(1050) Crescere

Credo che ogni crescere sia accompagnato sempre da una sana ambizione. E credo che se è davvero sana questa ambizione, non si smette mai di avere voglia di crescere. Sempre meglio, sempre un passo oltre a dove pensavi fosse il tuo limite. Se ti manca questa spinta allora potresti fermarti prima ancora che il tuo cuore si dichiari pronto per il riposo eterno. Ed è un peccato.

Mi fa specie rendermi conto come certi miei coetanei si siano adagiati sul proprio status senza avere più voglia di niente, se non di aprire un bar su una spiaggia tropicale e vivere mezzi nudi e intontiti dai cannoni. Cavoli. Bella vita. Complimenti.

Io dopo nemmeno una settimana mi metterei a progettare qualcosa da realizzare da lì a un un mese, m’inventerei una sfida impossibile giusto per non morire di troppi tramonti incantevoli e oceano sfavillante.

Che dire della crisi di mezz’età? Anziché avanzare onorevolmente si desidera tornare indietro, a quando si era giovani e idioti e non si apprezzava nulla perché la vita ci avanzava e pensavamo di essere eterni. Le corse in moto senza badare alla segnaletica, le notti nei locali a fotterci il fegato con l’alcool (e non solo) e le scopate con chi il giorno dopo non vuoi neppure salutare incontradolo per strada… che divertimento, vero? E ritornare lì, in quel punto della crescita dove non hai ancora capito un cazzo, quando la vita ti ha già insegnato e tu hai già capito tanto e dovresti averlo capito una volta per tutte, non è uno spreco?

Anni per rendersi conto di come vivere vada oltre allo staccare il cervello e non pensare più a niente, anni per accettare che la libertà ha anche una faccia oscura, e butti tutto nel cesso perché hai paura di morire. Tanto muori lo stesso. E morire da idiota non è per nulla edificante.

“Morire con gli occhi aperti”, raccomandava Marguerite Yourcenar e lei era mille anni avanti a tutti, la sua crescita è stata così potente e così enorme che nessuno potrà mai cancellarla. Ecco, questa è l’ambizione sana di cui parlavo. Questa.

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(971) Colleghi

Ogni mattina arrivo in ufficio, e ci arrivo molto presto, per iniziare l’avventura. Uno alla volta, o anche a piccoli gruppi, arriva tutta la ciurma. Visi belli, più o meno addormentati, più o meno di buon umore, più o meno arrabbiati. Però visi belli. Davvero.

Ci salutiamo un po’ come capita e ci guardiamo negli occhi per capire se, nonostante tutto, va tutto bene. Ci accorgiamo di quando le cose stanno nella norma e di quando, invece, c’è bisogno di una chiacchiera affogata in un doppio caffè.

Abbiamo imparato a conoscerci, abbiamo imparato a capirci e anche ad accettare tutto quello che durante la giornata può farci, e ci fa, cambiare umore. Non abbiamo mai litigato, al massimo due battute di discussione, con rispetto e massima attenzione a non oltrepassare i limiti.

Questo perché siamo persone fatte così, perché ci siamo trovate simili a condividere una situazione lavorativa che tutti noi vogliamo mantenere in buona salute. Ci piace stare qui, lavorare creando e crescere insieme. 

Abbiamo passato momenti turbolenti e la calma dura sempre troppo poco, ma non ci spaventa nulla, sappiamo che a chiedere aiuto si sta un attimo e anche a riceverlo, perché noi facciamo così.

Ora, se non avete mai provato a lavorare in una situazione fortunata come questa mi dispiace, dovreste cercarla e, una volta trovata, dovreste tenervela stretta. No, non ho detto sia facile, bisogna costruirla giorno dopo giorno e bisogna andare tutti nella stessa direzione. A volte è più faticoso e altre meno, ma ne vale la pena.

A dirla tutta, si tratta di costruire una famiglia dove le dinamiche si possono complicare anche di molto, ma a fine giornata c’è un libera tutti salvifico e si rimandano le rogne al giorno dopo. Un buon sonno può fare miracoli e il giorno dopo si entra da quella porta e si saluta guardando negli occhi le persone con cui stai condividendo questa avventura senza eguali.

E si ricomincia.

Buon lunedì!

 

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(953) Genetliaco

Sto andando a letto e in questa giornata sono mille le cose che mi voglio tenere stretta. I visi splendidi dei miei compagni in ufficio, gli auguri di amici che sono lontani ma non poi così tanto nel cuore, la mia famiglia che ritrovo come rifugio e salvezza ogni santo giorno, un abbraccio importante… e la lista la potrei anche continuare ma non serve scrivere tutto, serve tenere al sicuro per ricordare quando il buio incombe.

E penso sempre che ci sono istanti importanti e che bisogna riconoscerli e dargli spazio perché l’Inferno dei viventi è feroce e non dorme mai, lo ha scritto meglio di tutti il Maestro Calvino.

Nascere è un privilegio che noi ben conosciamo, ma rinascere ogni anno (sopravvivendo al precedente) è forse la cosa più incredibile… come riusciamo a farcela? E, soprattutto, perché lo diamo per scontato?

Non credo si tratti di fortuna, non quella che ti cade dal cielo, ma non m’importa trovare un nome per definire meglio il miracolo perché tanto si compie con uguale potenza e uguale candore. Com’è possibile?

Porto con orgoglio i miei 74 anni perché li porto addosso un gran bene, ho ancora tante cose che voglio fare e ho la voglia di provarci e di crescere. Niente di tutto questo è scontato né regalato. Ci vuole tenacia per mantenere alta la fame di vita, è un lavoro che non finisce mai.

Mettendo tutto in conto, me la sto cavando onorevolmente.

Ovviamente c’è ancora un buon margine di miglioramento.

Daje.

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(836) Determinazione

Bisogna calibrarla per bene, ma se riesci a maneggiarla con destrezza puoi fare della tua vita un capolavoro. Ad alcuni vien facile, nascono con questo dono, ad altri ci vuole anche un’intera esistenza per prenderne possesso e i risultati tardano ad arrivare. Eh, questione di culo.

Comunque, si può imparare a tenere botta e perseverare se ci tieni davvero. Più è solida la tua motivazione e più ti viene la forza per andare fino in fondo. Una questione di allenamento, suppongo, un po’ come tutto nella vita.

La cosa difficile è usarla il giusto, non superare certi limiti, non usare violenza né contro sé stessi né contro gli altri né contro gli eventi e il tempo. Non puoi assoggettare l’universo ai tuoi voleri, puoi invece aiutare l’universo affinché ti sostenga per raggiungere i tuoi obiettivi.

Decidi cosa vuoi e muoviti di conseguenza.

Sembra facile. Soltanto che ogni giorno te lo devi ricordare e ogni giorno te lo devi ripetere e ogni giorno devi fare in modo di crederci. Devi esserci. Devi evitare distrazioni. Devi mantenere solidamente il tuo intento. No, il raggiungimento dell’obiettivo non è mai gratis. Non è così che funzionano le cose. Nessuno può fare il lavoro per te. E nessuno può chiarirti le idee quando sei confuso, e più sei confuso e più le cose vanno in malora.

La determinazione viene svilita, molto spesso, viene etichettata come caparbietà, ma si sta parlando di due posizioni mentali e d’anima molto diversi. La persona caparbia non sente ragioni, la persona determinata non si arrende davanti agli ostacoli. La persona caparbia se ne frega di quello che gli sta attorno, la persona determinata si muove in accordo con l’ambiente – senza obbligatoriamente scendere a troppi compromessi – per proseguire. La persona caparbia sbatte la testa contro il muro finché il muro non si spacca, la persona determinata se quello che sta facendo non ha più senso, non è più motivante, non va più bene allora si ferma. Si ferma e cambia obiettivo.

Il mondo vegetale ce lo insegna: se vuoi vivere non c’è nulla che ti possa fermare. Hai a tua disposizione la terra, l’acqua, il vento, il fuoco, non puoi fare altro se non crescere. Credo che sia questo il vero miracolo: mantenere forte la nostra determinazione nell’amare la vita, nonostante tutto e sempre.

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(774) Fragilità

Non ci facciamo i conti, ci pensiamo Déi, poveri noi. La fragilità è il nostro limite e il nostro limite ci parla giorno dopo giorno senza che noi prestiamo ascolto. Il nostro corpo è fragile, la nostra mente è fragile, le nostre convinzioni sono fragili, la nostra fede, la nostra volontà. Tutto quello che di buono abbiamo, in un istante con un colpo di forbici può essere tagliato via. La nostra rabbia, il nostro odio, la nostra arroganza, la prepotenza del nostro volere, invece… nessuna fragilità. Tutto quello che di pessimo riusciamo a fare di noi stessi è tutt’altro che delicato, diventa un macigno che rotolando si porta via tutto il resto. Senza pentimenti, senza cedimenti. Impressionante.

Il male, ce lo raccontano al cinema, non si ferma mai. Neppure la morte riesce a fermarlo. La nostra fragilità di fronte al male si propaga in modo devastante, ci sentiamo andare in briciole anche senza morirne. Perché non moriamo? Neppure quando il cuore ci va in pezzi, quando il corpo frana, quando la mente se ne va altrove, lontano da noi, perché?

Non sarebbe meglio? Alzi le mani, ti arrendi: ok, vado, hai vinto.

Non succede, non è così facile morire. Nonostante il tuo essere debole, spezzato, annullato dalla sofferenza, resisti. Non molli. Non per tua volontà, certo, non sai il perché, sai solo che non molli. Chi sta decidendo per te? Quale Dio crudele sta appropriandosi del tuo libero arbitrio per fare di te un fantoccio dolorante con cui giocare?

Nessun Dio, credo. Piuttosto penso sia la vita. E la vita non si sceglie, ti capita. La vita c’è, oltre al tuo volere e ai tuoi desideri. Se ne frega della tua fragilità, se ne frega della tua dignità, se ne frega e basta. Perché?

Forse sa che siamo meno fragili di quel che vogliamo farle credere, che spesso ce la raccontiamo per amor del dramma, per lamentarci e per tirarci indietro dando poi la colpa a lei. Lei ci conosce, facciamo così da millenni, eppure siamo ancora qua. Forse non stiamo benissimo, ma stare malissimo è un’altra cosa. Continuiamo a prenderla in giro o ci decidiamo a crescere una volta per tutte?

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(733) Volare

Forse ho dimenticato come si fa. Dico forse perché mentre ci penso mi distraggo, come se qualcosa mi portasse via per non farmene accorgere. Mi disturba non essere in grado di misurare quel che di me ho perso. Mi lascia troppe domande aperte e mi sento gelare.

Volare mi riusciva piuttosto bene, riuscivo a staccarmi dal mio stato materiale per immaginare quello che avrebbe potuto essere e che – forse – speravo che sarebbe stato. Temo che il fatto che non si sia mai avverato nulla di quello che immaginavo giochi un ruolo determinante nel mio stato attuale di impossibilità a librarmi in volo. Non ci riesco, rimango ancorata alla terra, a quello che c’è e a quello che sta per accadere. Mi si strozza in gola il respiro e mi sembra che sia questo l’unico respiro disponibile per me ora.

Ora? Sì, ora che sono grande. Ora che al massimo posso invecchiare, ma non posso più crescere ed espandermi. Ora che devo ritirare un po’ le armi, giocare più d’astuzia che di impeto passionale. Ora che riflettere è diventato l’imperativo e comprendere si rende bussola indispensabile per segnarmi il cammino.

Non ho troppa voglia di fare conti e calcoli per capire che landa desolata io stia sorvolando mentre il motore in avaria mi sta imponendo un atterraggio di fortuna. Eh, sì. Fortuna che me ne sono accorta in tempo, fortuna che son ancora qui a raccontarla, fortuna che ho ancora braccia e gambe per proseguire, fortuna che gli occhi mi si sono asciugati e che il bisogno di orizzonti azzurri non è più un’ossessione ma soltanto una nostalgia, una delle tante. Anche se la nostalgia annebbia la percezione del valore delle cose presenti, chi riesce più a farne a meno?

Volare, per quanto ormai mi è possibile, è un volare breve a bassa quota. Temo non sia più un vero volare, ma soltanto il ricordo di quel che ero solita fare senza chiedere il permesso a nessuno, senza inventare giustificazioni. Non dico che stavo meglio prima di ora, eppure sapere che mi sono dimenticata di come si può raggiungere il cielo con il cuore brillante mi rende triste. Sarà che è tardi, sarà che sono stanca, sarà che manco in questo momento d’immaginazione. Chi lo sa.

Chi lo sa.

Buonanotte.

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(666) Gabbia

Lavorare con le idee significa imparare a costruire astute gabbie che le possano contenere e nel contempo che permettano loro di crescere e svilupparsi senza sfuggire dai confini imposti.

Lavorare sulle idee significa che ti ci devi mettere dentro quella gabbia e condividere lo spazio con loro, se soffri di claustrofobia peggio per te. L’idea, in generale, respira sempre meglio di qualsiasi Essere Umano – è giusto che tu lo sappia.

Lavorare per donare agli altri le tue idee significa che a un certo punto devi uscire da quella stramaledetta gabbia abbandonando la tua creatura lì. Saprà essere forte senza di te? Saprà farsi valere? Saprà mantenersi compatta e al contempo crescere?

La gabbia è bastarda. Contiene, costringe, soffoca. E ripara. Ogni gabbia lo fa, ogni dannata gabbia lo fa. Maledette.

D’altro canto le idee sono ribelli guizzi, irrefrenabili risa, scatenate frecce, energia che non puoi tenere tra le mani e non puoi incatenare. Ingabbiare però sì. Come sia possibile lo si impara presto, lo sappiamo fare tutti: disciplina, coerenza, costanza, pazienza, capacità spiccata di problem solving. Le idee, in realtà, non odiano le gabbie perché sanno di averne bisogno altrimenti non si concretizzano. Non si arrendono alle sbarre, questo no, ma si fanno modellare e si rendono docili, malleabili, se trattate con rispetto. Sanno di come vanno le cose meglio di noi, meglio di me.

Le mie gabbie mi sentono nemica, ma ormai hanno capito che il mio sfinimento le vedrà vincitrici. Non ci voglio neppure pensare. ‘Notte.

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(504) Risorsa

Ci sono giorni in cui gira male. C’è qualcosa nell’aria che ti ripete quello che non vorresti ascoltare, ma sei troppo vecchia per pensare che girando le spalle alle voci poi quelle scompariranno. Non succede mai.

Cominci a pensarci, perché sai che quel qualcosa non è un dettaglio, è la parte di te che ti ha sempre spinta avanti e quando si impunta è perché sei in un momento in cui potresti non avanzare. Più fai resistenza e più sai che è importante attraversare il fuoco e spingerti avanti. La tua risorsa più preziosa è la tua condanna, in poche parole.

Risorsa significa che, anche se non sai che c’è, sei dotata di una forza che non si doma, che non chiede di essere domata, che pretende spazio per espandersi. Risorsa significa che, anche se non è comodo né semplice, sei tenuta a prenderla in mano per farne qualcosa, altrimenti che starebbe lì a fare? La muffa? Eh! Risorsa significa che, anche se anziché muoverti ti sotterreresti volentieri, sei fortunata perché c’è ancora, è lì per te e ti servirà per crescere-migliorare-evolvere. Come dici? Sei stanca?

Ok, ci sta, sei stanca. Ma stanca di cosa? Di essere soffocata, bistrattata, mortificata o sei stanca di camminare, avanzare, evolvere? Perché ogni volta che ti gira male non è perché stai crescendo, ma perché stai involvendo. Non sei pigra, sei imbrigliata! Come dici? Sei legata stretta?

Esatto: sei affamata, sei segnata dalle briglie, sei esausta. Stai morendo di stenti, e lo sai. Vogliamo prenderla in mano ‘sta benedetta risorsa o ti lasci andare così come se non contasse nulla, come se non contassi nulla?

Ecco, appena avrai trovato la risposta agisci di conseguenza. Evolviti, santiddddio! E senza lamentarti.

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(356) Punte

Vivere in punta di piedi, non è un bel vivere. Hai paura di fare troppo rumore, paura di rompere qualcosa, paura che qualcuno potrebbe notarti e infastidirsi per la tua presenza. Paura che qualcuno potrebbe accorgersi che sei di troppo, che lì non sei desiderata.

Significa non respirare bene, restare sempre un po’ a metà. Significa mettersi da parte quando capti che qualcuno se n’è accorto, che ci sei e che occupi uno spazio intendo. Significa sentirsi dire che sei ingombrante, che hai manie di protagonismo, che sei in cerca di lusinghe e di clamori, anche quando vorresti che ti si aprisse una voragine sotto i piedi per inghiottirti.

Però. Vivere in punta di piedi ti permette di sollevarti un po’, quel tanto che basta da cogliere il vento nuovo che profuma diverso. Vivere in punta di piedi ti fa resistere al risucchio della forza di gravità, la terra non la calpesti, ti posi più leggera che puoi e non lasci tracce indelebili. Vivere in punta di piedi ti rende silenziosa, nel silenzio puoi ascoltare, puoi imparare, puoi crescere.

Le punte su cui traballo sono ormai consumate. Mi fanno male le dita, le gambe non reggono più il peso. Credo sia tempo di poggiare i piedi a terra, dalle punte ai talloni, e sperare che la terra sopporti i miei chili di troppo. Non so come andrà, so che è stata una scuola dura, quella del vivere in punta di piedi, e che sono abbastanza stanca e adulta da appendere le paure al chiodo. E che la musica continui!

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(228) Personaggi

Li vedo chiaramente i personaggi, io. Deformazione professionale oppure talento naturale, non lo so. Amo i personaggi, perché non si fingono persone, si mostrano per quello che sono. Dietro a loro ci sono le persone e quelle sì che fingono.

I personaggi ci scoprono dandoci l’illusione che siamo coperti, ma loro non sanno che noi ameremmo essere scoperti solo che non lo ammetteremo mai. Ammettere una debolezza è certezza di debolezza, sia mai.

Il personaggio che ti si para davanti vuole sempre qualcosa da te, molto più violentemente di quel che farebbe una persona. Il personaggio non ha scrupoli, non ha voglia di menate, non ha tempo da perdere, non ha bisogno di comprenderti: il personaggio è. Così com’è, senza chiedere il tuo parere o il tuo consenso. Che Essere meraviglioso, vero? Quanto dovremmo imparare da lui/lei per essere veramente noi!

Il personaggio quando è debole è dirompente, quando è forte è disarmante, quando è grande ti sembra piccolo e se è piccolo fa cose enormi. Non mente un personaggio, non ne ha bisogno, lui vive tuo malgrado.

Ci sono personaggi indimenticabili, capaci di far scomparire le persone che stanno lì dietro. Le persone che scompaiono, però, giocano il gioco vigliacco e non sono degne di compassione. Lo pensavo trent’anni fa, vent’anni fa, dieci anni fa e lo penso anche ora. Mi fa bene scoprire che, in fondo, resto fedele al mio personaggio, nonostante la gente pensi che non sia così. Ma io non mi nascondo, no. Io imparo dal mio personaggio, che mi sa prendere per mano e mi sa portare dove io non oserei andare. Ecco il perché del mio crescere.

 

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(107) Soglia

Resta sulla soglia chi non vuole vedere. Resta sulla soglia chi non vuole capire. Resta sulla soglia chi non vuole sentire. Resta sulla soglia chi ha paura.

Oltre la soglia c’è il rischio di vedere cose che potresti non voler vedere, capire cose che vorresti non dover capire, sentire cose che vorresti evitare di sentire. Preferisci avere paura. Una cosa che conosci ti mette meno in crisi, è più rassicurante.

Varcare quella soglia ti fa comunque cadere nel vuoto e se non ami il vuoto chi te lo fa fare? Varcare quella soglia ti potrebbe far cambiare per sempre, se non ami i cambiamenti non ci pensare nemmeno.

Eppure, oltre la soglia c’è un nuovo te che ti aspetta. Quello coraggioso dei due, non farlo aspettare troppo a lungo potrebbe stancarsi e smettere di credere che ce la puoi fare.

Io, penso, di avercela fatta. Solo perché ho creduto che la me più coraggiosa era quella che valeva di più delle due. Meno male che mi sono fidata di lei.

Meno male.

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(38) Rifocalizzazione

Capita spesso che, nonostante lo splendore delle mie idee, io faccia un buco nell’acqua. Negli anni la reazione al dato di fatto è mutata. Sensibilmente mutata.

Prima pensavo: le mie idee fanno schifo. Poi ho iniziato a pensare: il mondo fa schifo perché rifiuta le mie idee. Ora penso: rifocalizziamo tutto e riproviamoci.

Potrei dire con orgoglio che mi vedo parecchio migliorata. Ho superato la prima affermazione aumentando di un paio di spanne la mia autostima. Le mie idee sono splendide, anche quelle imperfette, anche quelle che non vengono capite o accettate. Sono splendide perché sono il mio modo di esserci: con coraggio e, a volte, con spavalderia, ma in modo onesto.

La seconda affermazione, di netto stampo vittimistico, aveva la meglio quando qualsiasi cosa io facessi rimbalzava contro ostinati muri di gomma di cui non vedevo la fine. La frustrazione mi seppelliva, quotidianamente. Ho deviato appena sono arrivata al machissenefrega. Ci ho messo un bel po’, ma ce l’ho fatta (c’è speranza per tutti).

La questione del rifocalizzare l’idea (il progetto) è un’evoluzione liberatoria. La presa di coscienza che forse le mie idee non sono splendide, ma neppure uno schifo e che se fanno un buco nell’acqua potrebbe essere solo per un dettaglio sballato.

Riprendo in mano tutto, ci rifletto, valuto, soppeso, ribalto la questione da sotto a sopra e vedo cosa può essere migliorato.

Ci riprovo, non mollo ancora perché in questa idea c’è del buono. Lo sento, lo vedo, lo posso anche toccare. Devo solo trovare il modo di farla arrivare sana e salva al di là del lago.

Farò un buco in terra e la pianterò proprio lì. E lì crescerà.

Adelante Sancho!

b__

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(24) Risveglio

Ci sono stati periodi in cui svegliarsi al mattino era come entrare in un forno crematorio. Era morire a ogni risveglio. Avrei dormito per sempre, anche quando gli incubi mi tormentavano perché almeno lì avevo una via d’uscita.

Quand’ero ragazzina se mi lasciavano dormire non mi svegliavo più, la mia realtà era grigia e con poco orizzonte a differenza dei miei sogni a colori dove volavo come un’aquila senza temere nulla.

I miei risvegli di adesso sono veloci. Non mi adagio nel dormiveglia, inizio subito a pensare, a progettare la giornata, a scandire bene dentro di me le cose da fare e tutto quello che devo ricordare per farle bene. I sogni sono diventati difficili da ricordare, sono diventati complicati da leggere, sono diventati quasi parte del reale perché mi sbucano fuori mentre a occhi aperti vivo.

Vorrei riuscire a recuperare la lucidità per annotare i sogni che mi scivolano via senza che io possa osservarli e comprenderli. Ci vuole disciplina, mi hanno detto. Al momento forse manco di motivazione, forse perché mi sto domandando se sono più sveglia ora o se ero più sveglia da ragazzina, quando il peso della vita non mi schiacciava e vedevo meglio.

O così me la voglio raccontare. Non lo so.

b__

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