(244) Quadro

Avere il quadro della situazione non è cosa ovvia né immediata. Mi ci vuole tempo. Anche troppo, spesso. Probabilmente non sono così arguta come dovrei, oppure sono troppo pedante riguardo i dettagli e mi ci perdo.

Dipingere un quadro non è cosa da un giorno, i quadri migliori sono il risultato di ore e ore di lavoro-energia-tormentonellaricerca. Faccio così anch’io quando una situazione ha bisogno di essere analizzata per farsi capire: ore e ore di energia-tormento-lavoro. Ne vale la pena.

Appena il quadro si può dire completato lo si fa asciugare. Si sceglie una cornice e lo si appende a una parete: eccola lì la situazione, decidi tu se tenerla o buttarla. Io non butto via, metto da parte.

Devo trovare il modo di alleggerire le mie pareti. La confusione non mi aiuta a pensare.

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(243) Cerchio

Quando il cerchio si chiude fai un bel respiro profondo e di’ grazie. Perché il cerchio prima o poi si deve chiudere e la gratitudine è un modo perfetto per affrontare il fatto che si è chiuso.

Il nuovo cerchio sarà nuovo, bada bene. Non un duplicato, non una replica. Nuovo.

La nostalgia per il vecchio cerchio è cosa tenera, ma deve restare sentimento lieve e non premessa per riaprire quel che si è chiuso.

L’ho scritto perché so che ogni volta ci casco e ‘sta cosa deve finire. Ne ho abbastanza.

DI-SCI-PLI-NA della nostalgia, ecco una materia che devo approfondire se voglio fare un salto quantico. E lo voglio, santiddio.

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(242) Liberare

Un verbo bellissimo: liberare. Liberare se stessi dai legacci (pensieri e situazioni) e liberare qualcuno da noi stessi. Penso sia un gesto estremo d’amore.

Ora che l’ho scritto mi rendo conto con sgomento che è stato il mantra di questi miei anni: liberarmi-liberare.

Non sono attaccata al concetto di libertà, ma a quello di liberazione sì. Ci si libera dai fardelli, dalla zavorra, dal dolore, dal dovere, dal senso di colpa, dalla schiavitù declinata in milioni di modi e tutti diversi e tutti simili. Liberi la voglia, liberi i sogni, liberi l’amore, liberi la crescita… liberi, ovvero lasci andare le cose esattamente come è scritto che debbano andare. Loro sanno dover andare, devi fidarti. Ti viene chiesto di fare un atto di fede, tutto qui.

E quando lo fai e ti riesce bene, allora senti che sei in quell’istante di pienezza che può essere confuso con la felicità. La felicità di aver fatto ciò che era giusto fare. Anche se ti fa male, anche se muori un po’.

Liberare è la chiave. Ne sono certa.

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(241) Facile

Sembra che se una cosa non è facile da farsi smette di essere interessante, regola che non vale solo per i ragazzi ma anche per gli adulti. Ormai è così.

Se è facile, però, se la si ottiene schioccando le dita, manca la soddisfazione e la si gode solo per metà. Risultato che vale per giovani e adulti, è giusto rimarcarlo.

Ora: le cose facili a me non vengono mai in mente, mai. Non so cosa questo significhi e che origini abbia, ma è un dato di fatto. Se è facile non lo guardo neppure. Non è che va benissimo, me ne rendo conto, ma non ci posso fare niente. Se è facile per me non esiste.

Mi domando per quale strambo assemblamento neuronale io debba trovare naturalmente gratificante-interessante-divertente-motivante tutto quello che è difficile da ottenere.

Sono malata, non c’è altra spiegazione.

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(240) Bowling

Mi piace giocare a bowling e anche se non ci sono andata spesso, mi sono accorta che ci gioco continuamente. A ragion veduta, proprio continuamente.

Allineo i miei bei birilli in fondo alla pista, scelgo con cura la palla da tirare, prendo la mira bilanciando il peso del corpo (per quanto e come posso) e via. Non faccio strikes da campione (quando li faccio, certo è una gioia), ma tiri indegni neppure.

La metafora del bowling la sento felice, c’è tutto in un gesto che sembra niente. So che è così che va, quando sembra niente è la volta che ti trovi immerso nel tutto. Mano a mano che invecchio trovo sempre più difficile considerare le cose un niente, anche se il tutto mi sovrasta sempre un bel po’.

Mi trovo saggia quando mi accorgo di certe cose.  Certamente, e soprattutto, presuntuosa. Ebbé, mica ho detto Illuminata!

 

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(239) Ignoto

Sarebbe facile riderci sopra, ma non ridurrebbe il dilemma in dileggio, rimarrebbe comunque una spina da togliere. Se l’obiettivo è alleviare il dolore, diventa tempo perso.

Dipende dal dolore. Ci sono anche quei dolori a cui ti affezioni e guai a chi te li tocca. Altri dolori sembrano caduti dal cielo o scaturiti direttamente dall’inferno e te ne vorresti liberare, ma non c’è verso.

Ritornando al punto di partenza, l’ignoto è una spina da togliere. Appena te la togli c’è il sollievo, ma alzi lo sguardo e zak: ‘n’artra spina. Perché l’ignoto non finisce, l’ignoto si protrae all’infinito e oltre. Se la prendi male, se ti provoca sofferenza, sono affari tuoi. L’ignoto se ne sbatte di come stai, lui sta lì davanti a te, a solo un passo, e sta benissimo. Sta da Dio.

Se ciò che non vedi, non sai, non conosci, è la spina da togliere, il gioco ti vede perdente. Troppe spine, poche dita… dolore.

Conviene non pensarci, conviene far finta di niente, conviene guardare all’ignoto con benevolenza. In fin dei conti è lui che ci permette di tirare fuori il meglio dal nostro intelletto e dal nostro corpo fisico. Siamo lì in attesa che l’ignoto si palesi, abbiamo i nervi tesi, i sensi allertati, siamo svegli.

Ecco, così ci vuole l’ignoto: svegli.

Grazie, Signor Ignoto, pigra come sono avrei finito per addormentarmi davanti alla Tv sicura che la vita sia tutta qui.

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(238) Delusione

Non so perché succede, ma succede. La delusione è soltanto la frustrazione di un’aspettativa, lo so, non si dovrebbero avere aspettative, so anche questo, ma chi non ne ha neppure una scagli la prima pietra!

Non sono delusa a causa di un’aspettativa esagerata, tutt’altro. Ed è questo che mi sbalordisce, mi aspetto il minimo sindacale, proprio il minimo. Eppure: niente.

Mi rendo conto che la delusione è per lo più un sentimento effimero, che poi te la dimentichi e ricominci daccapo con le benedette/dannate aspettative (ai minimi e ai massimi termini, dipende dalla situazione), ma delusione dopo delusione il peso si va a sommare a quello degli anni e… diventi cinico e scazzato, acido e velenoso.  Insopportabile.

Io ce la metto tutta, ma mica è facile remare contro ‘sta dannata corrente di faciloneria e strafottenza. Datemi una mano, perdio!, non posso fare tutto da sola.

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(237) Pudore

Un senso di opportunità, di rispetto della sensibilità altrui: questo specifica il dizionario. Sinonimo di ritegno, vergogna, discrezione e in questo senso lo sto affrontando.

È un sentimento che mi appartiene profondamente e con diverse declinazioni: il ritegno come senso di opportunità, la discrezione come segno di rispetto della sensibilità altrui, la vergogna quando l’orrore si compie e mi ritrovo inerme e inutile e mancano le parole perché i pensieri si sono svuotati.

Apprezzo il pudore negli altri, quando lo incontro, ma lo incontro raramente. Si sbatte in faccia al nostro prossimo qualsiasi cosa ci riguardi, anche la più intima, la più segreta, come se fosse d’obbligo accoglierla, approvarla, celebrarla. Credo sia ripugnante.

Ci sono scelte delicate, condizioni delicate, posizioni delicate, emozioni delicate che non vogliono essere buttate in piazza alla mercé di chiunque passi. Distogliere lo sguardo, l’orecchio, l’attenzione è segno di rispetto, a volte. Quando è troppo e quando quello che si può fare è niente, l’opportunità del nostro esserci è opinabile.

Il pudore è quella cosa che si muove quando la commozione è profonda e la consapevolezza di ciò che È ti sovrasta. Un sorriso, se è cosa lieta, un abbassare il capo se è cosa greve. Cos’altro fare di più o meglio? Ritrarsi in silenzio, mi è sempre sembrata l’unica cosa possibile quando quello che È mi sovrasta con la sua grandezza, quando terribile e quando magnifica.

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(236) Ho’oponopono

Ho tra le mani un libro che si intitola Ho’oponopono, un regalo. Porta in sé un messaggio semplice, basilare: vivi con amore e nel perdono, così facendo sciogli ogni resistenza di guarigione e ti liberi.

Le cose semplici spaventano, pensiamo sempre che ci sia qualcosa sotto di torbido che ci fregherà. Non lo so perché è così, ma è così. Attenzione, però: le cose semplici positive ci sembrano infide, mica quelle semplici negative.

Gli slogano razzisti, di ogni genere, sono semplici, diretti, chiari, inequivocabili. Li capiamo al volo. Tutto sta lì. Ci fidiamo di loro, di quello che dicono e quasi quasi ci convincono pure. Non è così per i messaggi positivi, anche se semplici, diretti, chiari e inequivocabili non ci danno fiducia. Ci fanno diventare sospettosi.

Ecco, penso che questo faccia schifo. Questo pensare che l’amore sia cosa semplice e pertanto banale, ovvia, svalutabile ed equivocabile fa davvero schifo.

Come ho fatto a ridurmi così? Dannazione!

 

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(235) Umore

Gli alti e i bassi e i bassi e gli alti, tutti i giorni, più volte al giorno. Dicono sia normale, sicuramente è stressante. E non capita solo a me, no, capita a tutti. Solo che non tutti sanno prendere bene la cosa, per far tacere gli alti e i bassi molti preferiscono ammortizzare i sensi e vivere in un rassicurante limbo emotivo.

Ognuno fa quel che gli pare, ma mi sembra un peccato. Penso che osservarci nei nostri alti e bassi sia piuttosto istruttivo e anche divertente.

Mi scopro essere un caso clinico interessante e cerco di farne tesoro. Un esempio? Ok, ho scoperto cos’è che mi fa veramente incavolare. Anche se i motivi per cui mi incavolo durante la giornata sono vari e sfacettati, l’origine è sempre la stessa: la mancanza di rispetto.

Lo so da molti anni e questa presa di coscienza mi ha decisamente cambiato la vita. Come? Così: se mi arrabbio, in modo incontrollabile e apparentemente senza senso, so che la ragione è perché mi stanno mancando di rispetto. Sembra che tutto sia normale, ma io mi sto arrabbiando. Ok, significa che non è tutto normale, l’anormalità è subdola e non evidente, basta aspettare un po’ e si espliciterà.

Succede sempre. Mi arrabbio e poi capisco il perché.

Una volta rivolgevo la rabbia contro me stessa, pensando di essere “fatta male”, ora mi fido di lei. Se mi parte l’embolo, so che il motivo è che mi stanno mancando in qualche modo di rispetto. Alzo la guardia e attendo l’esplicitarsi del fatto. Non vengo mai smentita.

No, non me la tiro dietro, la sento prima che si verifichi, la annuso mentre mi sta arrivando addosso. Mi permette di prepararmi a incassare. In questo modo, barcollo senza crollare. Reagisco più in fretta, spiazzando il mittente.

Qual è la morale della storia? Monitora come stai, studia l’andamento dei tuoi alti e bassi e trai conclusioni utili per vivere meglio. Amen.

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(234) Drago

Se potessimo ricordare in ogni istante il potere del Drago, avremmo risolto gran parte del nostro personale conflitto interiore.

La parte malefica, dove morte e distruzione possono abbattersi improvvisamente nella nostra vita, e la parte benefica, la bontà e la fortuna a farla da padrone.

Il Drago è dentro di noi, distrugge e accudisce a fasi alterne. Ciò che distrugge dev’essere distrutto, anche se non ci piace. Ciò che rimane dev’essere curato per far crescere la fortuna che sta per arrivare.

La fortuna se non trova posto non si ferma, se ne va senza neppure salutare. Così è, non è disposta a compromessi.

Dobbiamo domare il Drago, domare noi stessi. Dobbiamo prenderci in mano e fare bene i conti, e fare bene le cose, e fare bene. Del bene a noi, anche se non ci piace. Dobbiamo.

Solo così possiamo sperare di migliorare tutto il resto, tutto quello che sta fuori e così vicino a noi che non può essere lo stesso provocare devastazione o profondere bontà e fortuna. Perché non ci mettiamo l’anima in pace e non affrontiamo il nostro Drago, ora? Perché?

Ora, non dopo. Ora. Il Drago aspetta, il Drago ha pazienza, il Drago non è la Fortuna, il Drago non se ne va.

 

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(233) Zavorra

Mollare la zavorra dovrebbe essere l’imperativo. Appena t’accorgi che ce l’hai proprio attaccata al collo, zak! Mollala lì, all’istante.

Ok, per qualche strano motivo che ancora non ho capito, io ho la predisposizione ad affezionarmi spasmodicamente alla zavorra che, di volta in volta, mi si appende addosso. Ecco, valutando quanto io sia poco incline a mollarla (sia mai, ne sentirei troppo la mancanza) si dà il caso che la zavorra prenda spesso possesso di ogni mio sciagurato passo.

Ebbene: l’ho capita ‘sta cosa e ne farò tesoro.

Ora devo solo trovare una discarica abbastanza capiente dove poter depositare all’istante i miei primi quarant’anni di zavorra accumulato compulsivamente e caparbiamente. E poi via dal chiropratico.

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(232) Sorgente

Perché siamo molto impegnati ad andare da qualche parte. Molto impegnati. Siamo sempre concentrati su quello che vogliamo raggiungere, il luogo dove vogliamo stare.

Oggi ho guardato la mia sorgente. Credo che sia passato un secolo dall’ultima volta che l’ho fatto. Troppo tempo. La mia sorgente è di acqua buona. Pura, cristallina. Mano a mano che è scesa a valle s’è un po’ sporcata, s’è un po’ persa, s’è un po’ asciugata. Non va bene. Tempo di rimediare, ora.

Ok, Babsie, vai lassù a riprenderti!

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(231) Aspettative

Sono bastarde. Infide. Sono viscide. Luride.

Tu pensi che siano cosa passata, pensi di essere sgamata, di essere andata oltre, di essere. Non sei. Loro sono. Fortemente sono. Indissolubilmente sono. Sono.

Una cosa sola puoi fare, puoi farla sempre e senza regole. Una cosa spettacolare, una cosa che è diversa a seconda di come tu sai permetterti di essere diversa da te stessa: guardare altrove.

Le aspettative sono a destra? Tu guarda a sinistra. Si spostano a sinistra, tu guarda dritto di fronte a te. E via così. Schivale, ignorale, soffocale con la tua indifferenza. Falle verdi di rabbia concentrandoti in quel microspazio dove loro non si sono ancora inserite. Gioca d’astuzia, non abbassare mai la guardia, sferra il colpo senza pietà.

Fottile così. Loro non spariranno, ma tu almeno ti sarai goduta il paesaggio.

 

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(230) Nutrimento

Riuscire a bastare a noi stessi è una bella sfida. Il nutrimento che possiamo ricevere da un altro Essere Umano/Essere Vivente può dissolversi in un istante. Anche senza ragione, anche senza colpe o responsabilità. Succede. E quello che fino a un minuto prima ti ha nutrito ora ti lascia il vuoto.

Il vuoto non è che sta lì in silenzio e si fa i fatti suoi, no. Il vuoto inizia a divorarti e lo fa a suo piacimento. Può durare molto a lungo, tu non lo puoi sapere quando si fermerà, quando sarà finalmente sazio. Non solo ti manca il nutrimento, ti manca la tranquillità per correre ai ripari, per iniziare a guarire. Crudele.

Allora decidi che devi imparare a bastare a te stesso, per evitare che succeda ancora e ancora e ancora. Un loop maledetto, inarrestabile. Maledetto. Maledetto. Maledetto.

Ci ho pensato molto negli anni, nei miei alti e bassi, nei miei pieni e nei miei vuoti, e mi sono chiesta cos’è che mi manca per riuscire a ottenere quell’equilibrio che mi permetterebbe di bastare a me stessa. Cosa?

Non lo so. Proprio non lo so.

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(229) Relitto

Ho sempre guardato agli appigli come a piccoli miracoli di salvezza. Non è semplice farci l’occhio, ma se sei fortunato perché la vita ti ha ben bastonato con costanza e sollecitudine allora gli appigli hai imparato a riconoscerli ovunque.

Quando sei guardato come un relitto, quando nessuno ti darebbe un soldo sulla fiducia, quando le tue parole e le tue azioni passano nel silenzio e cadono lontane senza che nessuno le raccolga. Ecco, quelli sono appigli.

Da lì riparti, perché da un qualche posto uno deve pur ripartire e quando non c’è nient’altro da lì riparti. Non è che ti servono i dubbi o le recriminazioni. Non ti serve lamentarti, bestemmiare, vendicarti. Non ti serve. Fattene una ragione, non serve. Devi trovare un altro modo. Non ce l’hai ancora? Ok, inizia a cercarlo, inizia a desiderarlo, inizia ad accorgerti degli stramaledetti appigli.

Un relitto è qualcosa di finito, tu no.

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(228) Personaggi

Li vedo chiaramente i personaggi, io. Deformazione professionale oppure talento naturale, non lo so. Amo i personaggi, perché non si fingono persone, si mostrano per quello che sono. Dietro a loro ci sono le persone e quelle sì che fingono.

I personaggi ci scoprono dandoci l’illusione che siamo coperti, ma loro non sanno che noi ameremmo essere scoperti solo che non lo ammetteremo mai. Ammettere una debolezza è certezza di debolezza, sia mai.

Il personaggio che ti si para davanti vuole sempre qualcosa da te, molto più violentemente di quel che farebbe una persona. Il personaggio non ha scrupoli, non ha voglia di menate, non ha tempo da perdere, non ha bisogno di comprenderti: il personaggio è. Così com’è, senza chiedere il tuo parere o il tuo consenso. Che Essere meraviglioso, vero? Quanto dovremmo imparare da lui/lei per essere veramente noi!

Il personaggio quando è debole è dirompente, quando è forte è disarmante, quando è grande ti sembra piccolo e se è piccolo fa cose enormi. Non mente un personaggio, non ne ha bisogno, lui vive tuo malgrado.

Ci sono personaggi indimenticabili, capaci di far scomparire le persone che stanno lì dietro. Le persone che scompaiono, però, giocano il gioco vigliacco e non sono degne di compassione. Lo pensavo trent’anni fa, vent’anni fa, dieci anni fa e lo penso anche ora. Mi fa bene scoprire che, in fondo, resto fedele al mio personaggio, nonostante la gente pensi che non sia così. Ma io non mi nascondo, no. Io imparo dal mio personaggio, che mi sa prendere per mano e mi sa portare dove io non oserei andare. Ecco il perché del mio crescere.

 

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(227) Long Playing

Cosa c’era di meglio di un LP, soltanto qualche anno fa? Niente. Era entrare in un mondo creato apposta per te, seguirne le note – come briciole di Pollicino – e gustarsi ogni solco chiudendo tutto il resto fuori. Succedeva quando avevo tredici anni e succede ora. Cos’è il tempo in fondo?

Long Playing significa tempo lungo, abbastanza per 12 canzoni. Un libro di note, armonie, tracce e storie raccolte in un’unica grande storia, come capitoli. Un libro rotondo, di vinile, che ci appoggi sopra la puntina e… voli!

Il CD scompare alla tua vista, ma l’LP balla girando come un Sufi davanti ai tuoi occhi e se lo fissi t’ipnotizza. Mi trovo molto LP, caratterialmente parlando, sarà per l’età o per quel legame sentimentale che mi risulta impossibile scindere. Non ci penso spesso, ma c’è.

Che roba strana che è la musica. Che benedizione.

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(226) Viaggiare

Te ne accorgi di botto, come un pallone sulla nuca che ti tramortisce. Da quant’è che non ti muovi? Da quant’è che non prendi l’auto, il treno, la nave, l’aereo, il che-diavolo-so-io, per andartene via. Via dalla tua comfort zone. Via. Per un po’, non per sempre, ma via.

Troppo tempo.

Se fai passare troppo tempo, le radici si fanno massicce e il passo diventa faticoso. Non va bene, non va affatto bene.

Quando ripensi a come stavi mentre eri via, mentre avevi a che fare con quella te stessa che non doveva fare o dire niente perché nessuno si aspettava niente visto che nessuno la conosceva – ecco, in quel momento e in quelle condizioni come stavi? Eri diversa. Chi lo sa se migliore o peggiore, comunque diversa.

Non è questione di libertà – non lo è mai – è questione di liberazione. Mica è la stessa cosa. La liberazione ti fa spalancare le braccia per renderti vela che si gonfia con il vento buono. Quella cosa lì, precisamente, vale la pena di tutto. Non per modo di dire, proprio in concreto. Le scomodità del viaggio, i rischi del viaggio, le rotture di scatole (dicesi inconvenienti o incidenti) del viaggio, tutto diventa zero se ti ricordi di aprire le braccia.

Ritornare è inevitabile, ma quel vento diventa rifugio per i tempi con le sbarre impietose e diventa chiave per aprire, un giorno, la gabbia.

Ora che m’è arrivata la pallonata, come faccio a far finta di niente? Eh!

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(225) Omaggio

Oggi, avevo evidentemente del tempo che mi avanzava, perché mi sono persa in un pensiero in apparenza stupido. Mentre me lo rigiravo per bene come si fa con una cotoletta che dev’essere impanata, ho scoperto che era lì per dirmi un paio di cose. Non so se le ho intese bene, ma se lo scrivo magari non me le dimentico.

Sono partita dal fatto che il rendere omaggio sia di per sé un gesto bello. Assolutamente inflazionato, d’accordo, ma se lo si prende alla radice rimane un gesto che veicola Bellezza. Infatti si scelgono spesso i fiori per farlo. I fiori non possono che essere belli, i fiori sono la Bellezza pura. Omaggi con la Bellezza, ovvio, con niente di meno che la Bellezza altrimenti sarebbe un oltraggio.

Bene, procedendo col pensiero sono arrivata alla domanda: ma tu, Babsie, chi omaggeresti ora se ne avessi l’occasione? Ero partita con pochi nomi, persone che ritengo meritevoli di tutta la Bellezza del mondo per svariate ragioni, ma poi la lista si è allungata. Di un bel po’. Per farla breve ho scoperto che nel mio mondo ci sono state (e ci sono) persone che hanno saputo darmi tanta Bellezza. Persone che magari neppure mi conoscono o che non si sono manco accorte che esistevo o che si sono totalmente dimenticate di me, non ha importanza. Il segno che mi hanno lasciato è la sola cosa importante.

Omaggiare con sentimento di sincera gratitudine queste persone potrebbe diventare la mia missione per i prossimi anni. Il pensiero mi fa sorridere, significa che è proprio una buona idea. Yep!

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(224) Ragazza

Essere una ragazza per me non è mai stato un problema, non l’ho mai voluto vivere come un problema. Avrebbe potuto esserlo perché sono nata e cresciuta in una terra piuttosto maschilista e mio padre non faceva eccezioni, anzi.

Non ho mai considerato che diverse condizioni di genere avrebbero potuto ostacolare il mio cammino e, lo ammetto, non ho mai fatto caso a tante cose. Cose sottili o anche grossolane, cose che vedo ora e per fortuna che le vedo solo ora perché avrebbero potuto fermarmi.

Avevo in testa delle mete da raggiungere, le ho raggiunte. No, non quelle fantasmagoriche, quelle modeste tutte però. Sì, perché ho solitamente due modalità di funzionamento che riguardano l’immaginazione: quella stratosferica e quella normal. Mi ha dato più soddisfazioni la seconda, ma attendo con fiduciosa speranza che la stratosferica si dia una svegliata.

Ritornando al punto di partenza: alla mia veneranda età, dove chiamarmi ragazza diventa più che altro un insopportabile insulto, sono diventata ben più sensibile alle situazioni in cui essere una ragazza diventa rischioso o, per lo meno, invalidante. Non lo so il perché, forse perché è più evidente ora che trent’anni fa? Ancora non l’ho focalizzata bene ‘sta cosa.

Quello che so è che se fossi una ragazza oggi, non mi fermerebbe nessuno, peggio di sempre. Avrei più forza e avrei più determinazione per raggiungere ogni meta sul mio cammino. Insomma: essere una ragazza è una forza, sempre. La debolezza è lasciarsi convincere che non sia così. Le ragazze lo devono sapere, oggi più che mai.

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