(881) Maschera

Sarebbe bello deporre le maschere. Tutte di tutti. Ci sarebbe di che ridere e di che piangere, suppongo. Riusciremmo a tenere botta o ci butteremmo l’un l’altro dalla rupe Tarpea? Eh.

Viviamo in un mondo mascherato, chi sembra bello fuori e dentro non lo è, chi è bello dentro e fuori non lo è, chi è brutto a prescindere e chi bello a prescindere (con e senza maschera). Come si fa a pararsi le spalle? Non lo so.

Ho sempre sostenuto di non aver mai indossato maschere, ma forse non è così. Tutte le volte che mi sono trovata in situazioni estranee al mio volere ne ho indossato una che non mi facesse sentire vulnerabile e perciò attaccabile. L’ho fatto, mi sono schermata, ho preso le distanze, ho sistemato me stessa in un luogo segreto per esporre quello che non avrebbero colpito o che non avrebbe attirato l’attenzione o che non sarebbe comunque risultato interessante. L’ho fatto. Me ne pento? No. Sono sicura che a fare in altro modo ci avrei rimesso le penne, quindi lo rifarei di nuovo. Anzi, lo faccio tutt’ora, anche se sempre meno.

Perché mi sento meno traballante, meno debole, meno in balìa degli attacchi del primo che arriva. Anche se ci sono persone che con niente possono annientarmi, senza neppure rendersene conto probabilmente, sono pur sempre poche. Le posso contare sulla punta delle dita di una mano.

Non me la sento di giudicare le maschere altrui, se sono usate con lo stesso mio scopo – quello di difendersi – sono ben motivate. Abbiamo il sacrosanto diritto di mostrarci per come vogliamo e quanto vogliamo, senza dare spiegazioni o giustificazioni a nessuno. Il diritto alla difesa è di tutti, no? Ok, se non uso la mia maschera per danneggiare qualcuno, allora guai a chi me la tocca. Deciderò io se togliermela e con chi. Nessun altro.

Credere alla bellezza o alla bruttezza fa capo a noi. Non è una maschera che ci può convincere né dell’una né dell’altra. E scegliere liberamente come mostrarsi rimane cosa intima, intoccabile.

Se per me questo ha valore, lo deve avere per tutti. Non sto difendendo la menzogna, sto rivalutando la scelta di ogni Essere Umano di rimanere di proprietà di sé stesso senza per forza darsi al pubblico dominio. Di questi tempi bisognerebbe pensarci bene.

 

 

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(817) Natale

Sto cercando di farmi venire idee natalizie, così da non stonare con l’atmosfera. Niente da fare. Fingere non mi riesce neppure a fin di bene. Il bene di chi? Della massa che sta festeggiando il Natale. Noi, Grandi Italiani, che abbiamo rifiutato di dare approvvigionamento a quasi 350 anime che stanno da giorni in mezzo al mare senza poter approdare in nessun porto. Buon Natale a tutti noi, noi che non ci pensiamo perché siamo al caldo e a pancia piena.

Questi sono i pensieri che mi ribollono in corpo in questi giorni. Non ci posso fare niente, il Natale per me rimane una bufala. La sagra dell’ipocrisia.

Certo, certo, c’è chi il Natale lo sente in modo sincero, c’è chi fa del bene, c’è chi ha fede e prega col cuore. Queste persone, però, lo fanno sempre, non solo a Natale. Queste persone sono sempre in linea con il proprio sentire, non fingono. Quindi non è con loro che me la sto prendendo. Con gli altri. E gli altri sono tanti.

Natale è quella cosa che, al di là del bambinello e del bue e l’asinello nella stalla, ti riporta a una nascita, a una rinascita anche. E non è facile nascere, figuriamoci rinascere dopo che la vita la si è conosciuta e la si è strapazzata per bene. Figuriamoci. Dovremmo prendere certe cose più seriamente, lasciare gli sketch da Zelig ai commedianti che abbiamo al governo. A loro viene bene la battuta e la menzogna, hanno sorrisi da spendere perché a loro non costano nulla. Plastica a perdere.

E a dirla tutta, io sono al caldo e a pancia piena, non sono in mezzo al mare a prestare aiuto, sto solo pensandoci qui al sicuro tra le quattro mura di casa. Quindi non è che mi senta proprio a mio agio a festeggiare, sono un’ipocrita almeno quanto quelli là, anche se in modo diverso. Io mi sento una merda, loro si sentono splendidi. Ma quel tipo di splendore non lo vorrei neppure gratis, figuriamoci se costa la vita a persone che hanno soltanto la colpa di voler vivere, vivere meglio intendo, e che invece se qualcuno non li aiuta moriranno atrocemente.

Sì, stanno ricevendo aiuto, ma non da noi italiani. Questa è una vergogna per tutti noi. Tutti, tutti, tutti. Noi non abbiamo concesso loro neppure coperte e un po’ di cibo per affrontare il Natale in mare, col meteo che non promette bene. Non ne parliamo, non ci pensiamo. Come se tutto fosse normale, tutto fosse a posto. Italiani brava gente. Certo.

Auguri, quindi, alla nostra anima di plexiglass. Ne abbiamo bisogno.

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(760) Sposa

Non ci ho mai pensato. Non ho mai pensato a me stessa come una possibile sposa. Chiaramente se non c’è pensiero non c’è concretizzazione di nulla. Chiaramente per me non è un vuoto, è esattamente come sono: così.

Non mi sono mai immaginata indaffarata nel cercare il mio vestito da sposa, a fare liste di invitati, assaggi di menu e torte e via di questo passo. Mai e poi mai. I miei pensieri sono sempre stati altrove

Voglio fare un ulteriore passo indietro: non mi sono mai immaginata un Principe Azzurro, una fiaba felice, un idillio amoroso. Mai e poi mai. Ho avuto però passioni, ossessioni e grandi amori, li ho avuti comunque, li ho vissuti comunque.

Non mi sono mai confusa con un’altra Anima, mai pensato di essere la metà della mela di qualcun altro, mai sognato due cuori e una capanna, mai voluto condividere il mio Cornetto Algida con chichessia. Il pensiero che ha queste origini non mi appartiene, può piacere o meno ma rimane così.

L’allarme mi suona di orecchio in orecchio quando si usa l’appartenenza come vincolo di sangue, come promessa del per-sempre. L’Amore non pone veti, non traccia limiti, non lega con corde e non benda gli occhi. Chiamiamolo con altri nomi quel gioco, ci sono molti altri nomi con cui chiamarlo.

Trovare l’anima gemella è il tranello, l’anima gemella è l’inganno. La sua immagine è la menzogna di un malefico incantesimo che ci rende supplichevoli, arrendevoli, vittime. Se scartiamo la tagliola scopriamo la Potenza che senza neppure essere nominata ci trasporta verso un Uomo con la voglia di scoprire com’è il mondo dall’altra parte, dove il femminile è guardato e studiato ma ben poco vissuto per quello che realmente può essere.

Non sono sposa, non lo sarò. Una scelta che non mi ha mai tormentata con dubbi e sensi di colpa scaturiti da ridicoli dictat sociali. Ho amato, amo e amerò. Non ho bisogno d’altro. E se mi chiedete ancora il perché è giusto che sappiate che non ho più intenzione di cercare altre risposte che vi possano compiacere. Ho terminato le scorte di pazienza e anche quelle della compassione. Vi beccate quel che è senza filtri. Perché “Così è (se vi pare)” (cit. Luigi Pirandello).

 

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(544) Intervista

Sono stata intervistata e per me non è la normalità, di solito le interviste le faccio io. Grazie all’ascolto e alla capacità di gestire la situazione dei miei intervistatori è stata un’esperienza molto piacevole. Non ricordo esattamente cos’ho detto, perché non c’era nulla di preparato, ma lo saprò appena la riascolterò in radio.

Ho smesso di preoccuparmi, per questo. Forse sono una sconsiderata, per questo. Nonostante ciò faccio affidamento soltanto su una cosa: la mia incapacità a fingermi chi non sono. Questo mi mette al riparo da qualsiasi strafalcione io possa dire.

Nel tempo le cose escono, quelle vere e quelle non vere. Non voglio preoccuparmi di quel che sarà, quindi se resto fedele alla mia piccola verità non corro rischi inutili. C’è una grande apprensione nel cuore di chi non sa affermare la propria piccola verità e si affida al proprio talento narrativo gonfiando la portata del racconto. Le cose poi sfuggono di mano e la valanga ti travolge. Preferisco evitarlo.

Io scrivo storie, racconto storie, ma non mi racconto storie. Sono limitata, finisco presto. Quello che sono fa capo a quello che faccio e quello che faccio non è memorabile, non è magnifico, è soltanto onorevole. Ecco perché chi la racconta troppo grossa mi fa dubitare. Ecco perché chi si proclama umile mi fa scattare come una molla dall’altra parte della stanza. Ecco perché non faccio leva sull’opinione che ho di me per presentarmi agli altri, soltanto sulla realtà che ho potuto/saputo costruirmi e che per me può parlare senza menzogna.

Questa è soltanto una riflessione di fine giornata, non vuole di certo essere una esternazione egoica per prendermi un applauso. Anche perché finché non sono io ad applaudire me stessa nessun altro applauso potrebbe convincermi di essere la persona che vorrei essere. Che tipo di persona vorrei essere? Semplice: una che vive senza paura di essere o non essere, avere o non avere. E resta sempre questo il problema, aveva ragione Shakespeare.

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(97) Illuminare

Non è mia intenzione condannare il buio. Il buio è la condizione in cui il nostro corpo si può rigenerare per farci affrontare di nuovo la luce , e quindi il giorno. Se, però, vogliamo allargare un po’ il concetto, nell’oscurità ci sono i nostri mostri personali. Illuminare la zona li dovrebbe far scomparire, questo ci hanno detto.

Ci hanno mentito. Evidentemente.

Non sto qui a puntare il dito su chi e su come ci hanno preso in giro e continuano a farlo. Sono bravissima a polemizzare, ma ora non ne ho voglia. Fatto sta che non basta illuminare la zona per risolvere il problema mostri. Ti piacerebbe, eh? No, una volta che li hai illuminati dovresti pure affrontarli. Affrontarli non significa che li sconfiggerai, non tutti almeno.

Credo che ci siano mostri che son con noi per restarci. Altri meno, quelli li possiamo anche combattere e sconfiggere se facciamo sul serio. I mostri che restano, illuminati, si fanno più furbi (appunto perché illuminati) e son cazzi. Vorrei dirlo in modo più elegante, ma non me ne viene nessuno al momento. I mostri sgamati si infastidiscono di tutta quella luce e si attrezzano al punto da darti il tormento in modi che tu manco ti immagini.

Da lì parte la mia riflessione di stasera: illuminare tutto è proprio proprio proprio necessario?

No.

Se, però, non lo fai manchi di coraggio e un po’ (dentro di te) inizi a farti schifo. Ecco, questo colpo di coda potrebbe rovinarti la vita. Bisognerebbe farci i conti prima di prendere la decisione di restare al buio.

Che poi sbatti il naso contro la porta, il mignolo nella gamba del letto, il ginocchio sullo spigolo del comodino.

Accendi la luce, dai!

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