(819) Cancellare

Non si cancellano certi gesti, certe parole, certi pensieri. Non si cancellano certi pregiudizi, certe presunzioni, certi convincimenti. Non si cancellano certe scelte. Non si cancellano certi errori. Non si cancellano certi dolori. Non si cancellano certe mancanze, certe ferite, certe oscillazioni. Non si possono cancellare. Semplicemente.

Allora starci attenti, prima, non sarebbe una pratica inutile, ci salverebbe da parecchie sciagure, da parecchie seccature, da parecchie paranoie. Ma noi ci pensiamo? No.

Possiamo cancellare una persona dalla nostra vita, certo. Ma dal nostro cuore? Possiamo cancellare un fatto dalla nostra memoria. Ma dal libro delle conseguenze? Possiamo cancellare un giorno dal calendario. Ma dal nostro ricordo?

Le tracce si ripercuotono all’infinito, anche se ce ne dimentichiamo. Ci sono riverberi che sfuggono al controllo, si riflettono in specchi frantumati da attimi di rabbia o d’acuta goffaggine. Non siamo sempre capaci di tenere le briglie salde della nostra emotività. Magari fosse così.

Resta il fatto che abbiamo una gomma in mano per cancellare qualcosa o qualcuno, ora, proprio adesso. Cosa o chi cancelleremmo? Ok, se non ci è possibile farlo, ci è possibile non replicare l’errore, la scelta, l’azione. Basta focalizzarci su questo e cambiare la dinamica della nostra esistenza. Si lavora su quello che c’è e che non vogliamo più per cancellare quello che si sta preparando per noi nell’universo e che vorremmo evitare. Tentar non nuoce. Bando alla pigrizia!

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(533) Supposizione

Supponiamo che il nostro modo di concepire la vita fosse stato blandamente sfasato da una serie spropositata di fraintendimenti – alcuni voluti e altri inconsapevoli – e che stessimo sbagliando tutto. Ma proprio tutto.

Supponiamo che qualcuno ad un certo punto decidesse che vale la pena rimettere le cose nella giusta prospettiva prima di ritrovarci coinvolti in un’esplosione atomica di portata mondiale.

Supponiamo che questo qualcuno fossi io. Da dove inizierei? Non lo so. Non ne ho la più pallida idea. Per quanto io ci possa pensare, non lo so e basta.

Ecco, ho appena avuto una presa di coscienza importante: non ho le conoscenze necessarie per poter capire dove e come agire per risolvere la montagna di problemi di cui siamo sommersi. L’ho fatto io, possono farlo tutti. Dovrebbero farlo tutti, specialmente chi ci vuole convincere che saprà governare questo mondo meglio di tutti gli altri perché sa, perché ha capito, perché è lui il prescelto per salvare il mondo.

Ora, non è che questi poveri mentecatti siano da colpevolizzare troppo per avere una bocca come una fogna che ci dà in pasto i loro deliri di onnipotenza – perché un idiota non si rende conto della propria idiozia – ma noi lo siamo. Noi che pensiamo che un Essere Umano – o un gruppo ridicolo di Esseri Umani – possa avere la benché minima idea di cosa fare per sistemare le cose, noi siamo patetici. Siamo degli squinternati che meritano il delirio di questa manica di mentecatti a cui diamo in mano il potere di professare la propria idiozia come fosse la nuova religione a cui immolarci.

Nel mio piccolo ascolto volentieri chi mi propone una possibile via da percorrere per vedere se può funzionare. Amo l’umiltà di pensiero, parole, opere e intenzioni. Nel mio piccolo ascolto volentieri chi si prende carico degli abbagli e degli errori per valutare meglio le strategie adottate e le conseguenze impreviste da smazzarsi. Nel mio piccolo ascolto volentieri chi mi dice: “rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a ricostruire” piuttosto che farmi infervorare da un “spacchiamo tutto, che tutto fa schifo”. Nel mio piccolo, queste cose piccole fanno la differenza. Tutta la differenza del mondo.

Supponiamo che ci sia una possibilità, supponiamo che ci sia un modo. Bello vero?

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(125) Caos

Il mio Caos è lo Spazio Sacro in cui nasce tutto. Tutto cosa? Tutto il progetto di me-persona. Me lo devo ricordare ogni volta che ho giornate come questa dove il Caos mi sembra la fine e non l’inizio.

Non ho un modo chiaro (e forse neppure intelligente) per spiegarlo a me stessa, figuriamoci agli altri. Anche a scriverlo non risulta migliore, né più nitido né più malleabile: il mio Caos è una carogna.

Mi annichilisce, mi sovrasta, mi polverizza. Poi mi faccio una doccia e il mio Caos si placa per far risalire a galla una boa.

Al momento la boa mi sembra bellissima, è la mia salvezza. Se faccio l’errore di ritornare, però, nella realtà prima del dovuto la boa diventa bolla di sapone e puf. Sparisce.

Processo irreversibile e dinamica immutabile. Errore che commetto spesso, anche oggi, ma il mio Caos è lo Spazio Sacro in cui nasce il progetto di me-persona.

L’ho scritto per ricordarlo meglio, senza la speranza che mi risulti migliore o nitido o malleabile.

Il mio Caos rimane una carogna.

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