(102) Evidenza

L’intelligenza dovrebbe essere misurata anche calcolando la capacità di cogliere l’evidenza delle cose. Sembra banale, detto così, ma è l’evidenza dei fatti che noi troppo spesso evitiamo di prendere in considerazione. Come se fosse solo un dettaglio, come se non fosse rilevante ai fini della verità.

Evidenza. Elementare Watson.

Se la persona che ti sta di fronte si comporta come non dovrebbe, prima di giustificarla devi guardare ciò che è: l’evidenza delle cose. Da lì vai a ritroso e ripensa a tutto quanto e poi decidi se la bilancia pende da una parte o dall’altra.

Guardare le cose così come si mostrano è ciò che fa Sherlock Holmes. Parte da lì per recuperare tutto il resto e tirare le somme per arrivare al risultato finale.

Mi sconvolge rendermi conto di quante volte in passato io abbia volutamente, caparbiamente, superbamente, stupidamente sottovalutato l’evidenza. Partire per la tangente e arrampicarmi sugli specchi (perché sono specchi, ne sono certa, ma non ne voglio parlare ora) pur di non ritornare sui miei passi è stato il mio must per molti anni.

Stupidamente, superbamente, caparbiamente, volutamente.

Mi scoccia riconoscermi un’idiota, ma è meglio saperle certe cose. Come è meglio sapere che se pensi di farti beffa dell’evidenza, lei avrà l’ultima parola e ti seppellirà.

Anche se pensi di essere molto intelligente.

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(101) Radici

Mi sono sempre creduta molto albero. Di fatto, però, ho sempre avuto dentro di me la smania di andare. Percorrere strada (in ogni modo) per scoprire il resto, tutto quello che ancora non ho visto, che non ho ancora conosciuto.

Un albero ha radici che lo sistemano solidamente in verticale e gli danno la forza di alzarsi per raggiungere il cielo. Un albero steso è in pratica un albero morto. Vorrei che nessun albero fosse toccato, è un essere vivente splendido che non sa nuocere a nessuno e allo stesso tempo dona vita con costante generosità. Sto andando fuori tema, però.

Il pensiero da cui sono partita riguardava egocentricamente me. Stavo valutando che, nonostante io non sia un albero, sento forti in me le radici e di nuovo nonostante questo mio sentire mi trovo in perenne smania di percorrere strada. Non valuto neppure la possibilità di ritornare alle mie origini, dove le radici sono radicate, quasi che queste mie radici non siano in verità tanto mie.

Tutto ciò è stordente. Mi sento molto soffione, adesso come adesso. Mi faccio in fiocchi e attendo che un colpo di vento mi trasporti lontano. Lo trovo un pensiero umile (se son passata dall’albero al soffione, ho acquisito una certa consapevolezza del mio stare al mondo, immagino) e allo stesso tempo azzardato (il soffione è uno stato non proprio splendido del tarassaco che a sua volta è un fiore che schifo da sempre).

Eppure, lì nel soffione c’è quella condizione che al momento mi sembra di incarnare perfettamente. Il messaggio subliminale sarebbe: vento, sono pronta.

A volte penso di essere soltanto una squinternata.

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(100) Storie

Mi sono fatta spesso la domanda e mi sono pure spesso data la risposta. Una risposta rassicurante, mi piacciono le risposte rassicuranti. Se lo sono troppo, però, e la realtà non ci va proprio a braccetto, non mi bastano.

Ho cambiato domanda, così per sorprendermi. La risposta mi ha difatti sorpreso. Non era rassicurante, era più vera. Era molto molto molto più vicina alla verità che dentro di me c’è, esiste, ma non ama farsi troppo evidente.

Il mio DNA è molto probabilmente segnato da questa verità, che non è lì per portarmi chissà dove. Questo è stato il tassello mancante e, ora che sono riuscita a inserirlo al suo giusto posto, sono tranquilla. Non mi viene chiesto di portare questa mia umilissima verità fin sulle stelle, ma mi viene imposto di riconoscerla e di darle spazio.

L’ho fatto per quel che ho potuto. Se ora sono piuttosto rattristata è perché ho di nuovo (mi capita troppo spesso, lo so) frainteso: non mi è dovuto nulla, da nessuno e da  niente, se non quello che è. Ho riconosciuto questa mia piccola verità, le sto dando spazio, nel frattempo lei mi fa crescere. Stop.

Non so perché la mia parte bambina pensa che sono in credito di qualcosa da parte di qualcuno (della vita?) o da che-ne-so-io. Sono capricci che mi irritano. Devo trovare il modo di farle passare questa brutta abitudine.

Non sono qui per fare storie, sono qui per scriverle.

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(99) Piuma

Quando avevo nove/dieci anni ero sottilissima. Tanto sottile che i miei pattini a rotelle con stivaletto erano difficili da portare su con il resto di me quando facevo i salti e le trottole. Ero leggera, ma mi sentivo pesante come un macigno. Erano i pattini troppo pesanti per me. Errore di valutazione stupidissimo eppure fondamentale per farmi smettere di pattinare. Guardavo la mia amica che sembrava una farfalla e mi dicevo: “Non sarò mai così”. Ho messo da parte la passione e ho cercato di dimenticarmene.

Anni fa, però, guardando una mia foto di quel periodo ho capito qual era stato il grande fraintendimento. Ho giurato che mai più.

Leggera come una piuma, si dice. La piuma assieme a mille altre piume fa volare un uccello. Da sola lei non vola, al massimo fluttua.

Non mi basta fluttuare, quindi la piuma non fa più per me. Mi devo attrezzare diversamente. Mi rendo conto che leggera non lo sarò mai, ma un aereo non è leggero eppure vola. Mi devo attrezzare, l’ho già detto.

Da qualche parte dovrò pur iniziare, quindi inizierò da qui. Lo scrivo e poi vedremo.

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(98) Blocco

Sospetto autoboicottaggio. C’è qualcosa dentro di me che quando deve-deve-deve-deve si gira e se ne va. Ormai è chiara l’azione, me l’aspetto anche, solo che ancora non ho trovato il modo di bloccarla.

Vorrei essere Piper Halliwell e congelare la scena, quella parte di me che se ne sta andando.

Solo che non posso obbligare me stessa a creare quando i tempi non sono maturi. Dirlo al resto del mondo diventa difficile, così mi costringo, mi costringo, mi costringo… ma poi mi giro e vado. Mai lontano, no. E il senso di colpa non mi aiuta. Neppure piangermi addosso, però.

Uff, che mal di testa.

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(97) Illuminare

Non è mia intenzione condannare il buio. Il buio è la condizione in cui il nostro corpo si può rigenerare per farci affrontare di nuovo la luce , e quindi il giorno. Se, però, vogliamo allargare un po’ il concetto, nell’oscurità ci sono i nostri mostri personali. Illuminare la zona li dovrebbe far scomparire, questo ci hanno detto.

Ci hanno mentito. Evidentemente.

Non sto qui a puntare il dito su chi e su come ci hanno preso in giro e continuano a farlo. Sono bravissima a polemizzare, ma ora non ne ho voglia. Fatto sta che non basta illuminare la zona per risolvere il problema mostri. Ti piacerebbe, eh? No, una volta che li hai illuminati dovresti pure affrontarli. Affrontarli non significa che li sconfiggerai, non tutti almeno.

Credo che ci siano mostri che son con noi per restarci. Altri meno, quelli li possiamo anche combattere e sconfiggere se facciamo sul serio. I mostri che restano, illuminati, si fanno più furbi (appunto perché illuminati) e son cazzi. Vorrei dirlo in modo più elegante, ma non me ne viene nessuno al momento. I mostri sgamati si infastidiscono di tutta quella luce e si attrezzano al punto da darti il tormento in modi che tu manco ti immagini.

Da lì parte la mia riflessione di stasera: illuminare tutto è proprio proprio proprio necessario?

No.

Se, però, non lo fai manchi di coraggio e un po’ (dentro di te) inizi a farti schifo. Ecco, questo colpo di coda potrebbe rovinarti la vita. Bisognerebbe farci i conti prima di prendere la decisione di restare al buio.

Che poi sbatti il naso contro la porta, il mignolo nella gamba del letto, il ginocchio sullo spigolo del comodino.

Accendi la luce, dai!

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(96) Impronte

So lasciare buone impronte io. Belle direi. Sono orgogliosa di ognuna di loro, anche di quelle che avevo fatto sulla sabbia e si sono ormai cancellate con i venti del tempo.

Piccole impronte le ho lasciate sul cemento, tipo Wall of Fame, anche se non si trovano in un luogo reale. So solo io dove scovarle, questo me le rende ancora più preziose perché scompariranno con me se non spiffero il mio segreto a qualcuno prima di morire.

Mi piacerebbe lasciare una bella impronta per sempre, ma per quello bisogna esserci nati. C’è un talento lì sotto che non so replicare e, temo, di esserne priva. Ammetto che questo è un mio piccolo rammarico, però, la mia modestissima condizione umana non mi impedisce di lasciare le mie piccole e belle impronte sparse qua e là. Ne vado fiera.

Non dovrei dirlo, ma vado fiera anche di quelle impronte che non sono proprio un ricordo buono in chi le ho lasciate. Ne vado fiera perché c’è voluta buona volontà e determinazione per non tirarsi indietro e lasciarle lì. Che poi la vita è tutta una questione di traduzione dei fatti, va’ a sapere chi ha ragione alla fine.

Stavo parlando di impronte: quelle del 2016 non erano affatto scontate. Ora che me le posso guardare tutte e scegliere quali cancellare da me e quali lasciare lì in bella mostra, rimango un po’ stupita. Accidenti! Il mio darmi da fare come una formichina instericamente stakanovista lascia tracce impressionanti.

Chi l’avrebbe mai detto. Chi? Io.

Mica mi do tanto da fare per niente, almeno un’impronta la lascio! Poi mi siedo lì a guardarle aspettando il vento. Quello arriva sempre, ma io ho fotografato tutto e l’ho messo al sicuro. Sia quel che sia.

Bye bye 2016!

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(95) Riempire

Si riempie ciò che è vuoto, lo so. Eppure l’esistenza di ognuno di noi ci mette un bel po’ prima di essere piena fino all’orlo. Solitamente ce ne accorgiamo quando siamo al limite e il vaso inizia a straripare.

Il buonsenso consiglia di svuotarlo di quel che non ti serve più per aver agio nel riempirlo di nuovo. Se arrivi fino all’orlo e lasci che sia il vaso a decidere che cosa deve uscire potrebbe non piacerti.

Io svuoto con assennatezza, ma faccio fatica a farlo in tempo, arrivo proprio sul filo filo. Devo affrettarmi a buttare e mi dispiace sempre.

L’ho fatto anche in questi ultimi giorni, anche se nessuno se n’è accorto. Ho scelto e ho buttato perché il vaso stava per straripare. Sarò dispiaciuta per tutto il mese, è ormai la prassi, ma poi il vaso mi si riempirà ancora di tante cose e nel casino me ne dimenticherò.

Succederà che qualcuno, a un certo punto, mi vorrà far ricordare qualcosa che io ho dimenticato e mi riprenderà lo sconforto (perché buttare è brutto) e poi me lo ri-scorderò. Così si sopravvive.

Questo per dire che anche se ho buttato non significa che non sia stato importante. Voglio sopravvivere e poter accogliere ciò che arriverà. Ho idea che mi ci vorrà spazio e molta forza per farlo, diventa sempre più complicato sopravvivere.

Augh.

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(94) Anno

Può essere lungo a passare, ma non con costanza. Mi infastidisce, infatti, la mancanza di costanza. Meno della prevedibilità, ovvio.

Ci sono cose per cui vale la pena fermarsi a riflettere, analizzare, estrinsecare… altre no. Il succedersi degli anni, no. Temo neppure la qualità di ciò che si attraversa ne valga la pena, troppo suscettibile agli alti e bassi del momento.

Quello che resta, sì.

Dopo tutto quello che un anno ha saputo contenere ed elargire, capire cosa resta è importante perché resta soltanto ciò che vogliamo portarci nell’anno nuovo.

Siamo noi a decidere, a scegliere, a tenerci stretto o a mollare. Vale la pena farci un pensiero o due. Lontano dai festeggiamenti, quando il mondo tace – o perché sbronzo o perché già pronto a lamentarsi.

Quello che resta. Semplice.

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(93) Effimero

Tutto ciò che è effimero, che non è tangibile, che non è cosa pratica da usare, non è contemplato. Questa è stata una legge di famiglia per generazioni. Poi arrivo io e ribalto tutto.

E lo faccio come se fosse normale, ribaltare tutto.

Non è che su di me ci fossero sogni di onori e ricchezze, questo no. Come donna friulana ero destinata a una vita di modeste gioie e comune-ma-serio impegno di moglie e madre. Niente di che, come la mia tris-nonna, la mia bis-nonna, la mia nonna, mia madre… eh!

Poi arrivo io e ribalto tutto. Lo faccio come se fosse normale, come se non ci fosse altro modo per vivere, come se quello che avevo in mente (confuso, ma felicissimo) fosse un futuro ideale per me e per tutti.

L’Effimera.

Presente.

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(92) Indomita

Non mi arrendo, è vero. A meno che io non senta che è proprio finita, io non mi arrendo. E vale per tutto.

Spesso mi sono chiesta se sono più scema o più testarda, ma non mi sono mai risposta seriamente altrimenti avrei modificato il mio comportamento. Eppure penso che sia una questione di indole, non soltanto di segno zodiacale (toro).

Ci sono state volte in cui ho ignorato la voce delle viscere, che mi implorava di mollare il colpo e andarmene, perché il pensiero che ancora non era finita (ovvero: c’era ancora qualcosa da capire che al momento mi sfuggiva) non mi permetteva di farlo.

A mia discolpa posso dichiarare che c’era sempre qualcosa che ancora non avevo capito e che dovevo in qualche modo capire. Non difetto di intuizione, piuttosto di furbizia.

Il toro, di suo, è poco furbo. Non lo pieghi facilmente, fai prima a ucciderlo. Ma se t’incorna, puoi stare sicuro, non ti chiederà scusa.

Olé!

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(91) Orizzonte

Tenere lo sguardo a terra è cosa saggia perché se appoggi il passo su un terreno sdrucciolevole, una buca, un ostacolo, finisci a terra che manco te ne accorgi. Ho guardato molto la terra su cui poggiavo i piedi, non mi sono evitata scivoloni, ma sono caduta sempre a metà, preparata un nanosecondo prima grazie al mio guardare.

Se, però, lo sguardo non s’alza mai da terra per rivolgersi a ciò che ti circonda rischi di sbattere ovunque e di farti molto male (oltre ad assicurarti un torcicollo cronico, che non è una cosa bella). Ho sbattuto spesso contro persone e cose che mi hanno fatto male e ho imparato a prestare attenzione a quello che mi sta attorno e a farne i conti.

(guardati attorno, guardati dentro e guarda la terra su cui poggi il passo – un lavoro a tempo pieno che può diventare snervante, lo ammetto)

I momenti più belli in assoluto li ho vissuti quando ho osato spingere il mio sguardo all’orizzonte. Momenti di silenzio in solitudine pressocché perfetta. Credo che quel punto preciso, l’orizzonte, sia l’incontro di ciò che hai dentro, ciò che hai attorno, ciò che hai sotto i piedi e (meraviglia) ciò che hai sopra la testa. E cosa ancora migliore: guardi al tuo cammino con uno scopo, è là che vuoi arrivare.

L’orizzonte è così. Si muove come io mi muovo, per motivarmi a proseguire perché la strada da fare è tanta, molto di più di quello che tu puoi pensare. Si ferma se io mi fermo, per assicurarmi che una meta c’è e mi aspetta. L’orizzonte non scompare neppure quando sei chiuso in una cella (reale o virtuale che sia) perché rimane impresso nella retina e se chiudi gli occhi si ricompone a tuo piacimento. Senza perdere il senso, senza perdere lucentezza.

Il mio orizzonte è così, il mio come quello di tutti. Solo che non tutti se ne accorgono e pensano che spingere lo sguardo all’orizzonte sia cosa da sognatori. Si sbagliano di grosso, è cosa di tutti quelli che amano camminare la propria vita.

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(90) Destino

Ognuno ha il suo e non si può fare a cambio come si faceva da piccoli con le figurine. Te ne do due in cambio di quella lì che mi piace troppo. No, non funziona. Qualcuno bara e se ne inventa uno a suo piacimento, ma poi i conti non tornano, il Destino si accorge del misfatto e tu paghi. Il pagamento di solito è amaro, troppo amaro, soltanto gli idioti ce la fanno a rischiare tanto.

Il Destino, secondo me, fa il tifo per le persone per bene. Voglio dire che una volta che ti ha fatto vedere i sorci verdi e tu hai resistito alla tentazione di fare il bandito… dopo si dà una calmata. È come se si rendesse conto di aver esagerato e da quel momento calibra meglio la sua forza e dandoti un po’ di respiro.

Una questione di tenuta di nervi, credo. L’inghippo sta nel fatto che quando uno ha visto in faccia i sorci verdi più volte durante la sua esistenza, ed è sopravvissuto, non è che sia diventato proprio uno zucchero. Ti vien pur da bestemmiare tutti i santi del paradiso quando prendi bastonate su bastonate, no?

Ecco. Sta tutto lì: non devi soccombere e mollare e non devi diventare una carogna capace di ammazzare sua madre per rubarle la pensione. Devi reagire con agilità, nervi saldi, savoir-faire e… gentilezza. Così vinci. Non solo vinci il Destino che ti meriti, ma vinci anche sulle Forze del Male che si arrendono all’evidenza e ti lasciano in pace.

La questione che vivere è una lotta, e che non ci si può sedere un attimo che sbam t’arriva addosso un blindato, non è facile da digerire. Soprattutto perché lottando ti accorgi che mica per tutti funziona così. Narra la leggenda che ci siano persone che riescono a vivere a lungo serene e soddisfatte senza mai neppure calpestare una cacca. Eh!

Possiamo crederci o non crederci, i fatti non cambiano. Io ci credo.

Il Destino sa essere bastardo e baro, ma se non sei uno di quelli di cui parla la leggenda non puoi farci niente ora, è troppo tardi. Dovevi ricordarti di compilare tutti i moduli per bene, comprese le parti pallose sulla “fortuna che è cieca” e quella sull’uscire di casa senza la maglietta della salute. La prossima volta pensaci prima.

La fortuna non è cieca, la sfiga ci vede benissimo, tu non hai capito niente.

E siamo punto e a capo.

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(89) Colori

Qualche sostenitore del Vivere a Colori in giro? No, era tanto per chiedere.

I colori nella mia vita ci sono, me li curo, li noto in ogni cosa, ringrazio il cielo per questo e per le altre cose che ho, ma non disdegno neppure il bianco/nero. “La famiglia Addams” a colori farebbe schifo. Ecco: io per Morticia ho un debole. Cosa significa? Perché lo sto scrivendo qui?

Semplice: perché pensare che io possa trasformarmi in un arcobaleno di gioia e sorrisi è perlomeno fuori luogo. Nessuno che mi conosca soltanto un po’ potrebbe azzardare un’ipotesi simile. Sono fatta così. Sono malinconica, riflessiva, introversa (sì, lo sono, so fingermi estroversa quando devo, sappiatelo), amo il nero (e anche il bianco), ma soprattutto il viola. Questo è il quadro pressocché completo. Il resto sono dettagli.

I colori per me, però, sono fondamentali. Li scopro e riscopro dentro alla mia testa, dietro agli occhi, che viaggiano nella gola e vanno giù fino allo stomaco e poi risalgono. Altro che arcobaleno!

Non è che vado a sbandierare in giro il fatto che sono piena di colori, me li tengo per me, me li vivo, me li gestisco e amen. Do per scontato che mica sono la sola ad averli dentro e che la maggior parte di chi li ha dentro non ha voglia di farli uscire così alla cavolo, solo per far felice il mondo.

Il mondo spegne i tuoi colori, il più delle volte, lo sapevi?

Io lo so, l’ho sperimentato più volte e mi sono adeguata a vivere in uno stato di silente coloritura interiore. Guarda che è bellissimo, non si soffre mica. Tu dentro puoi avere tutti i colori che vuoi, rimarranno sempre brillanti e vivaci se non li dai in pasto al mondo. Giuro.

Ecco, in poche righe ho esplicitato il mio credo, quello che mi ha accompagnato fino a qui per 30 anni. Ecco, ora lo dico ma senza crederci troppo. Lo dico perché quando una decide di mettere in atto una trasformazione deve per forza mettere in gioco l’artiglieria pesante, non può nascondersi dietro un divano. Quindi lo dico: forse, e dico forse, è arrivato il momento di far uscire un po’ di colori…

Solo perché altrimenti implodo.

È mera questione di sopravvivenza.

Stop.

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(88) Passo

Si dice “segnare il passo”, ognuno dovrebbe segnare il proprio passo, ma alla fine della fiera non è così. Quasi mai riesci a segnare il tuo passo, al massimo tieni botta per un po’, ma poi ti lasci travolgere dal passo degli altri o del mondo in generale.

Ok, quando riesci a segnare il tuo passo, però, ti senti bene. Ammettilo.

Ecco, quando riesco a segnare il mio passo menefregandomi allegramente del passo degli altri mi sento veramente bene. Non migliore, ma bene. Il tempo ognuno lo sente come vuole e il mio passo segue un tempo tutto suo. Si dilata e si sospende quando faccio le cose che amo fare e si accorcia drasticamente quando ricado nel dovere (quello pesante).

Non c’è cura, immagino, se non quella di concentrarsi sul segnare il proprio passo. Fai attenzione, però: se attorno a te perdi qualcuno (per un’ovvia ragione di passo sfasato rispetto al tuo) non ti lamentare. Non ho mica detto che non ci saranno conseguenze, quelle ci sono sempre. Attrezzati e procedi.

Ripeto: attrezzati e procedi.

Passo e chiudo.

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(87) Scuse

Non so bene a chi le devo, queste scuse, ma ora ci penso. E’ brutto essere sempre quella che fa la bastian contraria. Natale è una di quelle cose che non riesco a digerire, porgo le mie scuse ma è così.

Non è che serve andare tanto a scavare nei miei traumi infantili, no, nei miei anni di bambina ho avuto sempre tanti doni e ho sempre avuto la mia famiglia e sempre i miei amici nel mio piccolo paesello con tanto di Santa Messa e Presepe e Albero di Natale e via discorrendo.

Lasciamo stare i traumi, veniamo alla constatazione dei fatti: detesto il Natale.

Va al di là della nascita del bambinello, della bontà da spargere sulla Terra, dell’eterna speranza nella Pace e nel risveglio delle coscienze. Il fatto stesso che esiste un giorno in cui tutto il mondo – MA NON TUTTO – si ferma per festeggiare il Natale mi disturba. Mi martella un nervo scoperto non so neppure dove e mi fa ritrarmi nel mio guscio.

Mi scuso. Con gli amici che devono sopportare questo mio malumore e con chi viene urtato dalla mia insofferenza. Non cambierò idea solo per sentirmi in pace con tutti voi, ma sappiate che mi piace sapervi affezionati a questa assurdità che è diventato il Natale. Sembrate quasi felici, un giorno soltanto o soltanto il tempo per un’abbuffata, questo non lo so, lo saprete voi.

Auguri!

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(86) Parole

Lo so che attaccarsi alle parole può sembrare una sciocchezza, ma io faccio così. Una parola contiene e libera. Contiene significato quando la scegli, libera significato quando la porgi al mondo.

Sono dannatamente attaccata alle parole, a quelle che dico e a quelle che ricevo. Non è granché assennato, me ne rendo conto, ma uso le parole per tradurre le immagini che ho dentro e se voglio che risultino altrettanto splendide devo curare le parole. Non ho altra scelta.

Una cosa, però, ho imparato: sono le azioni e sono i gesti che ti danno conto della realtà, non le parole.

Non è stata una lezione facile da digerire, partendo dal presupposto che parola corrisponda a intenzione che si traduce in azione. Era solo un mio presupposto, non il presupposto del resto dell’umanità. Appena mi sono resa conto di non essere al centro dell’universo è stato più facile adattarmi. Questione di età, certamente.

Perdono le parole approssimative, assurde, malevole che ricevo molto più facilmente di quelle che nascono da me. Quando me ne accorgo, la ricerca della loro origine mi ferisce e mi mortifica. Non mi piace scoprirmi cattiva.

Col tempo sono migliorata, ho grandi aspettative nei confronti di me stessa per quanto riguarda il futuro. Farò attenzione a non deludermi, sarebbe dura da ingoiare dopo aver tanto faticato per crescere.

Vedremo.

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(85) Assertività

Ho preso coscienza della mia voce da quando ho iniziato con il podcasting. Non significa che prima la ignoravo, ma che prima la temevo. E’ successo qualcosa in questi anni, ora la mia voce mi appartiene di più.

Ho notato che in parallelo anche io mi appartengo di più. Non a fasi alterne, non con alti e bassi, non in positivo o negativo. Mi appartengo con costanza, con pieno riconoscimento, con assertività. Mi appartengo e basta.

E allora tutte le scelte fatte e tutte le esperienze che mi hanno attraversato non mi hanno portato via qualcosa, mi hanno soltanto lasciato scoperta la voce.

In giornate come ieri è difficile gestirla, ma il fatto che c’è mi rassicura.

Ho incontrato tante voci sussurrate che non hanno mai saputo della loro potenza, avrei voluto dire loro tutto quello che avevo scoperto ma loro non avrebbero saputo trattenerlo. Non era tempo. Chissà se ora sanno cantare.

Non ho mai smesso di cantare, io. Anche quando stonata, anche quando stanca, anche quando avrei preferito starmene in silenzio. E’ che quando la tua voce ti si presenta davanti e tu sai che è lì per te, voltarsi alzando le spalle è stupido.

No, non sono una stupida. Anche se a un primo sguardo non si direbbe.

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(84) Stop

Oggi ho ignorato uno stop. Oggi ho superato quella linea dove sei obbligato a fermarti. Non riesco a perdonarmelo. Sentivo solo che dovevo dire e che se non lo avessi fatto in quel momento non lo avrei più detto. Ho sentito che non dirlo sarebbe stata una mancanza imperdonabile perché era importante ed è importante non mancare di coraggio quando quello che ti viene imposto per legame d’affetto deve essere detto.

Non importa che io abbia cercato il modo giusto per dirlo. Non importa che io abbia fatto attenzione a non essere fraintesa. Non importa. Non è importante quello che io ho fatto, ma quello che ho detto. Che non poteva essere detto in altro modo perché non avrebbe sortito alcun effetto.

Ok. L’effetto sortito è stato doloroso.

C’era uno stop, di sensibilità suppongo, ho sentito che non dovevo fermarmi finché quello che bisognava dire non veniva detto. L’ho detto.

Ora mi domando: chi cazzo sono io per sentirmi autorizzata a dire?

Nessuno. Posso scusarmi per il dolore causato, non per aver detto quello che ho detto. E questo aggrava la mia posizione.

Cosa rimane? La speranza di avere torto marcio, almeno per questa volta. Me lo meriterei di brutto, questa volta.

Eh.

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(83) Curioso

E’ curioso il mio modo di affrontare il mio lavoro. Dico “mio lavoro” perché me lo sono scelta io e potrebbe sembrare sia stata una scelta oculata. No, non lo è stata. La potrei definire una scelta azzardata, piuttosto.

Non sono una giocatrice d’azzardo, è una attività che non mi ha mai attirata. Eppure, lo so è strano, nella mia vita ho azzardato parecchio.

Dal mollare tutto per scoprire se la scrittura poteva diventare una cosa seria al mollare tutto per scoprire se in Scozia potevo rifarmi una vita.

(mi accorgo ora che il comune denominatore del mio azzardo è “il mollare tutto”… inquietante)

E sono solo i casi più clamorosi, in realtà azzardo ogni giorno e lo faccio a random. Senza un apparente criterio, solo seguendo una forte intuizione.

Dicevo che trovo curioso questo mio modo di affrontare il mio lavoro, ma forse avrei dovuto confessarlo subito: è curioso il mio modo di affrontare la vita. La mia vita, che è un azzardo e che non so immaginare diversamente.

Curioso, sì.

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