(954) Sorso

Un sorso per volta ci si può bere tutto. Ti fai l’abitudine e impari a fare finta di niente. Il primo sorso può essere un bel trauma, ma al secondo sai cosa aspettarti e al terzo entri nell’ottica: ok, così è, vediamo di farci i conti e andare avanti.

Sorso dopo sorso ti convinci che non può essere che così.

Non è vero, è solo una delle scelte, forse quella che ti comporta meno sbattimento. Quelle coraggiose ti impongono un certo rigore e anche se al berti veleno a sorsate preferiresti ubriacarti di libertà, ti adegui.

Scolarsi un’intera esistenza senza soffermarsi a sentirne il sapore per raccontarsi che la vita è sofferenza e fatica, è ridicolo. Una brutta storia, semplicemente una brutta storia. Perché una storia bella, una che funziona davvero, è quella che ha alti e bassi, che ha gioia e sofferenza mescolate insieme, che ha momenti di tensione e altri di pace, che prevede incontri e scontri, salti e rincorse e stop. È ricerca dell’armonia e frustrazione del fallimento, è ballare contro vento e veleggiare nella tempesta. È poesia senza rime, prosa senza senso. A volte, e a volte no.

Un sorso di cielo grigio e un sorso di cielo terso riequilibrano l’umore, gli eccessi fan bene solo se sporadici e di breve durata. Credo. 

E poi il resto si inventa. Sorso dopo sorso.

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(809) Spensieratezza

Quando è stata l’ultima volta che ho fatto qualcosa in spensieratezza? Sarà stato nei primi anni ottanta, immagino. Un giro in bici, forse. Che ne so. Non ricordo. Non è terrificante? Non ricordare cosa si prova facendo qualcosa in spensieratezza è terrificante. Sotto ogni aspetto.

Ne faccio mille al giorno di cose mentre sono distratta da un pensiero o l’altro, non è questo il significato che voglio dare a spensieratezza, mi riferisco piuttosto al fare qualcosa con leggerezza, con gioia pura. Ebbene… ho la sensazione di aver perso un potere magico che mai più riavrò. Peggio del mantello dell’invisibilità che mai è stato mio, tra l’altro. Peggio.

Come diavolo è potuto succedere? Non è una cosa che puoi fingere, mica funziona se fingi. Non è qualcosa che riproduci a memoria, contando pure che non ne ho proprio memoria sarebbe ben difficile. Non è qualcosa che t’inventi nuovamente, che anche se non è la stessa precisa sensazione almeno ci assomiglia. No. No. No!

Devo proprio rassegnarmi, devo mettermela via, devo far finta che ne ho avuta tanta di spensieratezza in tenera età da aver dato fondo a tutta la scorta e ora non posso che continuare a esistere senza. Già il pensiero è deprimente, figuriamoci la consapevolezza che sia davvero così.

E se l’avessi soltanto messa da parte, dimenticata in un angolo e lei è ancora lì che mi aspetta? E se ci fosse una fonte magica da cui attingerla e io non dovessi far altro che trovarla? E se me ne fossi messa da parte un po’ per i tempi bui e mi comparisse davanti appena il buio arriverà? Eh. E se. Sarebbe bello, ma mi faccio poche illusioni al riguardo.

Se solo ricordassi l’ultima cosa spensierata che ho fatto nella vita, forse il ricordo mi basterebbe a colmarne la mancanza. Sarebbe bello. Eh.

 

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(745) Bontà

Spesso ci penso, mi domando che cosa sia veramente la bontà. La bontà d’animo intendo. Mi domando se sia un sentimento o una condizione del cuore. Il sentirsi buoni quanto ha a che vedere con la bontà? Niente, credo, proprio niente.

Si misura la bontà? No, non credo sia misurabile, o c’è  e allora non ha limiti, o non c’è. Non ce ne può essere un po’ dentro a una persona, non ce ne può essere troppa. C’è o non c’è. Non si conta, non aumenta e non diminuisce. Non si può metterla da parte quando non conviene, non la si può inventare quando non c’è.

La bontà è quella cosa che sfugge al controllo, non si fa nascondere dentro un cassetto. La trovi sempre scoperta anche perché se non la sai riconoscere è come se fosse invisibile. Può agire nell’assoluto anonimato, chi non la vede è perché dentro di sé non ne ha e non sa neppure com’è fatta.

La bontà afferma se stessa senza bisogno di applausi, la bontà si fa portavoce di una Giustizia che non ha Dèi da servire. Bontà significa esserci nonostante tutto e nonostante tutti. Bontà è sentire quel peso, il peso di ogni cosa, e non scansarlo, piuttosto prenderlo in braccio per sollevare un po’ il mondo – anche se il mondo non ne ha bisogno – soltanto perché non esiste altra scelta anche quando la scelta c’è.

Bontà è uno sguardo che soccorre, una mano che ferma, una parola che sostiene. Bontà è una dolcezza di un istante, una negazione eterna, uno scostarsi silente. Non accetta valutazioni, non si cura delle opinioni altrui, non si sente sprecata o troppo preziosa per essere spesa.

Nulla di che vantarsi, nulla di che servirsi, nulla di che. Si fa fatica a trovarla, perché si pensa che non sia nulla. E lei, anche di questo, se ne frega.

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(743) Maestosa

Ho un’idea Maestosa della Vita. Di come la Vita è – nonostante tutto quello che di Lei possiamo farci (che non è granché perché non siamo capaci di azioni maestose se non di rado). Eppure la Vita porta in sé – e per sé – questa maestosità in ogni sua espressione. Basta solo farci caso e avremo davanti ai nostri occhi tutte le prove che ci servono.

Questa mia convinzione va contro ogni cosa che affronto quotidianamente perché la Maestosità in gioco non è sempre quella che ti porta carichi di felicità, e forse è ora di sfatare questo mito: la Vita ci vuole vivi ma non necessariamente felici, la scelta sta a noi.

Le proposte che la Vita ci mette a disposizione hanno un miliardo di variabili l’una, cambiano a seconda delle circostanze e degli intrecci e degli incontri e degli incidenti e degli imprevisti e delle sfighe o delle fortune. Variabili a non finire, variabili da perderci il sonno, variabili da sbattere la testa contro il muro. Talmente tanto e talmente tutto insieme che non lo si potrebbe definire se non nel modo che ho scelto io: Maestoso. Un dannatissimo Maestoso modo di farci attraversare ogni atomo dell’Universo con i nostri poveri sensi martoriati.

Come fare per non restare schiacciati da tutta questa Maestosità? Riconoscerla e rispettarla, credo. Non possiamo fare altro se non cavalcarla e sperare che non ci disarcioni. Non dobbiamo fare altro se non affidarci a quello che deve essere senza mai smettere di fare quello che dobbiamo fare: cercare e scoprire, cercare e provare, cercare e trovare. Pezzo dopo pezzo ci faremo un bel puzzle e ce lo guarderemo una volta diventati vecchi, ricordando un po’ e il resto inventando come fanno i bambini. Guarderemo il cielo invidiando le stelle che nonostante la mancanza di vita ancora sanno brillare. E saremo grati per tutto quello che di Maestoso ci avrà attraversato, perché la Vita avrà saputo prendersi cura di noi – nonostante tutto, nonostante noi.

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(740) Felicità

La comprensione è una buona sorgente di felicità. (Daniel Pennac)

Non credo di poter essere più d’accordo con Pennac di quello che già sono. Un modo fantastico di definire il piacere di avvicinarsi a qualcosa o a qualcuno con l’intenzione di conoscere e di comprendere. Non c’è bisogno di fare altro, solo comprendere.

Non dobbiamo trovare soluzioni se non ne siamo in grado. Non dobbiamo offrire la parola giusta se non ne siamo capaci. Non dobbiamo inventarci chissà quale fantasioso gioco di prestigio se le carte ci cadrebbero rovinosamente dalle mani. Dobbiamo soltanto essere disposti a metterci in una posizione dove le informazioni e le emozioni che riceviamo si possano posare per farsi comprendere.

La nostra mente ce lo impone: non siamo tranquilli finché non capiamo, vero? Il nostro corpo non si muove se non capisce cosa deve fare, giusto?

Quando siamo presenti e la comprensione si compie tutto fila liscio, non c’è bisogno di preoccuparsi, non c’è bisogno di inventarsi nulla, si va e si fa. Semplicemente. La domanda, però, rimane: perché non ci fermiamo a comprendere anziché partire in quarta e incasinare tutto? Perché non ci mettiamo nelle condizioni di comprendere invece di scagliarsi contro tutto quello che ci risulta incomprensibile al primo colpo? Perché pensiamo che il mondo debba essere comprensibile a tutti e in qualsiasi momento nonostante la sua disarmante complessità?

Che pretese abbiamo nei confronti del nostro prossimo, se non riusciamo a comprendere neppure noi stessi?

Pennac, aiutaci tu!

 

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(581) Distinguersi

Credo ci sia stato un fraintendimento e alla base di questo fraintendimento non ci sia il Male Oscuro, bensì un mero tentativo di dare una mano a chi si sentiva senza speranze – nei riguardi di se stesso. Il consiglio è: distinguiti. Sii meglio di tutti, o sii il più strano di tutti, o sii il più intelligente, il più furbo, il più… insomma, distinguiti!

Diamo per scontato che se ti senti senza speranze il problema è molto probabile che abbia origine proprio lì: non pensi di poterti distinguere dal resto della popolazione mondiale. Pensi di non aver nulla di diverso dagli altri per poter prendere in mano questa tua caratteristica e farne qualcosa di meraviglioso. Ecco: siamo al primo controsenso. Perché ti senti diverso dagli altri, allora? Non hai nulla che ti aiuti a distinguerti dagli altri, ma sei diverso dagli altri. Ok, questo significa che chiunque incontri è diverso da te e diverso da un qualsiasi altro? No, non credo. Credo che tu valuti gli altri come diversi da te e pertanto tutti uguali, a meno che non compaiano in tv o sulle riviste, o abbiano milionate di followers su Instagram o Facebook o Tumblr.

Non sono d’accordo con questa visione dell’Essere Umano, in generale, ma vediamo di partire da qui. Si parte sempre da una domanda, solitamente la domanda è: perché? Quindi, perché ti senti diverso? Pensi che nessuno si senta come ti senti tu? Lo credi o lo speri? Lo speri per te o per gli altri? Non è che vuoi essere speciale, ma han già inventato tutto e essere speciale ormai costa troppo?

Distinguersi dagli altri è semplice, il nostro corpo non è uguale a quello di qualcun altro, neppure se ti trovassi davanti a uno dei tuoi sette sosia sparsi nel mondo. Distinguersi, allora, cosa significa? Fare una cazzata dietro l’altra per far notare al mondo che sei pessimo? O sacrificare la tua vita per una causa nobile e dimostrare al mondo che San Francesco è stato niente al tuo confronto?

Distinguersi come scopo nella vita. Che fatica e che stanchezza.

Ogni giorno, con ogni scelta che facciamo ci palesiamo come diversi dagli altri. Anche quando scegliamo le stesse cose, molto probabilmente il motivo che ci anima è soltanto nostro – il frutto della nostra storia, del nostro sentire.

Diverso e Distinto. D’istinto ho scritto che distinguersi sia stato all’inizio magari un buon consiglio che qualcuno ha frainteso, ora penso che il fraintendimento risieda nell’imperativo più che nell’asserzione in sé. Distinguersi significa anche farsi onore e, in questo senso, con un po’ di onesto lavoro, potremmo salvare la situazione. Lasciando da parte gli imperativi, per favore.

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(523) Film

E come in un film vedo le cose scorrere, sono coinvolta ma fino a un certo punto, a meno che il protagonista non mi somigli un po’. Per istinto, per ispirazione, per ambizione, per origine, per destino. Almeno un po’.

So bene che essere troppo dentro a una storia ti fa perdere la brocca, non capisci più dove stai tu e dove stanno loro, ti gira la testa, piangi per cose che manco esistono e ridi per cose che in realtà sono crudeli e insensate. Lo so. Per questo, tanto tempo fa, ho deciso che volevo sapere tutto delle storie, ma proprio tutto.

I film che ora mi sanno portare via li scelgo con cura, non tutti, non in ogni momento, non sempre e non per sempre. Ho guadagnato un certo distacco e mi faccio ammaliare solo se la storia è pensata davvero bene. Ho perso ingenuità e anche disposizione a farmi trasportare, è vero, ma in un modo o nell’altro la vita te lo impone – anche se non vuoi crescere – io le ho solo agevolato il compito.

Eppure, quando trovo il film giusto, quello che ha i luoghi perfetti e i tempi che sembrano i miei e i personaggi che mi parlano, mi insegnano, mi fanno sognare… allora diventa indimenticabile. Piango, rido, mi arrabbio e gioisco perché quello che provo è vero. Vero, non verosimile, proprio vero.

E come in un film vivo anche il mio presente che sarà ieri già tra poche ore e che se non lo suddividessi in frame finirei col perdere tutto e perdere tutto mi spaventa. Più del ricordare tutto. Più del cancellare volutamente tutto. Più del reinventare tutto e riscrivere tutto. Perdere è un verbo che non smetterà mai di farmi paura. Per questo non smetterò mai di scrivere.

Ciak si gira.

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