(122) Pazienza

Essere addestrati alla pazienza, questa la grande ricchezza della mia vita. Non sto scherzando, tutti i miei desideri concretizzati hanno avuto tempi giurassici. 

La colonna sonora della mia esistenza potrebbe essere: “Patience” dei Guns’n’Roses. Just a little patience – cantava Axl al culmine della sua carriera e del suo fascino selvaggio – eh, Axl, a guardarti adesso viene davvero da esclamare Pazienza! (ma come ti sei ridotto, santocielo?!).

Metto da parte per stasera tutte le imprecazioni che l’andare a velocità triplamente rallentata rispetto a molti altri mi suscita ogni volta che ci penso e guardo la cosa dalla prospettiva opposta.

So aspettare. Nell’attesa so cosa fare (lavoro, studio, vivo, cresco) e non perdo tempo. Se avessi avuto pazienza e semplicemente aspettato, sarei morta d’inedia, invece eccomi qui. Sono ancora molto paziente e piuttosto presente nella mia modesta esistenza di lottatrice di sumo (visto l’agilità e la stazza non potrei paragonarmi ad altro atleta).

Detto questo: c’è un limite anche alla pazienza.

Credo che ora dovrò imparare a non essere paziente. Almeno non sempre. Esserlo con discernimento (e non perché devo fare la brava) è il mio prossimo goal.

Si salvi chi può.

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(121) Gentilezza

Quando puoi fare qualcosa, anche mettendo a rischio la tua faccia, per aiutare qualcun altro raggiungi in un colpo solo il livello massimo di gentilezza a cui sia possibile ambire. Quella che ti rende indimenticabile al cuore di chi ha potuto godere del tuo gesto.

Essere ricordato con un sorriso e un intimo grazie (eterno) credo sia il premio più dolce e gratificante che uno possa desiderare.

Oggi ho ricevuto una di queste gentilezze.

Non lo dimenticherò mai.

(sorriso——–grazie)

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(120) Rispetto

Mi voglio soffermare sul rispetto (dovuto e dato) con significato di considerazione. Considerare l’Essere Umano che ti sta davanti, o accanto, come tale e quindi portatore sano del diritto di essere rispettato, è l’unico modo per me di interrelazionarmi con i miei simili (inteso come Esseri Umani). Quando l’Essere Umano (chiunque sia) che ho davanti, o accanto, mi priva del mio diritto e mi manca di rispetto divento una belva.

Si dice che il rispetto uno se lo deve guadagnare. Bene, non sono d’accordo. Il rispetto (quello di cui ho scritto sopra) è dovuto di default. Dirò di più, coinvolge ogni Essere Vivente e Madre Natura in toto.

Ci si può guadagnare la fiducia di qualcuno, ci si può guadagnare l’amore di qualcuno, ci si può guadagnare la benevolenza di qualcuno, non il rispetto.

Mi è stato insegnato, purtroppo, che non va bene alzare la voce per rimettere a posto qualcuno che ti manca di rispetto. Un insegnamento fuorviante. Credo che sia nostro diritto non solo alzare la voce, ma anche usare parole ferme e pesanti quando chi interagisce con noi ci manca di rispetto.

Avrei dovuto impararlo prima, mi avrebbe aiutato parecchio, ma in questi giorni sto cozzando su più fronti contro queste cose e sento un dolore profondo, come se mi si fossero presentate davanti una dopo l’altra tutte le umiliazioni che nei miei anni non ho mai saputo rispedire al mittente.

Una sorta di catarsi.

Spero finisca presto.

 

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(119) Misura

Ognuno di noi ha le sue misure. Nelle mie misure ci sto dentro bene (sono una misura piuttosto comoda, ahimé), ma anche se c’è posto per molte cose, non per tutto.

E non dico che faccio bene, dico solo che è così.

Ognuno di noi dovrebbe essere ben conscio della propria misura, diventa brutto adeguarsi alla misura degli altri e si rischia di rimanere schiacciati o di essere sbattuti a destra e a manca rompendoci la testa.

La misura è colma. Se lo si afferma, è vero. Non lo si dice tanto per dire, questa è una frase che ha una certa portata. Se la si fa seguire a un punto è irreversibile. Con un punto esclamativo (La misura è colma!) è liberatorio. Con una virgola (La misura è colma, ) si suppone ci sia spazio per una motivazione, con i due punti (La misura è colma: ) si calca un po’ la mano, con i puntini di sospensione (La misura è colma… ) si anticipa il disastro.

Sto divagando. Volevo soltanto far presente che ognuno di noi ha il dovere di badare alla sua misura e che quando è colma ha il diritto di farcelo notare.

Con la punteggiatura che più gli/le piace.

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(118) Riflesso

La realtà delle cose confonde. Prospettive, punti di vista, opinioni, false credenze e pregiudizi vari invalidano la realtà di cose e persone.

Il riflesso no.

Il riflesso delle cose è sfacettato, è evanescente, è sfuggente, è misterioso, è intrigante, è pieno pieno pieno di sorprese. Mi sono chiesta a un certo punto della mia vita chi me lo facesse fare a focalizzare l’attenzione sulla realtà delle cose (che non mi era mai limpida, essendo io fortemente astigmatica), perché invece non far vagare la mia attenzione sui riflessi?

Attenzione: astigmatica significa che vedo sfocato tutto, ma non tanto da andare a sbattere (quello è dovuto alla mia goffaggine e non al mio difetto di vista) contro il mondo (sbatto contro i muri che scelgo e non quelli che mi scelgono).

Ora: ho scoperto molto più della realtà studiandone i suoi riflessi. Riconosco le trappole per i rumori di sottofondo, annuso l’aria ed ecco che stanno per arrivare menzogne a non finire, guardo ciò che tu non guardi e – toh! – colgo la tua verità.

Fidatevi: il riflesso del mondo vi darà risposte su cui potrete contare.

[Non saranno tutte belle, ma neppure la realtà lo è. Mai]

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(117) Buongusto

buongusto (o buon gusto) s. m. [grafia unita di buon gusto], solo al sing. – 1. [attitudine a gustare ed apprezzare le cose belle] ≈ classe, eleganza, finezza, gusto, raffinatezza, ricercatezza, stile. 2. [capacità di valutare l’opportunità di azioni e parole] ≈ accortezza, buonsenso, delicatezza, discrezione, garbo, sensibilità, tatto. ‖ intelligenza, perspicacia.

Ho voluto andare a cercare nella Treccani il significato preciso, perché volevo rileggermelo e farmelo scivolare dentro. Ne avevo bisogno.

Non frega nulla a nessuno, evidentemente, ma essere in balìa di persone che ignorano totalmente l’importanza di questo termine e l’enorme valore aggiunto che un Essere Umano acquista quando gli si attiene… mi rende furibonda.

Se l’eleganza, la finezza, lo stile, sono doti naturali – e poco le puoi inculcare in chi è tagliato grosso – l’accortezza, il buonsenso, la delicatezza, la sensibilità, il garbo si possono insegnare. Rientra nell’ambito dell’educazione.

Il buongusto ci fa fermare un secondo prima di diventare fastidiosi, molesti, fuori luogo, indisponenti, cafoni e anche teste di cavolo. Un passo prima. Ti fermi, valuti la circostanza e ti tiri indietro.

Questa accortezza ti rende un amabile Essere Umano con cui aver a che fare. Non sto parlando di essere buoni, quella è cosa dei santi, sto parlando di buongusto. Fa parte dell’amor proprio, di quel sentimento che se lo calpesti ti fa vergognare di esserti lasciato andare e esserti comportato da buzzurro, cafone, troglodita, idiota e testa di cavolo.

Ti fermi prima, giusto un passo prima, perché ti vergogni di mostrarti per quel che sei e decidi di dare al mondo la parte migliore di te.

Ecco. Lo possiamo fare tutti. Basta fermarci un misero passo prima. Non è mentire, è gestirsi con accortezza. Rendersi odiosi non è una scelta intelligente, neppure per un troglodita testa di cavolo.

 

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(116) Muro

Ogni volta che ne ho trovato uno ho dato una cornata. Così, tanto per saggiarne la resistenza. Molti si sono frantumati al primo sbang, altri mi hanno rotto le corna. Poi le corna ricrescono, mi sono sempre detta, e così hanno fatto. Solo che fa comunque male e non è che se te le rompi una volta fa male e la volta dopo fa meno male perché tanto ti ricordi che male ti ha fatto la prima volta.

Questo per dire che sono stata piuttosto sciocca in questi miei anni a sottovalutare quanto fa male rompersi le corna contro un muro.

Un muro, soltanto perché è un muro, non mi fa pensare che l’accesso mi sia negato, mi fa solo prendere atto del fatto che davanti a me c’è un muro. Sta a me valutare, di volta in volta, se vale la pena passarci attraverso e quanto sono disposta a sacrificare per farlo. Sì, perché le corna non sono l’unica cosa che ci rimetti quando carichi un muro. C’è tutto quello stato d’animo difficile da spiegare e impossibile da gestire che accompagna l’azione: da quando prendi la mira, allo sbang, fino al sanguinamento con bendaggio (e relativa convalescenza).

Determinazione e focalizzazione dell’obiettivo (bella carica delle tue motivazioni interne), adrenalina e potenza (tutta quella che hai, pur non essendo Hulk) che anche se non vuoi ammetterlo si porta con sé qualche aspettativa ottimistica, e accettazione della realtà (muro troppo duro e corna rotte) che comporta una presa di coscienza anch’essa piuttosto dolorosa (che presuntuosa sono? Mi sta proprio bene, così la prossima volta ci penso due volte prima di andarci addosso).

Cos’è che ti frega la prossima volta? Semplice: il crederci. Credere che quel muro sta lì per farsi buttare giù. Proprio da te.

Sbang!

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(115) Urlare

Va bene farlo, non tutto il tempo, ma ci sono occasioni in cui farlo è inevitabile. Non fa proprio bene, neppure a te, anche se è vero che se tieni tutto dentro rischi di implodere. Bisogna farlo nel modo giusto, nel momento giusto e con chi davvero se lo merita. Raramente avviene con modalità controllata, purtroppo.

Non mi piace urlare, me lo evito finché posso. In tutta la mia vita l’avrò fatto tre volte, me le ricordo benissimo, mi ricordo soprattutto come mi sentivo. Ero fuori di me, una cosa che mi ha spaventata. Se ci penso sto ancora male. La gente che urla mi fa venire la pelle d’oca, mi fa venire voglia di scappare il più lontano possibile.

Quando urli addosso a una persona crei un’energia violenta che ha ripercussioni che non puoi né valutare, né controllare. E se ci fai attenzione dentro di te qualcosa cambia. Non è proprio vero che ti senti meglio, ti senti vuoto.

Vuoto non significa che stai bene. Vuoto significa vuoto.

Quando senti che ti mancano di rispetto, urlare serve a poco. Andarsene funziona. Rende tutto inequivocabile. Un addio di questo tipo lascia il vuoto in chi ti sta urlando addosso, non dentro di te.

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(114) Altalena

Non mi sono mai piaciute le altalene. Certo, puoi andare in alto se ti spingi per bene, ma non ti muovi veramente, rimani nello stesso punto per sempre (finché scendi, ovviamente).

Mi è sempre piaciuto invece andare veloce: con la bicicletta, con i pattini, anche correndo (finché le mie gambe hanno deciso che ne avevano abbastanza e me la stanno ancora facendo pagare).

Nei primi anni da patentata avevo una Abarth A 112, di ottava mano (credo), che andava come un fulmine e ho rischiato parecchio in più di un’occasione. Non lo dico per vantarmi, ma ero giovane e incosciente. Ora guido con più cautela, mi diverto di meno, ma tengo di più alla mia pelle e a quella degli altri (si chiama: crescere).

Dico tutto questo non so bene il perché, pensavo fosse una questione di altalena (dei sentimenti), ma se sto andando fuori tema è evidente che mi premeva dire altro. Non ho capito ancora cosa sia questo “altro”. Non sempre quando mi metto qui a scrivere so dove sto andando a parare. Diversamente da quando mi metto a raccontare una storia, lì so dall’inizio dove voglio andare a parare.

Concluderò affermando che: andare su e giù in altalena non mi piace neppure adesso, preferisco spostarmi nello spazio. Se succede velocemente, spesso è meglio. Non tutti i viaggi meritano lentezza. 

Ora, se non vi dispiace, fatemi scendere dall’altalena che ho la nausea.

Grazie.

 

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(113) Mente

Trovo abominevole che a scuola non si faccia neppure un minimo cenno a come funziona la nostra mente, la nostra memoria, la nostra logica (sì, neuroscienze in soldoni), credo sia abominevole.

Se un ragazzo non sa come funziona il suo cervello, come il suo cervello lo può gestire se non impara a gestirlo lui, come il suo cervello può salvarlo quando il suo cuore è a pezzi, come il suo cervello può essere la sua dannazione se non se ne prende cura e se non lo tratta in modo corretto, come diavolo può capire gli effetti devastanti sulla sua mente di una droga, dell’alcool e di ogni abuso in cui si potrebbe imbattere?

Facciamo innamorare i nostri ragazzi delle proprie menti, aiutiamoli a usarle bene, a guardarsi dagli inghippi cervellotici e a ampliare il più possibile la portata delle loro capacità.

Diavolo, facciamolo subito!

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(112) Ispirazione

Quando manca te la devi far venire. Non è che uno si muove soltanto se è ispirato, bisogna farlo e basta. In linea generale vedo troppa gente che aspetta l’ispirazione prima di muoversi e nel frattempo si lamenta.

Ecco, non è che io sia baciata da ispirazioni luminose e costanti, tutt’altro, e quando attraverso periodi non proprio motivanti mi lascio andare un po’, ma ho provato sulla mia pelle che più non ti muovi e più fatica fai a muoverti. Anche se l’ispirazione t’arriva e ti colpisce dritto in fronte sul terzo occhio, se sei anchilosato perché sono anni che non ti schiodi da dove stai… bé, l’ispirazione avrà la peggio.

Vincerà la tua pigrizia.

Non facciamoci ingannare, ci sono diversi tipi di pigrizia e generalizzare non fa bene a nessuno. Per esempio io sono affetta da quella fisica: appena smetto di impegnarmi in un’attività fisica (per l’amor del cielo, mai stata un’atleta, ma certi sport li ho praticati pure io) che sia la palestra, la piscina, la pista di pattinaggio o quella di ballo, poi a ricominciare… campa cavallo! (rima involontaria, scusatemi)

Ok, dovrò guarire da questa indolenza, me ne rendo conto sempre di più mano a mano che il tempo passa e invecchio, ma… ma in tutta sincerità se la tua mente è attiva e capace di movimento, a un certo punto il tuo corpo obbedisce.

Viceversa è un casino.

Se sei affetto da pigrizia mentale, auguri. Davvero, credo che sia la malattia peggiore, quella più diffusa e quella più sottovalutata. Inizia a prenderti quando sei piccolo e non ti molla per tutta la vita. E se la tua vita è destinata a durare a lungo, aver a che fare con una mente pigra è una condanna che non augurerei a nessuno.

Detto questo, ribadisco il concetto: attendere l’ispirazione per fare qualcosa (qualsiasi cosa) è da rassegnati, da pigri, da lamentosi, da perditempo.

L’ispirazione bacia i vivi e non i morti.

Daje.

 

 

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(111) Puzzle

Noi siamo le tessere del puzzle, ma qualcuno ci ha tolto la scatola con la nostra immagine di riferimento poco prima di arrivare qui.

Potrei dilungarmi giorni per spiegare questa mia conclusione, modesta e banale ma pur sempre mia, e non cambierebbe nulla rimarrebbe così: modesta e banale. E pur sempre mia.

Non è raro che le mie esternazioni siano modeste e banali, non lo dico come un vanto, anzi, ma è anche vero che sono il frutto di ragionamenti anche complessi che poi non riesco più a sostenere allora vado di semplificazioni e mi ritrovo modesta e banale. E affaticata.

Questa cosa del puzzle è perché li amavo molto da bambina, ne facevo di bellissimi (con tessere piccole e in numero spropositato), e mi sono resa conto qualche anno fa che mi stavo ricostruendo come fossi un puzzle. C’erano i pezzi di me sparsi in giro e, semplicemente, me li andavo a recuperare uno a uno per sistemarli bene. C’erano dei vuoti e ora ce ne sono molti di meno, mancava la cornice per la gran parte, ora sembra che la cornice ci sia tutta.

L’immagine la riesco a intravedere, forma e colori escono con forza, nell’insieme lo trovo bello questo puzzle, ma m’è venuto un dubbio: e se mi mancassero dei pezzi che non potrò inserire perché son finiti sotto il divano o li ha mangiati il cane o li ha buttati qualcuno nel cestino senza  neppure farci caso?

Mi sto rispondendo: pace. Sì, pace. Sarà quel che sarà. E non so se è una cosa buona oppure no.

[Sto per caso superando la mia mania di completare il quadro a tutti i costi?]

Mah! Vammi a capire!

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(110) Fiamma

Dovrei riuscirci, ma forse pretendo troppo, è presto per farlo. Dovrei riuscire a tradurre in parole quello che ora sto provando, ma forse sono troppo impegnata a provare quello che sto provando e non mi rimane energia sufficiente per trovare anche le parole.

Ogni cosa ha il suo tempo. Dovrei averlo imparato, eh!

Eppure, questa fiamma che si riaccende mentre penso alla strada che mi sono costruita (fiamma che la fatica sembrava aver spento), si sta rifacendo vivace. Progetti, speranze, nuove cose che si aprono e altre che si chiudono perché è ora che lo facciano. Tutto questo ora non è solo sognato, ora è reale e mentre lo vivo sento dentro di me la fiamma che scoppietta.

Post fa parlavo della felicità come di una cosa che non ero in grado di acchiappare, forse è il caso di ricredersi. Mi riscaldo le mani, che fuori è tutto gelato, e provo a godermi il tepore senza pensare troppo a quel che sarà.

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(109) Scelta

Dipende proprio da noi, è una nostra scelta. Cosa? Tutto, o quasi. Certo, non le sciagure naturali, non la maggior parte delle morti e un certo tipo di catastrofi, ma il resto è solo la conseguenza delle nostre scelte.

Scegliere è un casino.

Se dovessimo star lì a soppesare ogni possibile ripercussione di ogni singola scelta che durante la giornata ci tocca fare rimarremmo paralizzati a letto. Eppure anche quella sarebbe una scelta.

Scelta è il fare e anche il non fare. Sì, tutto dannatamente complicato.

Bisogna andare per priorità, ti impegni nelle scelte importanti e per i dettagli e le robette da nulla ti lasci guidare dal fato, dall’inellutabilità delle cose. Ci sono persone che perdono ore a scegliersi un abito e tre secondi per decidere di sposarsi, tanto per fare un esempio. Ecco, secondo me sbagliamo proprio la lista delle nostre priorità. Non so il perché, so che siamo pieni di conseguenze disastrose e non riusciamo a trovare il bandolo della matassa.

Siamo Esseri strani, noi Umani.

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(108) Leggere

Tanto tanto tanto tempo fa sognavo di possedere un potere speciale. Mi interessava così tanto l’Essere Umano (nella fattispecie la sua mente e il suo spirito) che espressi il desiderio di poter leggere il suo animo..

Bacchette magiche e incantesimi non sarebbero bastati, lo sapevo già, anche se ero molto molto molto molto giovane. Lo sapevo già.

Quindi iniziai con il farmi terreno fertile per l’intuizione. Misi in allerta tutti i sensi per imparare, ascoltando e osservando, chi mi stava attorno e cercare di carpirne pensieri e desideri.

Non era mia intenzione varcare la soglia dell’intimità del mio prossimo, ma era conseguenza inevitabile. Anche se il mio interesse era quello di farli stare bene, invadevo silenziosamente territori che non mi appartenevano. Conscia di questo io stessa divenni per gli altri terra off-limits: promisi a me stessa che nessuno avrebbe mai invaso i miei pensieri e i miei sentimenti.

Mantenni la promessa in modo quasi del tutto coerente, caddi un paio di volte nella trappola di chi pensavo fosse pianeta affine e l’errore mi costò caro.

Nel frattempo, però, ebbi modo di sondare perfettamente la mia terra e mi scoprii molto molto molto molto simile a chi avevo incontrato e sondato nei miei anni di studio. Caddero colonne di pregiudizi e di egoici marasmi interiori. Fu come liberarmi per rimettermi in pari con l’Umanità.

Leggere i libri perfeziona il mio studio degli Esseri Umani. Solo che non invado alcun territorio, mi faccio invece conquistare. Senza correre alcun rischio, per di più.

Impagabile libertà.

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(107) Soglia

Resta sulla soglia chi non vuole vedere. Resta sulla soglia chi non vuole capire. Resta sulla soglia chi non vuole sentire. Resta sulla soglia chi ha paura.

Oltre la soglia c’è il rischio di vedere cose che potresti non voler vedere, capire cose che vorresti non dover capire, sentire cose che vorresti evitare di sentire. Preferisci avere paura. Una cosa che conosci ti mette meno in crisi, è più rassicurante.

Varcare quella soglia ti fa comunque cadere nel vuoto e se non ami il vuoto chi te lo fa fare? Varcare quella soglia ti potrebbe far cambiare per sempre, se non ami i cambiamenti non ci pensare nemmeno.

Eppure, oltre la soglia c’è un nuovo te che ti aspetta. Quello coraggioso dei due, non farlo aspettare troppo a lungo potrebbe stancarsi e smettere di credere che ce la puoi fare.

Io, penso, di avercela fatta. Solo perché ho creduto che la me più coraggiosa era quella che valeva di più delle due. Meno male che mi sono fidata di lei.

Meno male.

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(106) Respiro

Un respiro lungo e profondo, ogni Essere Umano ne ha diritto. Ci sono vite che proprio non te lo permettono, sei sempre lì a metà, con i polmoni quasi rattrappiti per averli usati in mero regime dei minimi.

Credo che dovremmo riprendercelo con la forza quando le cose non vogliono scansarsi per farti spazio.

Inizia tutto con un respiro, crescendo pensiamo che possiamo farne a meno e ci ritroviamo verdi di bile e in apnea perenne. La mancanza di ossigeno ci rende la vista nebbiosa e il cuore umido di pioggia che non osa mai scendere. Se facciamo come se non fosse importante, lo diventa non-importante. Ci si deve impuntare: voglio quello, esattamente quel respiro lungo e profondo che ho perso. E ci si muove per riprendercelo.

L’ora per respirare è adesso.

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(105) Gradino

Quel momento in cui stai alzando la gamba per poggiarla sul primo gradino. Mi sento così. E mi sento anche piccola e piena di aspettative. Non me ne importa nulla se poi le aspettative verranno deluse, in questo momento tutto è possibile. Questo essere tutto nello stesso momento e nulla di reale è una condizione benedetta. Benedetta.

L’ho provata tante volte. Il dopo non è stato sempre all’altezza, anzi, ma non importa. Non importa perché in questi momenti io sono alla mia massima ampiezza come Essere Umano. Piena di aspettative e pronta ad accoglierle con il cuore che trema.

La realtà, domani, sarà quel che deve essere, non è così vitale che tutto vada alla grande come io vorrei.

L’importante è ora: io al massimo della mia ampiezza. Chi se lo immaginava, dopo tutti questi anni, che ne ero ancora capace.

Accidenti!

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(104) Amore

“Non esiste una regola. Ogni singolo amore, come ogni morte, è unico.
Per questa ragione, nessuno può imparare ad amare, come nessuno può imparare a morire. Benché molti di noi sognino di farlo e non manca chi provi a insegnarlo a pagamento”.
Zygmunt Bauman

Mi ero fissata sul fatto che dovevo imparare a vivere, imparare ad amare, imparare a morire. Pensavo che avrei dovuto trovare una sorta di guida, un Maestro che potesse insegnarmi. Del tipo “dai la cera-togli la cera”, tanto per intenderci, così da poter guadagnarmi la cintura nera della Saggezza.

A un certo punto ho capito che dovevo essere io la mia Maestra, sbagliando continuamente.

Faticoso, snervante, frustrante.

Eppure è l’unico modo per arrivare con sicurezza alla fine del tuo percorso soddisfatto di te. Anche se, come dice il Maestro Bauman, nessuno può imparare come vivere, amare, morire. Sono solo tentativi.

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(103) Soddisfazione

Potrei dirlo in altro modo: appagamento. Sembra un sentimento del tutto egoriferito, forse lo è, ma non lo trovo disdicevole. Tutt’altro.

La massima soddisfazione nel trasferire a qualcuno quello che hai capito, quello che conosci, la provi quando quel qualcuno fa quella cosa sua e la usa bene.

Stasera, all’incontro con il mio piccolo gruppo di Scrittori Instabili, ho visto palesarsi davanti ai miei occhi il frutto di questi anni di lavoro sul narrare. Teste diverse dalla mia che lavorano ognuno con i propri mezzi usando, però, alcune di quelle piccole cose che sono riuscita a passare loro durante i mesi che ci hanno visti insieme. Appagamento, non so come dirlo. Soddisfazione.

Ecco, spesso mi ritrovo soddisfatta di quello che è il risultato del mio lavoro, anche quando il lavoro in sé non è perfetto, anche quando sono la sola a notare la qualità del risultato. Dentro ognuno di questi lavori c’è un progetto, c’è un fine, c’è una logica, c’è una crescita.

La cosa bella davvero? Che non è una cosa che riguarda solo me, ma chiunque ne è coinvolto. Sempre.

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