(823) Puntine

Siamo arrivati a quel punto dell’anno (la fine) dedicato al tirare le somme. Davanti a me ho – proprio fisicamente – un pannello di polistirolo bianco e in mano una bella quantità di puntine. Andrò nelle prossime righe a scrivere tutte le cose che le puntine fisseranno sul pannello (che è il mio 2018). Siamo pronti? Via!

Il buono del mio 2018:

  • la mia famiglia
  • i miei amici
  • il mio lavoro
  • la mia salute (che sto recuperando)
  • il mio amor proprio (che sto recuperando)
  • la mia voglia di scoprire, conoscere, imparare (che non si ferma mai)
  • i miei progetti (ben lungi dall’essersi esauriti)
  • le mie sconfitte e le mie piccole vittorie
  • il mio esserci senza sconti (croce e delizia di chi mi sta attorno)

Tutto questo è il malloppo che nel 2018 ho mantenuto e accresciuto e che sono intenzionata a portarmi anche nel 2019. Perché è facile dire ora che l’anno appena trascorso è stato un delirio – e lo è stato senza il minimo dubbio –  bisognerebbe anche avere il coraggio di nominare il delirio pezzo dopo pezzo per capire se ne è valsa la pena. Direi, nel mio caso, sì. La fatica, le incazzature, i buchi nell’acqua, gli scivoloni, le botte in testa e quelle all’orgoglio, le cantonate, le speranze spezzate, le illusioni polverizzate: ne valeva la pena.

E non è che adesso io pensi che il 2019 sarà tanto diverso dal suo predecessore… ne sarà la giusta conseguenza: una serie di cunette, muri, precipizi a non finire. Perché è sempre stato così per me e sto iniziando a pensare che è così per tutti, quindi perché lamentarsi?

La cosa migliore di quest’anno, che ormai è quello vecchio, è che ha saputo cambiarmi. A differenza di altri suoi colleghi, che in passato ci hanno provato – santocielo se ci hanno provato – ma che hanno anche fallito miseramente, questo 2018 mi ha messa davanti a me stessa e mi ha urlato: “Ti svegli o no?!”. Ecco, non sarà stato molto carino, né tantomeno gentile, ma l’ho trovato appropriato e del tutto efficace. Pur di farlo smettere di gridare come un ossesso ho iniziato a fare in modo diverso, addirittura a pensarmi in modo diverso da come mi pensavo. Ho proprio provato a pensare di me qualcosa d’altro. Non necessariamente migliore, ma ho varcato certi confini che prima neppure vedevo. Non so come spiegarlo, so che ha funzionato. Ho cambiato idea su me stessa. Già a scriverlo mi fa paura, accorgermi che è la pura verità mi fa tremare le gambe. E adesso come farò?

Boh. Sono certa che il 2019 avrà le risposte che merito. E si salvi chi può!

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(243) Cerchio

Quando il cerchio si chiude fai un bel respiro profondo e di’ grazie. Perché il cerchio prima o poi si deve chiudere e la gratitudine è un modo perfetto per affrontare il fatto che si è chiuso.

Il nuovo cerchio sarà nuovo, bada bene. Non un duplicato, non una replica. Nuovo.

La nostalgia per il vecchio cerchio è cosa tenera, ma deve restare sentimento lieve e non premessa per riaprire quel che si è chiuso.

L’ho scritto perché so che ogni volta ci casco e ‘sta cosa deve finire. Ne ho abbastanza.

DI-SCI-PLI-NA della nostalgia, ecco una materia che devo approfondire se voglio fare un salto quantico. E lo voglio, santiddio.

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(94) Anno

Può essere lungo a passare, ma non con costanza. Mi infastidisce, infatti, la mancanza di costanza. Meno della prevedibilità, ovvio.

Ci sono cose per cui vale la pena fermarsi a riflettere, analizzare, estrinsecare… altre no. Il succedersi degli anni, no. Temo neppure la qualità di ciò che si attraversa ne valga la pena, troppo suscettibile agli alti e bassi del momento.

Quello che resta, sì.

Dopo tutto quello che un anno ha saputo contenere ed elargire, capire cosa resta è importante perché resta soltanto ciò che vogliamo portarci nell’anno nuovo.

Siamo noi a decidere, a scegliere, a tenerci stretto o a mollare. Vale la pena farci un pensiero o due. Lontano dai festeggiamenti, quando il mondo tace – o perché sbronzo o perché già pronto a lamentarsi.

Quello che resta. Semplice.

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