(782) Idiota

Ci sono soglie che non si dovrebbero superare. Ce lo dice il buonsenso, ce lo dice l’esperienza, ce lo dice chissà-chi-ma-qualcuno-ce-lo-dice-di-sicuro perché quando lo stiamo per fare la voce ci rimbomba dentro con una certa potenza: i-d-i-o-t-a!  E noi già sappiamo tutto quello che ci capiterà da lì a poco.

Ricordo l’ultima volta, l’ultima volta che me ne sono fregata di quella voce ammonitrice andando ben oltre la soglia, e pensavo mi fosse bastata. No, a una vera idiota le lezioni non bastano mai. Fatto sta che ora è tutto un scivolare verso quella soglia e sembra che qualcuno ci abbia messo l’olio per quanto liscia mi pare la via. Eh. Non dico altro.

Vorrei invece analizzare ora la sensazione del non-me-ne-frega-niente che precede il disastro: ecco, penso che in questo semplice e diretto concetto si concentri l’essenza dell’Essere Umano.

Non significa che non lo so. Non significa che non possa cambiare rotta. Non significa che son presa dagli eventi e povera me. Non significa che m’illuda del fatto che stavolta potrebbe andare meglio. Non significa che io mi avvalga di qualche segreto acquisito lungo la via della vecchitudine che mi salverà il culo un attimo prima. No. Tutto questo sarebbe ridicolo, vero?

Significa proprio che so, sono capace di intendere e di volere, me ne prendo tutta la responsabilità, sono pronta per affrontare la disfatta e lo faccio come se non me ne fregasse niente. Anzi, in fin dei conti me ne frega niente perché altrimenti farei altre scelte. Quindi: sono pronta, lo ripeto. Sia quel che sia.

Senza nulla togliere all’idiozia che ne fa da base, questo pensiero è comunque tipico dei folli, dei grandi personaggi di cui sono pieni i libri e che ci intrigano con le loro avventure… bello, no?

Sì, bellissimo. Dentro a un libro. Fuori un po’ meno. Eppure. E-P-P-U-R-E non se ne parla di frenare, di cambiare direzione, di almeno rallentare sperando in un rinsavimento. NO.

Il dado è tratto. (Cesare)

Sì, mi rendo conto, ma guarda che saranno casini inenarrabili. Guarda che te ne pentirai ogni giorno della tua vita. Guarda che poi la menerai per decenni di quanto la Sorte si sia presa gioco di te, ben sapendo che sei stata tu a volerti beffare di Lei – che non è astigmatica e ti riconosce ormai lontano mille miglia. Guarda che poi te ne penti e lo sai benissimo.

No. So che mi lamenterò. So che piangerò. So che la menerò per decenni rifacendomi alla Sorte, alla sfiga e a tutto il resto. Lo so. Ma non mi pentirò. Non l’ho mai fatto. Mai pentita di nulla, purtroppo.

Non me ne pentirò, fidati Babs.

Eh.

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(774) Fragilità

Non ci facciamo i conti, ci pensiamo Déi, poveri noi. La fragilità è il nostro limite e il nostro limite ci parla giorno dopo giorno senza che noi prestiamo ascolto. Il nostro corpo è fragile, la nostra mente è fragile, le nostre convinzioni sono fragili, la nostra fede, la nostra volontà. Tutto quello che di buono abbiamo, in un istante con un colpo di forbici può essere tagliato via. La nostra rabbia, il nostro odio, la nostra arroganza, la prepotenza del nostro volere, invece… nessuna fragilità. Tutto quello che di pessimo riusciamo a fare di noi stessi è tutt’altro che delicato, diventa un macigno che rotolando si porta via tutto il resto. Senza pentimenti, senza cedimenti. Impressionante.

Il male, ce lo raccontano al cinema, non si ferma mai. Neppure la morte riesce a fermarlo. La nostra fragilità di fronte al male si propaga in modo devastante, ci sentiamo andare in briciole anche senza morirne. Perché non moriamo? Neppure quando il cuore ci va in pezzi, quando il corpo frana, quando la mente se ne va altrove, lontano da noi, perché?

Non sarebbe meglio? Alzi le mani, ti arrendi: ok, vado, hai vinto.

Non succede, non è così facile morire. Nonostante il tuo essere debole, spezzato, annullato dalla sofferenza, resisti. Non molli. Non per tua volontà, certo, non sai il perché, sai solo che non molli. Chi sta decidendo per te? Quale Dio crudele sta appropriandosi del tuo libero arbitrio per fare di te un fantoccio dolorante con cui giocare?

Nessun Dio, credo. Piuttosto penso sia la vita. E la vita non si sceglie, ti capita. La vita c’è, oltre al tuo volere e ai tuoi desideri. Se ne frega della tua fragilità, se ne frega della tua dignità, se ne frega e basta. Perché?

Forse sa che siamo meno fragili di quel che vogliamo farle credere, che spesso ce la raccontiamo per amor del dramma, per lamentarci e per tirarci indietro dando poi la colpa a lei. Lei ci conosce, facciamo così da millenni, eppure siamo ancora qua. Forse non stiamo benissimo, ma stare malissimo è un’altra cosa. Continuiamo a prenderla in giro o ci decidiamo a crescere una volta per tutte?

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(732) Tentativi

La vita è fatta di tentativi. Niente di più e niente di meno. Tu provi e se ti va bene, tanto meglio, se ti va male ti devi far venire un’altra idea sperando che il nuovo tentativo vada meglio del precedente.

La cosa può essere agevolata se si è dotati di serbatoi di fortuna a cui attingere, se non è previsto dal contratto di nascita e la sfiga è compagna abituale qualsiasi imprevisto – di questo mondo e dell’altro mondo – interverrà puntuale per far andare all’aria tutto. Inutile nascondersi dietro a un dito: il Karma colpisce sempre e va a segno con inesorabile spietatezza.

La cosa più intelligente da fare è mostrare coraggio, domare la paura, farsi avanti e comunque tentare. Non perché poi ci si debba pentire di non averlo fatto – per alcuni è così, ma in linea di massima uno se ne frega di quel che poteva essere e non è stato – ma perché nel frattempo, ad attendere che la vita si accorga del nostro valore e del nostro merito, si fa la muffa.

Tentare, però, non basta. Bisogna anche farlo con una certa fiducia e una dose massiccia di senso dell’ignoto, ovvero bisogna diventare fatalisti. Se va va, se non va pazienza, andrà la prossima volta. O s’impara questa semplice formula di sopravvivenza oppure ogni volta che non va si cade in uno stato di prostrazione difficilmente sanabile. Anche se ce la metti tutta e non va bene… pazienza. Non è sempre colpa tua o colpa sua o colpa di chissà chi, è proprio che non doveva andare. Significa, forse, che non era il momento giusto o la cosa giusta per te. Chi lo ha deciso? Non lo so, non deve importarti, devi solo essere pronto per un nuovo tentativo. Perché? Perché altrimenti che diavolo fai? Stai lì a rotolarti nella tua miseria come un maiale nel fango? Ah, bella roba, complimenti!

Non è che le cose debbano andare per forza sempre bene, siamo fortunati se una cosa su mille ci va dritta. Dovrebbero dirci questo quando nasciamo così almeno siamo preparati. Nessuno te lo dice, lo devi imparare da solo. E quando lo impari non è che le cose cambino, le cose vanno veramente così. Non è uno scherzo. Come dici? Troppo faticoso? Ebbé, sì… troppo. Cosa vogliamo fare allora? Stare lì a lamentarci? Ti basterebbe?

Io mi cambio scarpe, cambio vestito, cambio colore ai miei pensieri, cambio visione, cambio ambizioni, cambio cambio cambio. Io cambio piuttosto di darmi per vinta. Cerco di cambiare in meglio, ovvio, ma non è detto che mi riesca ogni volta. Comunque, io cambio. E mi butto nel prossimo tentativo. Daje!

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(630) Occupazione

Occupare non è un verbo che mi piace, ma avere un’occupazione mi piace. Mi piace pensare che avere un’occupazione – inteso come avere qualcosa che ti occupi il tempo per sollevarti dai pensieri – sia un grande privilegio. Avere niente da fare tutto il giorno sarebbe per me la galera. Durerei due giorni due, poi mi butterei dalla Rupe Tarpea.

Ho impegnato ogni giorno della mia vita tentando di occupare le mie giornate in modo che mi fossero di giovamento. Per questo ho fatto parecchi lavori diversi da ragazza, appena quell’occupazione diventava noiosa routine mi davo da fare per trovarmi un’altra situazione. Continuavo a scrivere, è vero, ed era la cosa migliore che potessi fare. Quindi mi sono tatuata nel cuore le parole di Italo Calvino:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Così ho fatto. Inseguendo il bene, attraversando l’Inferno di tutti.

Quello a cui pensavo stasera è che avere qualcosa che ti occupi la mente, qualcosa che ti doni gioia, per poi magari metterlo in atto e renderlo concreto, è un diritto di tutti. Chi lo scansa pensando che il fare-niente, il pensare-a-niente, sia la grande libertà, la liberazione da tutti i mali, si sta ingannando. E non lo so perché tanti si vogliono rifugiare in questo inganno, non so se sia per paura o per pigrizia, so soltanto che si tolgono il sale della vita. Stai sognando il niente, mentre potresti sognare di fare tutto. Tutto. Fare tutte quelle cose che la vita ti offre affinché tu possa superare ostacoli e limiti superabili, per stare bene. Soltanto per stare bene. Stare meglio.

Fare niente, non suona brutto? Il niente chiama il niente, è un dato di fatto. Il niente non ti riempie, non ti soddisfa, non ti fa arrivare prima al Nirvana. Il niente ti annienta. E mi domando: come puoi pretendere che persone che affrontano l’ignoto perché hanno fame di vita, una volta superato ogni limite possano resistere nel niente assoluto in attesa che qualcuno decida per loro? Tu lo faresti? Quel tipo di persone nel niente non ci stanno. Lo hanno dimostrato affrontando l’Inferno più atroce, non c’è bisogno di chiedere loro alcuna ulteriore prova. Si sono guadagnati la vita, definitivamente.

Oltre le apparenze, quella loro fame vale molto più del niente anelato da chi ha tanto, fin troppo. Molto di più di chi sogna quel niente lamentandosi di quel troppo che ha.

Occupare la tua mente, le tue mani, le tue gambe con i desideri che alimentano la tua vita: non pensi che debba essere e che sia una benedizione dal Cielo? Io sì.

 

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(504) Risorsa

Ci sono giorni in cui gira male. C’è qualcosa nell’aria che ti ripete quello che non vorresti ascoltare, ma sei troppo vecchia per pensare che girando le spalle alle voci poi quelle scompariranno. Non succede mai.

Cominci a pensarci, perché sai che quel qualcosa non è un dettaglio, è la parte di te che ti ha sempre spinta avanti e quando si impunta è perché sei in un momento in cui potresti non avanzare. Più fai resistenza e più sai che è importante attraversare il fuoco e spingerti avanti. La tua risorsa più preziosa è la tua condanna, in poche parole.

Risorsa significa che, anche se non sai che c’è, sei dotata di una forza che non si doma, che non chiede di essere domata, che pretende spazio per espandersi. Risorsa significa che, anche se non è comodo né semplice, sei tenuta a prenderla in mano per farne qualcosa, altrimenti che starebbe lì a fare? La muffa? Eh! Risorsa significa che, anche se anziché muoverti ti sotterreresti volentieri, sei fortunata perché c’è ancora, è lì per te e ti servirà per crescere-migliorare-evolvere. Come dici? Sei stanca?

Ok, ci sta, sei stanca. Ma stanca di cosa? Di essere soffocata, bistrattata, mortificata o sei stanca di camminare, avanzare, evolvere? Perché ogni volta che ti gira male non è perché stai crescendo, ma perché stai involvendo. Non sei pigra, sei imbrigliata! Come dici? Sei legata stretta?

Esatto: sei affamata, sei segnata dalle briglie, sei esausta. Stai morendo di stenti, e lo sai. Vogliamo prenderla in mano ‘sta benedetta risorsa o ti lasci andare così come se non contasse nulla, come se non contassi nulla?

Ecco, appena avrai trovato la risposta agisci di conseguenza. Evolviti, santiddddio! E senza lamentarti.

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(339) Hula Hoop

L’impressione è quella di star giostrando un centinaio di hula hoops e non poter fermarmi altrimenti cadono tutti. Ogni hula hoop, ovviamente, è un pensiero. Santo cielo che razza di fatica!

Quando ero ragazzina ero una campionessa di hula hoop (era giallo), minuti e minuti senza mai farlo cadere a terra, dalle ginocchia su fino alla gola. Non so se fossi brava perché avevo solo un pensiero in testa o se ero soltanto più in forma. Non voglio indagare.

La questione che mi si pone ora è: quale hula hoop devo far cadere per non rimetterci la salute mentale?

Non è una decisione difficile, a prima vista, ovvero: tutti quelli che non mi servono. Ok, ma quelli che non mi servono ora mi potrebbero servire tra un po’ e una volta che sono caduti recuperarli è un casino. Senza contare che molti di quelli che ora mi servono spero che non mi serviranno da qui a una settimana, quindi perché dannarsi l’anima per tenerli su?

Posso far cadere quelli che hanno poca forza per andare d’inerzia, certo. Credo che quelli cederanno appena mi cala l’energie, naturalmente. Mi dispiacerà perderli, per quanto siano inutili mi dispiacerà.

Sono fatta così: mi lamento e poi tengo duro finché non crollo. Che fastidio!

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(320) Terra

Un pianeta piccolo, il nostro, eppure enorme. Enorme per quante meraviglie contiene, impossibile non innamorarsene o smettere di esserne innamorati. Vero?

Gli Esseri Umani hanno saputo creare e prosperare, usando tutto quello che il pianeta aveva a disposizione. Impossibile non essergliene grati, impossibile non prendersene cura, impossibile non fermarsi a deporre le armi quando si è decisamente andati oltre. Vero?

Ora ci sono due piccoli esseri vermicefali velenosi che scuotono la Terra come se fosse un salvadanaio da cui estrarre monete risparmiate. La Terra che ci ha riempito le mani con la sua incredibile ricchezza ci guarda attonita: “Ma come? Non vi basta? Tutto quello che c’è non vi basta?”.

Noi alziamo le spalle come se non ci riguardasse. La Terra trema, frana, s’indigna e noi ci lamentiamo per quanto la troviamo crudele. I due vermicefali ridono. Noi andiamo in vacanza. Se fossi la Terra mi sbarazzerei dell’intera Umanità. Subito.

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(309) Qui

Una questione di luoghi: qui o lì o là o qua? Io ho sempre preferito il qui. Non penso mai a dove vorrei essere, ma a dove sono. Se dove sono non mi piace m’invento qualcosa che me lo faccia piacere. Forse perché non è facile raggiungere i posti che vorrei e se ci penso troppo mi avvilisco.

Volente o nolente ho dovuto imparare che com’è il qui dipende solo da noi. Se lo viviamo decentemente possiamo sistemarcelo anche bene. Se lo viviamo lamentandoci e imprecando diventa un inferno.

Forse sono fortunata perché non ho mai troppa energia per imprecare e lamentarmi, la uso tutta per fare fare fare fare. E pensare. Penso tanto, forse troppo, ma è un’attività impegnativa che dà assuefazione.

Detto questo, se avessi davanti a me un adolescente malcontento glielo direi chiaro e tondo: prendi il tuo qui e rendilo irripetibile.

A pensarci bene lo direi a chiunque, sempre.

 

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(280) Dissociarsi

Prendere le distanze da quello che non ci piace, quello che ci ripugna, è un nostro preciso dovere e non un semplice diritto. Andare in piazza a manifestare è un modo per dirlo, per dichiararsi contrari e lontani da certe posizioni che ci indignano perché oltraggiose e ripugnanti. Eppure…

Ho sempre preferito dichiararmi e dissociarmi nel mio quotidiano dicendo NO a questo o a quello e mantenendo la mia posizione nonostante le conseguenze. Non partecipo a una manifestazione dal tempo della scuola e non lo faccio perché la folla mi rende nervosa (anche se festante).

Dico questo dopo essere stata apostrofata malamente perché non mi sembra fondamentale urlare in piazza il mio dissenso quando nel mio quotidiano porto addosso i segni di tale dissenso come conseguenza naturale, come mio dovere inalienabile. Tanti che urlano in piazza e si mostrano oltraggiati e ancora di più, nel quotidiano si gestiscono come topolini da laboratorio, fanno quello che gli si dice di fare per evitare conseguenze sgradevoli da portarsi addosso.

Però sanno lamentarsi. E non smettono mai.

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(246) Jackpot

Ho sempre pensato che la somma di ciò che fai, giorno dopo giorno, darà a un certo punto come risultato il tuo jackpot da ritirare. La tua vincita. Per tutti diversa, in qualità e quantità. Del tutto personale.

Lo penso ancora. Stavo, però, riflettendo sul fatto che molto probabilmente non ci accorgiamo del jackpot che ritiriamo – di periodo in periodo – perché sono somme modeste e le diamo per scontate, anzi: pensiamo siano solo un acconto.

Ritiriamo piccoli jackpot, periodicamente, da parte della vita e non ne abbiamo mai abbastanza perché pensiamo che solo un enorme jackpot sia degno di nota, solo un esorbitante jackpot sia la giusta ricompensa per il nostro faticare, il nostro sofferto vivere.

Grossa idiozia. So da molto tempo che spesso il jackpot che ho incassato era tutto quello che avevo accumulato in quel dato periodo e se da una parte posso non essere soddisfatta perché voglio di più, dall’altra non posso lamentarmi perché ho ricevuto molto e va bene così.

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(94) Anno

Può essere lungo a passare, ma non con costanza. Mi infastidisce, infatti, la mancanza di costanza. Meno della prevedibilità, ovvio.

Ci sono cose per cui vale la pena fermarsi a riflettere, analizzare, estrinsecare… altre no. Il succedersi degli anni, no. Temo neppure la qualità di ciò che si attraversa ne valga la pena, troppo suscettibile agli alti e bassi del momento.

Quello che resta, sì.

Dopo tutto quello che un anno ha saputo contenere ed elargire, capire cosa resta è importante perché resta soltanto ciò che vogliamo portarci nell’anno nuovo.

Siamo noi a decidere, a scegliere, a tenerci stretto o a mollare. Vale la pena farci un pensiero o due. Lontano dai festeggiamenti, quando il mondo tace – o perché sbronzo o perché già pronto a lamentarsi.

Quello che resta. Semplice.

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