(1018) Smalto

Chi mi conosce sa che mi piace lo smalto sulle unghie. Chi mi conosce sa che i miei colori preferiti è lì che vanno a finire e spesso accompagnano i miei vestiti. Chi mi conosce non sa perché di questa mia ossessione, non l’ho mai spiegato a nessuno, e ovvio che nessuno me lo abbia mai chiesto, ma oggi lo voglio scrivere. Perché? Non lo so, lo scrivo e basta.

È stata una conquista che mi sono guadagnata da adolescente smettendo di rosicchiarmi fino al dolore sanguinante le unghie. Lo facevo perché ero ansiosa (e ansiosa lo sono ancora), ma mi piaceva lo smalto che decorava le unghie delle mani di certe donne che vedevo attorno a me e quindi mi sono decisa: basta rosicchiarmi le unghie e via con lo smalto!

Una volta conquistata la meta non sono più tornata indietro.

Se faccio un rapido calcolo mentale mi è evidente che ogni volta che conquisto una meta poi me la tengo stretta. Mi scoccia troppo ritornare indietro. Vado avanti, mica sono un gambero! Quindi posso affermare, senza dubbio alcuno, che quella mia prima vittoria sia stata fondamentale per la crescita. Soprattutto grazie alla dinamica che ho saputo mettere in atto.

Scegliere il blu o il viola, il rosso (raramente) o il nero, e procedere con l’operazione senza delegare a una professionista la questione manicure, è una delle azioni a cui mi dedico con più attenzione. Come se in quei gesti risiedesse la mia promessa: vai e prenditi quello che vuoi. E il mio impegno: per avere quello che vuoi devi saper rinunciare a qualcosa. E la mia perseveranza sostenuta da una presa di coscienza semplice: puoi.

Sembrerà tutto molto stupido, me ne rendo conto. Ma le persone stanno su per queste cose stupide, mica perché fatte di cemento.

Sottovalutare le cose stupide non è una buona idea. Mai. Credo.

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(876) Furia

C’è una furia dentro di noi, una furia silente. La sento solo io? Bhé, ognuno sente la sua, ovvio, e non è per tutti uguale. La mia al momento è davvero speciale. Credo che una furia così sia la prima volta che la provo. Già questo la dice lunga. Non è che sono una che la furia la schifa, tutt’altro. Ma così, mai prima. 

Questo da un lato mi incuriosisce – chissà che disastri mi sta preannunciando – e dall’altro mi infastidisce – mai una gioia! – e da un altro lato mi mortifica – ma non ero io quella dell’autocontrollo? – e da un altro ancora – ma quanti lati ci sono? -mi fa temere per quanto sarò capace di fare. So quanto sarei capace di fare in queste condizioni emotive. Lo so benissimo.

Diamo per scontato che i presupposti non si discutono, il motivo è talmente limpido e ben focalizzato che faccio fatica a manomettere la sua solidità. Quindi passando da lì non vado da nessuna parte. Anche la questione di trovare una via di comunicazione adeguata per convogliare utilmente l’energia è da scartare. La furia si è potenziata dopo i numerosi fallimenti assorbiti in questi ultimi tempi. Cosa rimane? La rassegnazione.

Ci si vive così come viene e ci si prende sul muso le conseguenze. Così sia.

No, no. La furia non passa. La furia, dopo che si è esplicitata e dopo aver fatto i morti che deve fare, si posa. Si posa dentro. Si indurisce, come cemento armato, e rimane lì per sempre. La furia non si accontenta di una vittoria immediata, vuole rimanere per godersi i frutti della devastazione. 

Non c’è modo di scamparla.

Evviva.

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(96) Impronte

So lasciare buone impronte io. Belle direi. Sono orgogliosa di ognuna di loro, anche di quelle che avevo fatto sulla sabbia e si sono ormai cancellate con i venti del tempo.

Piccole impronte le ho lasciate sul cemento, tipo Wall of Fame, anche se non si trovano in un luogo reale. So solo io dove scovarle, questo me le rende ancora più preziose perché scompariranno con me se non spiffero il mio segreto a qualcuno prima di morire.

Mi piacerebbe lasciare una bella impronta per sempre, ma per quello bisogna esserci nati. C’è un talento lì sotto che non so replicare e, temo, di esserne priva. Ammetto che questo è un mio piccolo rammarico, però, la mia modestissima condizione umana non mi impedisce di lasciare le mie piccole e belle impronte sparse qua e là. Ne vado fiera.

Non dovrei dirlo, ma vado fiera anche di quelle impronte che non sono proprio un ricordo buono in chi le ho lasciate. Ne vado fiera perché c’è voluta buona volontà e determinazione per non tirarsi indietro e lasciarle lì. Che poi la vita è tutta una questione di traduzione dei fatti, va’ a sapere chi ha ragione alla fine.

Stavo parlando di impronte: quelle del 2016 non erano affatto scontate. Ora che me le posso guardare tutte e scegliere quali cancellare da me e quali lasciare lì in bella mostra, rimango un po’ stupita. Accidenti! Il mio darmi da fare come una formichina instericamente stakanovista lascia tracce impressionanti.

Chi l’avrebbe mai detto. Chi? Io.

Mica mi do tanto da fare per niente, almeno un’impronta la lascio! Poi mi siedo lì a guardarle aspettando il vento. Quello arriva sempre, ma io ho fotografato tutto e l’ho messo al sicuro. Sia quel che sia.

Bye bye 2016!

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