(82) Rompicapo

Lo sono stata per molti, lo sono stata per me stessa per molto tempo. Non sapevo come prendermi in mano, non sapevo come perché non sapevo cosa e quanto ero. Nel bene e nel male. Nel male e nel bene. Intera (o quasi). Non lo sei mai, intera, finché non arrivi alla fine.

Stasera l’incontro con la scrittura, per parlarne e per capirne di più assieme a quelli che chiamo miei allievi, ma che non lo sono davvero. Né miei, né allievi. Sono persone con cui faccio un pezzetto di strada, alla fine siamo pari. Loro sono allievi miei quanto io sono loro allieva. Equilibrio perfetto.

Dicevo che stasera, come ogni sera di scrittura condivisa, mi sono ritrovata a scoprirmi (di nuovo e ancora) molto più semplice di quel che mi penso di solito. Pecco sicuramente di presunzione, di solito. Non sono un rompicapo, mi penso un rompicapo, ma non lo sono. Sono, in verità, molto semplice.

Ho un inizio, ho una fine e in mezzo c’è la storia. Può essere un po’ intrecciata strana, questo sì, ma non è una trama così barocca né così preziosa. E’ un motivo piuttosto semplice, piuttosto lineare. Chi non se ne accorge è perché mi guarda da troppo lontano. Non mi sto lamentando di questo, no, va bene così, avere tutti vicino mi farebbe dare di matto (sono pur sempre un’introversa convinta, ricordiamocelo) sto soltanto valutando il fatto che non sono complessa come di solito mi penso. Sono più presuntuosa di quello che mi penso, invece. Ali basse, Babsie.

E un bel sospiro di sollievo, anche.

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(81) Fortuna

E’ un’abitudine che ho preso secoli fa e che ormai fa parte di me. Quando mi rendo conto di essere nel posto in cui vorrei essere, o di essere con la persona/le persone con cui vorrei essere, allora fermo i pensieri e mi dico: che fortuna essere qui.

Non è che io creda troppo nella fortuna, non in quella casuale comunque. Credo che la fortuna uno se la costruisce piano piano, col tempo. Almeno il tipo di fortuna che non svanisce con un colpo di tosse.

Ecco, questo pomeriggio ero dentro a un bellissimo teatro. Vedevo gente di ogni età intenta ad ascoltare musica non così semplice da comprendere, ma assolutamente magica nella sua presenza e nel suo espandersi. Insomma, assistevo a tutto questo fluido benessere, tra sconosciuti (almeno, io lo ero per tutti loro) e mi son detta: che fortuna essere qui.

Non è facile da riportare a parole, rischio di appiattire tutto, ma mi piace stare a spremermi le meningi per recuperare quella magia senza riuscirci completamente. Significa che se non mi fossi fermata su quel pensiero, ora non avrei nulla su cui riflettere e mi sarei persa un’occasione d’oro.

Niente, era tanto per condividerlo, perché sono fortunata a essere qui.

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(80) Pagliacci

Tristezza. Tristezza. Tristezza.

Sant’Iddio quanta tristezza c’è dentro un pagliaccio. Insopportabile. Far ridere gli altri è una maledizione che ti prendi addosso perché pensi che solo così potrai essere amato. Ho sempre pensato questo, dal Circo di Moira Orfei (le tre volte che mi ci hanno portata da piccola, poi mi sono rifiutata) al cinema di Fellini e oltre. Nemmeno le “Opinioni di un clown” mi hanno aiutato granché ad ampliare la visuale sulla questione, se devo dirla tutta, o il saggio di Tristam Remy o Slava Polunin. No.

Sì, perché mi sono documentata prima di cristallizzare la mia posizione, mica le sparo così tanto per dire. Eh!

[No, non parlo di IT perché è fuori tema]

Ecco. Ho cambiato idea. Oggi ho visto dei clown far sorridere dei bambini, e di solito li fanno sorridere quando sono in ospedale e stanno malissimo, bambini che anche se con problemi seri non sono messi a paranoie come lo ero io alla loro età – evidentemente, e i bambini quando sorridono sono belli da togliere il respiro.

La lezione? Non prendere mai troppo sul serio quello che pensi. Non è mai definitivo, e spesso non è neppure granché intelligente.

Amen.

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(79) Opportunità

Non mi è mai successo che una buona opportunità mi cadesse in testa come una benedizione. Credo di non essere stata programmata per le botte di culo. Non dico che così si parte in svantaggio… anzi, sì, lo dico.

Senza voler dare colpa a chicchessia (non ho saputo resistere, lo dovevo usare per forza “chicchessia”), affermo pubblicamente che partire in svantaggio se c’è bel tempo ti passa via come fatto ineluttabile di cui non curarsi. Se piove, t’incazzi. Se piove e tira vento, di più. Se c’è nevischio e il vento è un’impietosa bora, non sei a rischio tu ma chi ti capita vicino se su di lui c’è bel tempo.

Detto questo, ho imparato presto che o le opportunità te le vai a cercare o non busseranno alla tua porta solo perché sei bella, intelligente e creativa* (ma anche se non lo fossi sarebbe lo stesso, è la programmazione alla casa madre che ti preclude vie agili e felici).

Sta di fatto che il casino è anche nel saper valutare quale sia in concreto una reale opportunità e quale una fregatura. Ecco, qui è questione di esperienza. Uno l’esperienza se la fa a suon di fregature, mica di belle opportunità. Capito il gioco?

Sì, ritornare alla casa madre l’articolo difettato sarebbe la cosa più saggia da fare, ma che garanzie di sostituzione ci hanno offerto? Parliamone: non sono pronta a trasformarmi in uno scarafaggio.

I would prefer not to.

*No, non sono bella né intelligente. Solo creativa, e non sempre.

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(78) Bilancia

Ho fatto l’esercizio della bilancia nei miei lunghi anni di allenamento allo stoicismo. Buona o cattiva idea che sia non fa alcuna differenza, forse è il concetto di stoicismo il punto cruciale. Ci penserò prossimamente. Ora pensiamo alla bilancia.

Togli da una parte, metti dall’altra. Ritogli dall’altra e rimetti in questa. Sfinente.

Il punto è che se non fai caso alla bilancia rischi di ribaltarti da una parte o dall’altra, come quando sulla trave oscillante (al parco) ti sedevi e dalla parte opposta non c’era nessuno. Ti bloccavi lì, anche se stavi in  piedi non funzionava. Se dall’altra parte si sedeva qualcuno più cicciotto di te: zooooooooop! Ti ritrovavi incastrato lassù e, finché il cicciotto non si toglieva, tu stavi lì con le gambe a raspare il vuoto e la voglia di piangere per essere stata così idiota da salirci in quella trave del cavolo anche se lo sapevi che andava a finire così.

Il cicciotto si rompeva presto di stare bloccato a terra e quando si alzava piombavi giù dando una di quelle culate che te le ricordavi per mesi. Un classico.

Ancora mi domando perché poi me le dimenticavo quelle culate e ritornavo a sedermi sulla trave del demonio.

Ho il sospetto che se trovo la risposta posso disfarmi della bilancia.

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(77) Salto

Il fastidio della vaschetta. Anche se i pesciolini li pensate silenziosi, non lo sono affatto. Loro parlano parlano parlano parlano e se li stai ad ascoltare diventi scema. Salteresti nell’altra boccia, credimi.

Sì, lo faccio per quello. Un po’ di pace è il diritto di qualsiasi Essere Vivente, io non faccio che praticare il mio sacrosanto diritto senza aspettare il permesso da qualcuno.

Salto a lato. Non perché io pensi di poter superare gli altri in furbizia, in intelligenza, in saggezza. No, salto a lato per scartare il casino. Ecco, già spinneggiare tutto il giorno mi affatica, farlo nel casino degli altri spinneggiatori mi rende tutto molto pesante. Insopportabile alla lunga.

Lo faccio per gli altri, di saltare nella boccia accanto intendo. Così non sono costretti a schivare le mie pinnate di fastidio quando perdo il controllo.

Sono fatta così.

(…)

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(76) Porta

La sensazione è di essere sulla soglia di questa porta, con chiavistello prezioso, a sbirciare quel che c’è al di là da almeno mezzo secolo.

La sensazione è che questa porta non mi si aprirà neppure tra un secolo per permettermi di varcare la soglia e godermi quello che c’è di là.

La sensazione è che io abbia già provato ad aprirla e varcarla e che io sia stata respinta, a volte gentilmente altre molto meno, in svariate occasioni. Di questo, però, non posso essere così sicura perché…

a volte la sensazione è che io non ci abbia davvero mai provato, tanto sia la mia convinzione che neppure tra un secolo questa dannata porta mi permetterà di varcare la soglia e essere felice.

Sì, di là c’è la felicità. Non può essere che così. Mica sono scema a passare qui la mia piccola eternità per nulla!

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(75) Donna

Me lo sto chiedendo da troppo tempo che cosa sia una donna. E’ che ogni risposta che ho trovato in questi anni non mi è mai bastata. Ho sempre voluto guardare oltre. Più a fondo.

C’è sempre di più di quel che una pensa di trovare dentro di sé, specialmente quando la domanda ti riguarda da vicino.

No, non mi è mai bastato la versione di “donna” che mi è stata data (diversa, ma sempre uguale) durante questi miei tanti anni di crescita. Perché donna lo sono dalla nascita e non per scelta. O forse sì.

Sì, risceglierei di essere donna, ora che ho un quadro abbastanza dettagliato della questione, anche se non completo. Grazie al cielo ancora non completo. Le donne che ho incontrato nella mia vita non mi sono sempre piaciute, non le ho riconosciute tutte come sorelle. Da certe sono fuggita nello scoramento di una comunicazione impedita dai troppi specchi.

Rimangono, però, le donne che sono e sono state Maestre. La loro bellezza perdura, oltre il tempo e il ricordo che non appassisce. Essere quel tipo di donna è stata l’ambizione che ho curato in silenzio. Chissà se un po’ mi sono avvicinata a loro. Sempre troppo poco, comunque, sempre troppo poco.

Essere donna non è complicato dal fatto che sei donna, viene complicato da chi donna non lo è.

Non ho nient’altro da dire al riguardo. Non adesso.

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(74) Ripresa

Sia rapida, sia ora!

Dovrebbe essere come una formula magica. Forse non funziona perché non ci crediamo abbastanza. Forse il fatto che lo stare bene ci “obbliga” alla presenza nel quotidiano è un deterrente. Se hai un quotidiano che fa schifo.

Ecco, le mie riprese sono sempre rapide. Un po’ perché in realtà il mio quotidiano, paragonato ad altri, non fa per nulla schifo, e un po’ perché non è che se vuoi vivere hai molta scelta. Devi riprenderti per vivere, altrimenti strisci e sopravvivi.

Sarà che la mia idea di sopravvivenza è comunque a tempo determinato, come passaggio per arrivare alla vita vera e propria e non vita a carico di qualcuno o qualcosa. Vabbé, discorso complicato da fare ora che la ripresa non è ancora avvenuta, ma in me la decisione è nata: da ora si dia il via alla ripresa.

Ripresa rapida. Sia ora!

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(73) Tappeto

Qui si tratta, semplicemente, di dichiarare in tutta tranquillità che al momento non sei in grado di intendere e di volere perché il virus ha avuto la meglio su di te. Lo so, sembra una cosa facile da fare, ma mi fa incazzare.

E’ una inutile sospensione della routine che ti obbliga al nulla. Al sonno.

Eh! Da quanto tempo non ti fai una bella dormita come quelle che ti facevi ai tempi della scuola (perdendo regolarmente il bus e inventandoti l’inverosimile pur di non alzarti dal letto)? Un secolo.

Bene, ora puoi dormire. Non ti stai inventando nulla, il virus ti ha invaso e tu sei decisamente al tappeto.

Amen.

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(72) Assenza

La mia assenza prende sempre connotazioni piuttosto violente. E’ sempre un distacco senza vie di mezzo, è un recidere netto come se non dovessi più tornare. Poi ritorno, ovvio che ritorno a me stessa, ma solo perché devo, raramente perché voglio. Sono sempre più convinta che nel mio caso specifico il volere ha poca valenza, il dovere domina.

Dicono che non è una cosa buona, ma non è che uno si modella a seconda di cosa è bene e cosa è male come se fosse plastilina. Almeno, io non ci riesco.

Ritornando alla mia assenza, riportandola al piano fisico, il distacco significa mettere fuori gioco il corpo. Blocco del sistema. E’ irritante se hai molte cose da fare. Da fare, non che vuoi fare. Da fare.

Ritorniamo al concetto dovere-volere. Molto probabilmente la mia superconvinzione che il dovere in me domina mi sta inconsciamente stancando. Ecco spiegato il boicottaggio.

Non per dare ragione a chi ha in effetti ragione, ma forse la questione del potersi modellare come plastilina può funzionare anche per me. Dopo anni e anni e anni di incubazione, forse, la mia materia sta prendendo in considerazione che sostituire il dovere con il volere potrebbe essere la nuova dimensione in cui muovermi.

Eviterei stacchi violenti, seguendo questa logica. Certo, non è cosa sicura, ma di sicuro al momento c’è questa mia dinamica non proprio sana di amministrare lo stress emotivo che fa poco bene al mio corpo.

Sembro quasi intelligente quando mi faccio questi discorsi. Peccato che non servono a un tubo.

(sto ridendo)

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(71) Profondità

Ti sembra di aver raggiunto la massima profondità e poi scopri che la spirale ti sta risucchiano oltre. Puoi perderci la testa, la pressione è troppa.

La spinta alla conoscenza dovrebbe avere un limite massimo, oltre il quale non sia lecito andare perché la nostra condizione umana non ci permette azzardi di quel genere senza farci pagare care le conseguenze.

Certe nostre segrete complessità ci fanno avvoltolare in una condizione di precaria sicurezza, sommario equilibrio. Basta un colpo di vento e non ci troviamo più, risucchiati dalle tenebre o dalla luce, non fa alcuna differenza perché il dolore è comunque immenso. C’è da chiedersi come sia possibile passarne indenni. Infatti, non credo sia possibile.

E’ come alzare gli occhi al cielo mentre il cielo ti schiaccia. Sei tramortito da tutta quella grandezza e non ti opponi, non ti muovi.

La salvezza non è mai definitiva. Suppongo.

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(70) Arresa

Non è quella che dici: non m’importa niente. Anzi. E’ quella che ti consente di rispettare la libertà di scelta di chi ami anche se non sei d’accordo, anche se non ti piace, anche se ti fa soffrire.

Non è mollare, gettare la spugna, dichiararsi sconfitto. No, sto parlando d’altro. Perché non è una guerra, ma è ricerca di ciò che è giusto fare.

Ti arrendi, semplicemente, al fatto che non è, non sarà, quello che tu desideri. Ti fai da parte e lasci andare la tua idea di quel che dovrebbe essere per accettare quello che è.

Credo, temo, sia un processo lungo una vita. Ho la sensazione che sarà tutto più semplice quando arriverò lì, all’arresa.

Mi domando quanto ci metterò.

b__

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(69) Vertigine

Solo quando mi guardo attorno e non so da che parte appoggiare l’attenzione, che tutto mi fa paura. Una volta non la consideravo la paura, oggi la rispetto. Ne tengo conto, anche se non mi faccio fermare – no questo non è cambiato.

Se poggio l’attenzione dentro di me, a uscire diventa tutto minaccioso. Quindi scelgo con cura il punto in cui dentro e fuori si confondono, gioco sul cambio di prospettiva e sulla percezione di tempi contemporanei. Solidi, forse no, sicuri neppure. Certi, quello sì.

Non dura molto, di nuovo sguardo attorno e vertigine. Ma non mi faccio fermare.

b__

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(68) Cittadino

Non so bene che significato dare a questo termine perché nomina l’appartenenza e faccio fatica, molta fatica, ad appartenere a qualcosa o a qualcuno. Fosse anche solo a un concetto. Non lo so, sento un urlo dentro che mi spinge lontano, dove posso essere di nessuno e legata a niente. Forse, però, è soltanto una difesa.

Non ho mai creduto che un voto potesse davvero far fluire le sorti del paese da una parte o dall’altra in modo evidente. Le cose che riguardano i popoli avvengono molto lentamente, preparano per decenni le conseguenze senza che nessuno lo noti (appositamente o inconsapevolmente). Ecco, le conseguenze precipitano veloci. Quando le vedi è troppo tardi.

Più che appartenere posso riconoscermi in un certo tipo di persone, quelle che vanno sulla loro strada con dignità e una certa coerenza intima. Anche se da fuori non si nota, anche se per conoscerle lo devi proprio volere perché non succede per caso.

Io non le cerco, le incontro. Le riconosco come a me vicine per visione o per ambizione e, ogni volta che succede, ne sento il benefico effetto come un balsamo corroborante.

Per caso il mio paese è l’Italia, ma non è un caso se sono ritornata qui a vivere.

Non so perché l’ho scritto, forse per ricordarmelo. Se me lo dimentico sono nei guai, accidenti.

b__

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(67) Nome

Ho fatto pace con il mio nome. Me ne sono accorta oggi: 4 dicembre = Santa Barbara. No, non perché io mi senta una santa (anche se a volte la mia pazienza mi sorprende, scherzo!) forse soltanto perché ormai è un nome che mi rappresenta.

Ho imparato a conoscerlo, a comprenderlo, a farlo mio. Credo che sia anche merito suo se sono così oggi. Voglio dire: straniera. Essere straniera è una condizione profondamente interessante: lo sei prima di tutto nei confronti di te stessa perciò ti conviene tenerti d’occhio per capire chi sei.

Un insegnamento importante, questo, perché guardi gli altri come “ovviamente stranieri” (se lo sei tu stessa nei tuoi stessi confronti, figurati gli altri) e presti loro più attenzione perché sai che l’attenzione che ti imponi ti aiuterà a conoscere mondi che potrebbero esserti alieni per sempre se non ti ci metti d’impegno.

Un’altra cosa importante: dai per scontato che tu agli altri risulti straniera (se lo sei tu stessa nei tuoi stessi confronti, figurati come gli altri possono “sentirti”) e porti pazienza quando sei guardata con evidente sospetto, magari sei oggetto di rifiuto o fastidio o sei vittima di pregiudizi/preconcetti.

Barbara è solo questo e tutto questo: straniera. Che può essere letto come “strana” e come “estranea”.

Da come mi guardi mi guardi, resterò esattamente così: estranea, strana, straniera. Credo sia consolante, dopottutto. Azzarderei un “rassicurante”. Almeno sai cosa ti aspetta.

Devo questo nome a mio padre, al suo essere stato un artigliere, un alpino. E quando mi è stato imposto (durante le lezioni di stenografia) di venire a patti col mio nome, non mi rendevo conto di quale lezione fondamentale mi venisse chiesto di imparare. Ci ho messo un po’ di tempo, ma non sono mai veloce nell’imparare le lezioni, purtroppo.

Però, una volta che l’ho imparata non la dimentico più. Una volta che l’ho imparata è mia e la posso anche condividere.

Credo che iniziare dal proprio nome sia un bel modo per avvicinarsi a noi stessi.

Parola di straniera.

b__

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(66) Bene

Il bene che vuoi alle persone a cui sei legato non lo tieni in mano, non ci sta. Te lo puoi avvolgere attorno come uno scialle, ti tiene caldo anche se stai marciando contro vento e il vento è quello freddo che arriva da dentro.

Ho la fortuna di voler bene a persone che mi sanno avvolgere e che mi aiutano a non farmi abbattere dal mio vento.

E il mio vento non è più gelido, ora è tiepido.

b__

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(65) Sollievo

Credo che la cosa che più vorrei donare a chiunque si trovi in una brutta situazione sia: sollievo. Sollevare da un peso, da una sofferenza. Sollevare il velo della disperazione per far indovinare che al di là c’è aria pura da respirare a pieni polmoni.

Libero da una preoccupazione, da un’ansia, da un timore. Ogni volta è un rinascere.

Il mio sollievo di oggi è immenso, ha profonde radici, ha ampi orizzonti. Guardo la fonte del mio sollievo e non posso che provare una profonda gratitudine. Si apre in me ancora la capacità di credere che è solo l’inizio e che il peggio è passato.

Ogni volta è un rinascere.

Poter essere di sollievo a qualcuno che ne ha profondo bisogno, credo sia la cosa più preziosa che si possa donare. Durasse anche solo un secondo, non importa. Quel secondo può espandersi in eternità e creare nuova vita.

b__

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(64) Disequilibrio

Mancanza di equilibrio = disequilibrio (o disquilibrio).

Letta così è piuttosto una condanna: mancanza. Ti manca l’equilibrio e fai fatica a stare in piedi, fai fatica a camminare e pure a stare fermo. Se lo si legge in termini di tempo, il per sempre o per il momento fa la differenza.

In generale non manco di equilibrio mentale, ma se vado nel particolare posso ammettere tranquillamente che perdo l’equilibrio molto facilmente. Un colpo di vento e mi ritrovo per terra.

Il fatto che inciampo spesso ne è la prova.

Inciampo anche sui miei stessi piedi, il che è ridicolo lo so. Mi dimentico il corpo mentre la mente è altrove, non faccio caso agli ostacoli né a dove metto i piedi. Figuracce ed ematomi sono all’ordine del giorno. Non mi sorprendo più di quanto riesco a essere goffa, neppure me ne vergogno più, lo do per scontato che proprio quando meno dovrei… inciamperò. Amen.

La cosa peggiore, però, è quando mi succede dentro. Allora sì che vorrei scomparire, perché quella mancanza può avere riverberi dolorosi e il per sempre è quasi assicurato.

Il paracadute non serve, neppure fare più attenzione serve quando si tratta di cose dell’anima. Se inciampi con l’anima in un ostacolo, stai pur certo che è l’ostacolo che l’anima ha cercato per te senza prima avvertirti e tu ci sei cascato. Lì devi imparare qualcosa, non sarà bello, non lo capirai subito, non ti piacerà quello che capirai (se lo capirai), ma resterà con te per sempre.

Ho inciampato, ancora non capisco, l’Anima fa silenzio, io brancolo senza equilibrio. Raggiungo il letto e…

buonanotte.

b__

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(63) Intenzione

Non riuscirò mai ad accettare che la mera intenzione non è sufficiente a far funzionare le cose. Perché nell’intenzione uno ci mette l’Anima. L’intenzione è il desiderio espresso in parole creatrici. Eppure Non Basta.

Ci sono le correnti in mezzo. Quelle fredde, quelle calde, quelle contrarie, quelle a favore, quelle che non perdonano.

L’intenzione non può bastare, mi ripete tutto quello che mi ruota attorno. Senza, però, darmi un’alternativa più efficace.

Allora, io ancora e ostinatamente mi aggrappo all’intenzione. La mia.

b__

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(62) Vuoto

Devo imparare a guardare meglio dentro il vuoto. Il mio astigmatismo non mi aiuta, però.

L’unica cosa che so essere cambiata è che non cadrò di testa. In ginocchio, se non in piedi, ma non di testa.

Devo cercare meglio dentro il vuoto. Usare le mani, le orecchie, il naso, la bocca, ogni volta che gli occhi non sono abbastanza.

Del dolore parlerò un’altra volta.

b__

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