(226) Viaggiare

Te ne accorgi di botto, come un pallone sulla nuca che ti tramortisce. Da quant’è che non ti muovi? Da quant’è che non prendi l’auto, il treno, la nave, l’aereo, il che-diavolo-so-io, per andartene via. Via dalla tua comfort zone. Via. Per un po’, non per sempre, ma via.

Troppo tempo.

Se fai passare troppo tempo, le radici si fanno massicce e il passo diventa faticoso. Non va bene, non va affatto bene.

Quando ripensi a come stavi mentre eri via, mentre avevi a che fare con quella te stessa che non doveva fare o dire niente perché nessuno si aspettava niente visto che nessuno la conosceva – ecco, in quel momento e in quelle condizioni come stavi? Eri diversa. Chi lo sa se migliore o peggiore, comunque diversa.

Non è questione di libertà – non lo è mai – è questione di liberazione. Mica è la stessa cosa. La liberazione ti fa spalancare le braccia per renderti vela che si gonfia con il vento buono. Quella cosa lì, precisamente, vale la pena di tutto. Non per modo di dire, proprio in concreto. Le scomodità del viaggio, i rischi del viaggio, le rotture di scatole (dicesi inconvenienti o incidenti) del viaggio, tutto diventa zero se ti ricordi di aprire le braccia.

Ritornare è inevitabile, ma quel vento diventa rifugio per i tempi con le sbarre impietose e diventa chiave per aprire, un giorno, la gabbia.

Ora che m’è arrivata la pallonata, come faccio a far finta di niente? Eh!

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