili. Insostituibili.

Per questo motivo ogni volta che ho perso una persona a cui ero affezionata non me lo sono perdonato. L’ho sempre vissuta come una sottrazione di valore nella mia vita, va da sé che non ho mai sostituito nessuna di loro.

In questo modo ho lasciato che continuassero a occupare uno spazio dentro di me, anche quando non se lo meritavano, anche quando avrei dovuto cancellare ogni traccia di memoria legata a loro buttandoci sopra dell’acido muriatico. Suppongo sia la conseguenza della mia incapacità di dire addio. O della mia incapacità di ammettere che sono stata sostituita e cancellata dalla loro memoria – con strabiliante facilità. Comunque c’è qualcosa che non funziona in questo mio ragionamento, me ne rendo conto.

Sono, però, contenta, nonostante gli anni e tutto quello che ho attraversato, di non aver perso per strada la mia indole naïve. Guardo ancora ogni Essere Vivente come parte insostituibile dell’Universo, non come bulloni da cambiare perché han perso di tenuta. Puoi sostituire un pezzo difettoso, un prodotto avariato, un tacco rotto delle tue scarpe preferite, ma non puoi pensare di replicare quel meccanismo delicato-affascinante-incasinato che ci portiamo addosso come se le differenze fossero cosa di poco conto.

In certi momenti mi domando: “Precisamente quanti terabyte potrà contenere la mia ram?” e la risposta che riesco a immaginarmi mi spaventa. Finirà – come niente – che il mio cuore si spaccherà in micro pezzi impossibili da riattaccare. Già, e che ne sarà del resto di me? Sostituire un cuore costa una fortuna, qualcun altro deve essere costretto a rinunciarci.

Insostituibile significa per me: senza prezzo, senza eguali, senza sconti, senza riserve. Sì, anche senza rimpianti. Chi se ne è andato dovrebbe portarseli con sé, un bagaglio dovuto, se non altro per decoro o per buongusto. Ah, già dicono che son cose d’altri tempi, ma non è mai stato così per me.

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(586) Introspezione

Tutto sommato, questo mio diario è sotto ogni aspetto una potente autoterapia. In primo luogo mi permette di rendere evidente i miei spaventosi loop mentali – cosa da non sottovalutare (per la serie: focalizza il problema e trova una soluzione). In secondo luogo mi impone un limite nella lamentela, così tanto per mantenere un certo decoro – importante per non cadere nell’eccessivamente ridicolo. In terzo luogo mi esplicita con una certa enfasi il livello di insofferenza a cui sono arrivata – che è spaventoso, lo ammetto.

Non ricordo di certo tutto quello che ho scritto in questi mesi, figuriamoci!, e non ho alcuna intenzione di rileggere tutto quello che ho scritto in questi mesi, perlamordelcielo!, ma da quel che mi ricordo penso di aver toccato sì e no una decina di temi importanti, il resto è ripetizione.

Ripetizione = Loop

Se ognuno di noi si guardasse dentro per benino, scoprirebbe che gira sempre sulle stesse tracce. Metti che siamo dei 33 giri, i cari LP tanto per intenderci: abbiamo a disposizione 10 tracce che vanno a comporre la nostra identità e la nostra storia. Ok, il pick up – benedetto lui! – una volta partito arriva alla fine della nostra decima traccia e si alza, ritorna alla prima traccia e ricomincia a farla suonare e via fino alla decima. Così, finché abbiamo giorni a disposizione.

Voglio dire: anche il più tonto di noi all’ennesimo giro di pick up si saprà a memoria, no? Lo facciamo con i dischi dei nostri musicisti preferiti, figuriamoci se non lo possiamo fare con noi  (di saperci a memoria, intendo). Inutile far finta di niente, inutile trovarsi sorpresi. Inutile e falso. Davvero. Sappiamo benissimo che dopo quel passaggio arriva il ritornello e poi il bridge e poi il finale, lo sappiamo. Sappiamo che giriamo in loop e facciamo e diciamo e pensiamo sempre le stesse dieci fottute cose, forse con piccole varianti se siamo abbastanza intelligenti, ma non è mica detto. Lo sappiamo. Fingiamo di no, ma lo sappiamo.

Allora io mi domando: perché fingere? Perché raccontarsela diversamente? Bé, è presto detto: o siamo codardi o siamo superficiali o siamo scemi. Semplice.

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(534) Moleskine

Oltre una cinquantina, chissà quante mila-pagine ho scritto in questi ultimi vent’anni. Chissà. Sono la mia memoria, per quando memoria non avrò più. Me l’immagino così la fine della mia vecchiaia: a leggere le pagine della mia vita a ritroso, finché mi cadranno gli occhi e mi si spegnerà il cuore.

La penna a volte corre, altre è trascinata con stanchezza. A volte la calligrafia è impeccabile, altre illeggibile. A volte i caratteri sono grandi e urlati, altre sono piccoli e deboli – come se volessero scomparire. A volte la punta della penna è grossa, altre sottile. L’inchiostro, però, è sempre nero. Il viola lo uso con parsimonia, quando sono felice, nei titoli.

Ne ho provate diverse: con la copertina morbida o rigida, a righe o a quadretti o con pagine bianche (le mie preferite), dimensione mini o classic o extra-large. La mia preferita è la Classic, copertina nera rigida, pagine bianche o a righe. Bianche per la libertà, a righe per l’equilibrio che spesso manca nella mia penna e nei miei pensieri.

A volte ho provato altri quaderni, ma non è lo stesso – chissà perché. Ritorno sempre a lei perché è come se mi conoscesse meglio, come se a nuova Moleskine non ci fosse bisogno di fare le presentazioni. Soltanto un “rieccomi qua”, poi sguardo sulla pagina e penna a tracciare linee d’inchiostro simili ai pensieri. Niente di più e niente di meno.

Moleskine dopo Moleskine la mia vita si compie. Strano, ma vero. Più reale delle ore che scappano via e di tutto questo via-vai che non trova pace e – temo – non trovi neppure un senso che sia stabile e che sia sicuro rifugio.

Mah.

 

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(511) Jeans

Quelli dei miei dieci anni, che me li toglievo solo se dovevo mettermi la tuta da ginnastica, erano i preferiti su tutto.

Quelli dei miei sedici anni, sfilacciati e vissuti, da blu a neri perché il rock lo imponeva e guai a chi me li toccava.

Quelli dei miei vent’anni, che ormai manco ci pensavo di poter indossare anche altri pantaloni, quali altri pantaloni? Ma va là!

E poi i trenta e i quaranta… e poi…

Mi sono accorta oggi che sono anni che non porto più i jeans, anni! Non so neppure quanti, ma molti, davvero molti. Troppi!

E da lì m’è partito l’embolo e ho cominciato a farmi una lista di tutte le cose che da anni non uso più, cose a cui non penso più, cose che non ricordo più, e la lista si è allungata. Ma niente di tutto quello che ho scritto in quel foglio mi manca così come i jeans. Mi sconvolge il fatto che io abbia potuto metterli da parte e cancellare quest’infamia dal mio conscio per tutto questo tempo.

Che sia per questo che non mi ritrovo più? Che sia per le cose che amavo e che ho archiviato cancellandone ogni traccia? Trovo che sia una cosa spaventosa, davvero. Come mi sentirei a indossare di nuovo un paio di jeans? Non lo so, non lo so soprattutto perché nel mio armadio non ce n’è neppure un paio…

Miseria!

La lista non la butto ancora, la tengo qui a portata di mano, non si sa mai che un giorno o l’altro mi venga l’idea di recuperare pezzi di me che ho fatto finire in fondo alla cantina della memoria. Sì, lo so che si cresce e che si invecchia, ma c’è un limite a tutto, santiddddio!

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(319) Eredità

Negli ultimi anni ho consolidato il mio credo: la vita acquista un senso rispetto alla morte solo guardandola in prospettiva, considerando quello che lascerai a chi rimane. Tutto si riduce a questo. Mentre vivi lasci traccia di te, se le tue impronte – lievi o marcate che siano – si fanno seguire volentieri… allora quello che hai vissuto non sarà stato vano. Quello che di te rimarrà sarà buono.

Negli anni le persone che ho perso le ho fatte comunque rimanere con me attraverso i ricordi che ho conservato di loro. Con alcune è stato semplice perché mi hanno lasciato tante cose belle, con altre è sempre difficile riuscire a tenerle strette perché i ricordi che mi legano a loro sono spesso duri come roccia.

Mi arrabbio con loro ancora: perché non vi siete curati di quel che avreste lasciato a chi vi stava attorno? Perché non avete considerato i legami emotivi e le ferite? Perché avete reso così arduo tenervi stretti e farvi ricordare con un sorriso?

Non pensavano fosse importante. Io credo lo sia. Anzi: credo sia l’unica cosa veramente importante. Amare e farsi amare. Nient’altro conta, in questa vita e in qualsiasi altra si andrà a finire (oppure no).

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