(990) Quid

Quel certo non-so-che, presente? Se lo cerchi non lo trovi, quando lo cerchi per gratificare la tua fame di bellezza. Quando non lo cerchi lo trovi, per allertarti e farti presente che i conti non tornano.

Strano ‘sto quid, no? Sì, strano.

Come sinonimo ha dettaglio, ma secondo me tiene dentro di sé un potere diverso, una sorta di magia, un qualcosa che ti collega con la quinta dimensione. Ha un suo odore, ha una sua voce. Niente a che fare con quello che conosciamo noi, per questo ci risulta strano e impalpabile, per questo non riusciamo a trovare parole adatte a descriverlo.

Il quid è quella parvenza che non sarà mai sostanza, seppur sappia trasportare la stessa densità. Lo trovi nelle persone e nelle situazioni, non nelle cose. Le cose si affidano ai dettagli, che sono statici, non si muovono. Il quid, invece, è fluido, scorre, come se fosse linfa di un albero o sangue di un animale/uomo. Non lo puoi fotografare, non si mette in posa. Lo puoi percepire sulla nuca o tra le dita, anche se non lo puoi stringere, non lo puoi schiacciare.

Non lo puoi contenere, non lo puoi usare. Non si consuma. E non lo puoi inventare, non lo puoi creare ad hoc. Se non c’è, non c’è e basta.

Il quid è quel-certo-non-so-che. E ti lascia sempre un po’ stordito, sempre un po’ traballante, sempre un po’ vulnerabile. Quasi sull’orlo, lì lì per cadere.

Ops.

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(956) Scollinare

È quello che sto facendo, suppongo: passare da un versante all’altro di una collina. Ci ho pensato oggi, mentre valutavo un po’ le mie condizioni psico-fisiche (una sorta di check up sommario che mi concedo tra un accidente e l’altro, con il sollievo di trovarmi ancora in discreta salute).

Sono salita sulla collina, ho raggiunto l’apice, mi sono guardata attorno e mo’ sto scendendo. Sperando di non arrivare in fondo ruzzolando poco elegantemente.

La chiarezza di questa immagine, al momento, mi affascina. Da quanto ci stavo pensando? Perché è uscita proprio ora? Significa che sono cresciuta in consapevolezza o sono la solita tonta che si sveglia sempre troppo tardi? Lo ignoro bellamente.

Accorgersi che lo shampoo che stai usando da anni non va più bene per i tuoi capelli (i tuoi capelli sono cambiati), che la crema per il viso è insufficiente a tenere tutto nella norma (devi prendere quella anti-rughe), che i vestiti che avevi messo da parte dieci anni fa li puoi buttare senza problemi (non recupererai mai la forma di un tempo), che le cose che ti piacevano non sono più le stesse, che le persone che frequentavi sono troppo lontane ormai (e va bene così)… insomma: hai scollinato, bella mia.

Quindi devi provare un altro shampoo, scegliere un’altra crema, comprarti vestiti nuovi, dedicarti alle cose che ora ti piacciono, stare con le persone che sono simili a te. E con calma sistemerai tutto.

Ma pensa te che scoperte che vado a fare una domenica come tante in mezzo al casino che c’è. Mah!

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(919) Interferenza

La quiete. Proprio calma piatta. Non si muove niente e tu fai in modo che niente si muova, tanto sei altrove. Tutto perfetto.

Ma fare niente-niente-niente, mentre vivi, è davvero difficile. Anche quando dormi fai qualcosa, quindi per fare niente-niente-niente dovresti proprio impegnarti tanto, concentrarti tanto, insomma faresti comunque qualcosa perché il niente non viene spontaneo a chi respira.

Detto questo, è una palese giustificazione sia chiaro, tu provi a fare niente ma qualcosa fai. E non sai mai se quel qualcosa – piccolo, inutile, banale, da nulla – ti provocherà qualcosa. Lo fai perché qualcosa comunque devi fare, quindi lo fai. Ecco. Non si tratta di consapevolezza, si tratta di per-forza-di-cose. Bon.

Tu fai quelle cose da nulla e una di queste mette in circolo un disturbo. Un disturbo che parte da lontano, non te ne accorgi perché sei sovrappensiero tutta impegnata a non fare nulla. E quel disturbo trova una strada sua: prima attraversa il tuo deserto, poi attraversa le tue foreste pluviali, e poi – fatalmente sopravvissuto – arriva in tangenziale. Quando è lì è troppo tardi.

Questo fastidio s’è fatto i muscoli, e quando ti si para davanti non è che uno spintone basti. Dovresti estrarre la katana. Ma dove diavolo l’hai messa? Nella tua quiete, nella tua dannata calma piatta non ti serviva. Dove te la sei dimenticata? Non ce l’hai sottomano, quindi guardi quei muscoli e pensi sono-fottuta. Ma non lo dici. Maledetta interferenza, pensi, ma non lo dici. Dirlo sarebbe debolezza esplicita. Prima si muore e poi ci si arrende, tanto per inciso.

Fatto sta che questa muscolosa interferenza sta mandando in corto tutto il tuo sistema, ormai la quiete è ben lontana e ti sei giocata da tempo l’illusione che il fare niente ti avrebbe messo in salvo da tutto. 

Idiota.

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(766) Uomini

Perché parlare non basta, sono i fatti che dimostrano chi sei. Quando il dubbio su chi sia il migliore neppure ti sfiora, la gentilezza si spande soffice e uniforme senza squilli di trombe. Non ci sono sguardi stonati, non ci sono imposizioni. Nessun sottomesso e nessun padrone. Che a scriverlo sembra fantascienza, vero?

Non nasci per servire qualcuno, neppure l’uomo che hai scelto di accompagnare. E se tu accompagni lui, lui accompagna te.

L’ascolto segue binari fluidi, forse ritmi diversi e tonalità che fanno da contrasto, ma non è guerra, potrebbe piuttosto essere un concerto strampalato. Che quando si è in due a suonare, anche fosse la stessa canzone, qualche nota dallo spartito può scappare e se ritorna la si risuona meglio, più sicura, basta volere un’altra occasione.

Quando si sbaglia si chiede scusa, non perché la pensiamo diversamente però. Non ci si scusa per ciò in cui si crede, si spera, si sogna.

Gli uomini, quelli che vorresti incontrare, sono quelli che sanno chiedere pronti a ricevere risposte che non si aspettano eppure accettano perché nient’altro saprebbero fare se non comprendere. Sono quelli che non si fanno intrattenere  per non pensare, sanno condividere per approfondire quel che serve e capire meglio quello che non conoscono. Senza paura, senza inganno.

Noi donne amiamo volentieri anche gli uomini che dicono di non voler essere amati perché raramente ci fermiamo alla superficie. Le cose dette volano via nell’istante in cui si aprono al suono, i fatti si posano – per rimanere – sulle Persone e sulle Cose e sulla Vita e sulla Morte. Anche sull’Amore.

Soprattutto sull’Amore.

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(752) Fede

La fede può trasformarsi in una brutta bestia se si perde la ragione. Gli uomini pensano che sia una giustificazione per tutto, presentandola come la sola ragione possibile. Non mi ci ritrovo lì dentro, non voglio proprio starci in una gabbia come quella. Però sono una persona di profonda fede.

Ho fede nella vita, nelle cose della vita intendo.

Credo fortemente che le cose della vita siano destinate al bene. Non le cose provocate dagli uomini e dalla follia violenta che li pervade, ma quelle cose che fanno parte della vita e che accadono a tutti e accadrebbero a tutti anche se stessimo fermi immobili senza respirare – oops… forse è troppo – in apnea intendo.

Con la convinzione che le cose della vita cambino e si sistemino sempre per un disegno positivo da completare, faccio conto che tutto quello che la vita mi fa accadere e che io prendo male (lo faccio spesso, purtroppo) sia dovuto a una semplice questione: non capisco un cavolo della vita e delle sue cose. Non capisco. Punto.

Voglio dire che se non capisco e non riesco ad accettare le situazioni che mi vengono imposte, questo è e rimane un mio problema, mica un problema della vita. Lei se ne frega bellamente, e giustamente, perché ha altro a cui pensare, io dovrei invece prendere in seria considerazione il fatto che se sono sopravvissuta fino a ora, forse, significa che le cose attraversate erano alla mia portata.

Se riduco l’intensità del sentimento, e le complicanze annesse, il peso del vissuto si alleggerisce. C’è di peggio, dai, c’è di peggio. In questo pensiero proprio basic mi sono fatta accompagnare dal riccio, che come animale totem parla proprio di questo: la fiducia nel fatto che andrà tutto bene. E prima o poi andrà tutto bene, perché non dovrebbe? Per me è sempre andata così, non subito, ma guardandomi ora sarei una pazza a non ammetterlo.

A pensare male si vive male. Se vivi male scambi la fiducia nella vita con la fede in un Dio a cui potresti pure e giustamente stare sulle  palle. Ecco, io preferisco non rischiare e appellarmi alla forza della vita e a tutte quelle cose che ho trovato nel pacchetto all-inclusive. Una tra tutte? La mia fede.

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(749) Stima

Si fa la stima di un bene, se ne valuta il valore o se ne misura la grandezza o l’altezza o il peso, oppure si apprezza qualcuno per una qualità che gli riconosciamo. Meglio ancora se lui/lei neppure se ne accorge.

La stima non la compri, te la guadagni senza sforzo quando le qualità ce le hai e non quando le millanti. La stima, alla fine dei conti, è un dono perché non ti dovrebbe costare nulla, la ottieni perché sei quello che sei, la provi perché ricevi in cambio qualcosa. Cosa? Qualcosa.

La stima va oltre il rispetto, che è dovuto sempre e in ogni caso, la stima non deve nulla a nessuno. Se nasce, nasce spontanea e se decide di restare ha le sue buone ragioni. Non ha scadenze, ma se decade difficilmente c’è recupero. Se s’interrompe bruscamente diventa punizione.

Certo, c’è anche quella di facciata, quella che si dimostra per interesse o per servilismo, ma non la chiamerei stima bensì calcolo disonesto. Esserne oggetto fa sentire sporchi anche se non se ne hai alcuna responsabilità.

La stima per qualcuno nasce col tempo, prestando attenzione alle cose sottili, ai silenzi, alle parole taciute per pudore o rispetto o buongusto. Cresce col tempo, per la limpidezza dell’intento, esplicitato o meno, per la coerenza del pensiero anche quando non è comodo, per la gentilezza d’animo che si mostra con costanza perché è naturale espressione di un buon cuore. Questa è la stima che sento per alcune speciali persone che fanno parte della mia vita. Ringrazio il cielo che ci siano e per l’esempio che mi danno.

La stima è un sentimento puro e bellissimo che ti rigenera senza che tu te ne accorga, bisognerebbe cercare con strenua volontà persone da stimare per permettere alla nostra anima di continuare a sperare nella grandezza del genere umano.

Strenuamente. Strenuamente.

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(724) Tocco

Basta un tocco e tutto può cambiare. Un tocco di fortuna o di sfiga e tutto può cambiare. Anzi, tutto cambia. Perché cambi tu dentro, anche se non te ne accorgi, anche se ti sembri sempre la stessa, ma non è così. Te ne accorgi col tempo, quando si è sistemato un nuovo equilibrio, migliore o peggiore non ha importanza, è comunque un’altra cosa, anche se nel minuscolo e nell’intangibile.

Un tocco di gentilezza migliora la tua giornata. Un tocco di ironia solleva la situazione, un tocco di speranza ti fa guardare al domani con un sorriso. Quando nelle cose ci metti un tocco di rabbia si rompono i bicchieri e si rompono i legami e anche certi cuori, quelli che non sanno difendersi e che si affidano ingenui.

Noi siamo fatti di tocchi, miliardi di tocchi in una giornata, e non ce ne accorgiamo. Pensiamo sempre che le cose siano grandi, specialmente quelle che contano, e invece le cose sono sempre piccole, piccolissime. Piccoli tocchi che si sommano uno all’altro e che producono grandi spostamenti e – spesso – grandi danni. Perché non ce ne curiamo, perché non pensiamo abbastanza, perché non ci prendiamo carico delle conseguenze e tanto meno della materia delicata con cui è fatto l’animo umano – che ricorda tutto il male e dimentica tutto il bene.

Se riuscissimo a contare i tocchi che in una giornata diamo agli altri e quelli che riceviamo ne rimarremmo impressionati. Ci verrebbe quasi da chiederci: “Come ho potuto ignorare tutto questo fino a oggi e comunque sopravvivere?”. Ma non lo faremo mai, è troppo rischioso e noi non abbiamo voglia di menate perché già la vita è così complicata che farsi passare il mal di testa è un’impresa. Allora continuare a toccare senza grazia, senza cura, senza bene, il nostro prossimo diventa una scelta obbligata, e continuare a vivere una vita arida e spinosa diventa il nostro unico destino.

No, non è questione di karma, quello viene dopo. Per tutti.

 

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(699) Mappamondo

L’impressione che il mondo stia andando un po’ a farsi benedire è supportata fortemente da tutto quello che del mondo oggi vediamo – più che da quello che sappiamo. Sapere è una parola grossa, vedere è più appropriato perché dalla televisione siamo passati a internet e le immagini e i video ci tengono gli occhi in ostaggio. No, il cuore no, al cuore succede una cosa strana: viene avviluppato nel cellofan. Attutisce i colpi e dimezza la sensibilità. 

Negli occhi si impressiona una gallery spropositata di immagini più o meno in movimento, il nostro cuore non sente come dovrebbe sentire, il cervello si dimentica di funzionare perché è distratto dalle informazioni visive che deve in qualche modo archiviare e… e il mondo seppur vicino, seppure intero, seppur variegato, ci scappa di mano. Rotola via. Non lo sentiamo più, non lo capiamo più, non lo valutiamo più come l’organo che ci permette di vivere. 

Il mondo è fatto di cose e di persone. Cose vive e persone vive. Ricordarlo sarebbe utile e saggio.

Quando smettiamo di considerarlo vivo, il mondo inizia a farci paura. Tutto quello che contiene è come se fosse lì per avere la meglio su di noi. Per difenderci pensiamo che dovremmo sentire meno per assicurarci l’invulnerabilità. E se non ci riusciamo? Ci dobbiamo armare e combattere, ovvio. Combattere chi? Chiunque ci capiti davanti, chiunque ci risultasse pericoloso, minaccioso. Faticoso, logorante e davvero tanto inutile e poco saggio. 

Dovremmo, a volte, evitare di affidarci alla vista e imporci un ascolto minuzioso di tutto ciò che di vivo ci ruota attorno. Dovremmo togliere il cellofan dal cuore e monitorarlo con attenzione per capire quanto può sopportare e di quanto supporto ha bisogno per funzionare meglio. Dovremmo rispolverare le sinapsi e rimetterle in azione, dovremmo rafforzarle per riuscire a sostenere l’ammasso di immondizia che ci viene buttato addosso quotidianamente.

Dovremmo. Ci farebbe male eppure bene. Talmente bene che poi il mondo smetterebbe di farci paura. Inizieremmo a rispettarlo. Bello no?

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(693) Piangere

Ci sono cose che fanno piangere, e anche persone che sanno come far piangere. E ci sono almeno mille modi diversi di piangere e un milione di ragioni diverse per cui si piange. Ogni lacrima versata si porta via con sé un intricato garbuglio di sentimenti. Non piangi mai per una cosa soltanto, inizi con una motivazione – certo – ma poi a valanga vieni sommerso da tutto quello che fino a quel momento stava in piedi per miracolo. E quando l’incantesimo si spezza: addio.

Addio nervi, soprattutto.

Io piango quando rido di cuore. Nel senso che anche quando rido piango. Questo fa di me presenza fastidiosa per esempio al cinema: se un film mi piace piango. Fosse anche un film comico, fa niente, io piango. Che poi il mio non sia un pianto becero è un dato di fatto. Piango in silenzio. In un certo qual modo il mio pudore ha la meglio. Decoro innanzitutto, sono pur sempre friulana. 

La questione ha anche un’altra faccia: piango raramente per me. Mi faccio piuttosto compassione in diversi momenti, ma più che piangere per me mi viene naturale ridere di me. Questa cosa mi stordisce. Voglio dire: è una cosa positiva o una cosa negativa? Lo ignoro bellamente. Non lo so proprio, non riesco a capirlo dalle conseguenze che mi porto addosso perché è così da molto tempo e le conseguenze sono diventate parte di me. Forse è un male e sono malata, o forse non sono del tutto fuori di testa perché questa dinamica mi fa bene. Boh.

Riassumendo: piango per gli eventi, per le persone (e a causa di certe persone), piango per le storie che ascolto/vedo/incontro, piango per le cose che mi fanno incazzare. Non piango per me, anche se credo che esistano buone ragioni che lo potrebbero giustificare (un bel pianto ognittanto, mica sempre). Eh. Quindi? Niente, era soltanto per fare il punto della situazione. Facciamo che ora che l’ho scritto lo possiamo serenamente archiviare, ok? 

Bene, buonanotte a tutti e grazie per l’ascolto (e buonanotte anche a me).

 

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(686) Eco

Ci sono dei passi che hai fatto di cui ti porti ancora l’eco dentro, te ne sei accorto? Sono quelli che non finiranno mai, non importa quanto ci stai provando e da quanto tempo, non finiranno mai. Te li porterai dentro per sempre.

Non ho ancora capito se è perché dovevo fare altre scelte e il reminder diventa una sorta di punizione, o se è perché la scelta è giusta ma ancora non l’ho digerita. L’ho fatta, ma soltanto perché andava fatta nonostante il dolore che mi poteva causare. Soltanto che l’ho scoperto troppo tardi che l’eco del dolore non passa mai. Neppure quando non c’è più ferita, neppure se non c’è nemmeno una cicatrice. Mai. Rimane tatuato nel cervello e ti si ripresenta intatto anche a ricordarlo dopo un secolo. Questa è la vera maledizione del vivere.

L’eco stordisce, non sai da dove è partito il suono originale, non sei in grado di contare tutti i rimbalzi che ha fatto per arrivare a te, non sei nella condizione di poterlo schivare. Sei semplicemente sulla sua traiettoria e ti porterà con sé ovunque voglia andare. Mi piacerebbe poterlo prendere al volo, tenerlo in mano per guardare che faccia ha. Sono quasi certa che abbia la mia faccia, sì, non può essere altrimenti.

Penso anche all’eco di quel che ho fatto e ho detto in questi anni, sarà rimasto dentro a qualcuno? Non come una sottile vendetta per chissà quale peccato, no. Sarebbe terribile, non me lo perdonerei. Piuttosto come un’esortazione gioiosa, una richiesta al poter Essere-Presente, alla sostanza delle cose, dei fatti, delle persone, degli incontri. Questo sarebbe bello, fosse anche soltanto in una persona, sarebbe bello.

Chissà se l’eco di me, in qualche modo, riesce ad essere utile al mondo. Chissà.

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(661) Moltitudine

Quando è troppo è troppo. Una moltitudine per me è sempre troppo. Preferisco poche cose per volta, poche persone per volta, pochi pensieri per volta, poco insomma. Nel poco riesco a destreggiarmi meglio, riesco a fare meglio.

C’ho messo un bel po’ a rassegnarmi che contenevo moltitudini (grazie Walt Whitman) e che andava bene così. Temevo per la mia autenticità, eppure una cosa non va a inficiare l’altra – ho scoperto in età matura.

Man mano che accettavo la mia moltitudine riuscivo a individuare quella altrui, un po’ destabilizzante ma un cambiamento opportuno per la sopravvivenza. E a un certo punto il giudizio quello brutto cade, ci si sente persi, sembra che tutto sia lecito e tutto plausibile. L’età avanza e recuperi i filtri, riprendi in mano il tuo metro per misurare e valutare secondo altri criteri: quel che per te va bene ed è giusto e quello che non lo è. Dai per scontato che non sia un parere universale, è soltanto il tuo. Questo ti permette di ripercorrere il concetto di “moltitudine” con una certa serenità nell’anima. Segui la voce che ti rassicura: “Va tutto bene”.

A volte le credi, altre meno, ma lei non smette di restarti accanto e intanto il tempo passa.

Ci sono diversi strati dentro di me, alcuni me li sono dimenticati sotto la polvere, altri li ho archiviati perché non mi servono più. Faccio fatica a buttarli, e non lo so il perché. Un dato di fatto è che troppe cose e troppa gente mi creano ancora fastidio, troppo rimane troppo per me. Forse perché ho imparato come stare immersa nel niente. O forse me la sto soltanto raccontando, mah!

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(638) Fragole

Mi piacciono tantissimo, ma proprio tanto. Mi piacciono così tanto che vado in cerca di quelle migliori: profumate, dolci, succose. Non sempre le trovo, anzi. Negli ultimi anni una volta su dieci, se va bene.

Questa situazione può essere presa benissimo come metafora per qualsiasi cosa che mi piaccia. Ricerco il meglio. Poi non lo trovo sempre, ovvio, ma miro al meglio che c’è. Tanto per intenderci: o mangio una pizza buona o non la mangio, o mi compro un paio di scarpe belle e comode o non me le compro proprio, o ho l’occasione di passare del tempo con persone che per me sono speciali oppure me ne resto da sola. Sono forse un’estremista nella ricerca forsennata della qualità? Sì, e Pirsig sarebbe fiero di me.

Gli escamotage che rendono light le cose che sono in realtà buonissime ma pesanti, li schifo. Piuttosto me ne privo, non è la fine del mondo, ma la Coca-Cola light non la voglio neppure vedere in fotografia. Vada retro.

Stessa cosa per le persone light. E lo so che se lo scrivo sembra ancora più brutto che a dirlo soltanto, ma è la verità. Sono una persona pessima, ma le persone con i neuroni light mi fanno salire la saudade. Non je la posso fa’.

La cosa peggiore? Più invecchio e più ‘sta cosa si radica in me. E non me ne frega niente. Se quand’ero giovane potevo avere un qualche dubbio o rimorso, se riuscivo ancora a valutare la versione sociopatica di me come un problema da risolvere, ora è tutto l’opposto. Ho una sola versione e la versione ribadisce il concetto: solo il meglio. E non è un problema. Un’aggravante che non lascia via di scampo. Lo so.

Fatto sta che il tempo non fa che mettere ancor più in evidenza quei tratti del mio carattere che cercavo di mimetizzare pensandoli orrendi. Mi viene da ridere, ora. Sono probabilmente diventata una persona orrenda e la trovo una cosa superdivertente. A saperlo prima!

Noi prendiamo una manciata di sabbia dal panorama infinito delle percezioni e la chiamiamo mondo.

(Robert M. Pirsig, “Lo Zen e l’Arte della manutenzione della motocicletta”)

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(601) Ostinazione

Come ogni cosa che riguardi l’Animo Umano bisogna andarci cauti. Le parole non sono mai bastanti, bisogna saperle rivoltare come un calzino prima di appoggiarle sopra a un sentimento, a uno stato dell’Essere. Ostinazione, per esempio, può rivelarsi un tratto indispensabile del carattere per una persona che non molla mai e persegue gli obiettivi che si è posto senza farsi fermare da niente e da nessuno. Ostinazione può anche risultare un macigno sullo stomaco per chi non si permette di cambiare e di crescere. 

La mettono come caratteristica del mio segno zodiacale, lo si legge sempre e ovunque: il Toro è ostinato e possessivo, oltre che attaccato alle cose materiali. Ammetto che nella lista ci dovrebbe essere anche permaloso perché a me questo sguardo mi ha sempre offesa. Sono determinata, non ostinata. Curo le persone e le cose che mi stanno a cuore, non penso di possedere nessuno e ho sempre condiviso le mie cose con le persone di cui mi fido. Mi piaccione le cose belle, materiali è vero, ma le metto davvero all’ultimo posto nella classifica delle mie priorità. Il fatto, invece, che sono permalosa non ha sconti.

Una cosa che dà parecchio fastidio di me è la mia assertività – che a volte viene volutamente spinta per provocare crepe interessanti – e anche certe mie posizioni. Francamente, le mie posizioni non sono statiche, tendono a muoversi quando mi rendo conto che si stanno sgretolando perché i conti non mi tornano. So cambiare idea, so ammetterlo e so che è successo, succede e succederà spesso.

In tutto questo, il mio ostinarmi a resistere è davvero estremo. Questo sì. Resisto. Resisto. Resisto. Lo faccio perché non voglio e non intendo darmi altra scelta. L’ostinazione in questo senso è l’unico modo che ho per trattare con me stessa, con la parte pigra e indolente che cerca di trattenermi e di sedare ciò che di vitale ancora c’è dentro di me. Posso anche sembrare sopita, ma è soltanto perché da buon segno di terra i miei tempi sono più allungati, meno forsennati di altri. A volte è un limite, altri è una gran fortuna. Per la maggior parte del tempo è così e basta e non me ne occupo né me ne preoccupo.

Se mi permetto l’ostinazione è per rendere grazie a questa vita ogni giorno, oltre le mie lamentele oltre le mie cadute oltre i miei fastidi oltre oltre oltre oltre… Quindi anziché star qui a farmi un processo preferisco andare a farmi una doccia. Lavo via l’ostinazione della giornata per riposare meglio e domani ne indosserò una nuova. Pulita e vigorosa, perché è meglio attrezzarsi adeguatamente… non si sa mai.

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(591) Brivido

Quelli che preferisco, quelli positivi, ormai non li provo più da millenni. Bah, sarò diventata cinica. Sarà che a forza di tirar su muri protettivi alla fine te ne freghi anche dei brividi. Basta che non ci siano casini, il resto va tutto bene.

Non mi passano, invece, quelli negativi, quelli legati a degli eventi allucinanti che non potevi neppure immaginare potessero accadere. Quelli non passano, nonostante il bombardamento mediatico ci metta il carico da cento per costringerti all’assuefazione. No, non mi farete addormentare prima della mia fine estrema, non ci riuscirete per quanto vi potrete impegnare. Omicidi, eccidi, assoluzioni, indifferenza, assurdità inenarrabili… una lista infinita.

Quando la realtà fa schifo, e tu te ne rendi conto che fa schifo, puoi fare due cose: o te la racconti in modo da fartela piacere oppure fai del tuo meglio per cambiarla affinché non ti faccia più tanto schifo. Si possono contare sulle dita di una mano le persone che scelgono la seconda opzione, lo sappiamo bene. Perché sono così pochi? Perché è faticoso e può essere anche frustrante e snervante. Potresti non arrivare mai a ottenere neppure la metà di quello che speri, nonostante i tuoi sforzi e la tua fede. Cosa da pochi, da chi c’è nato così e non riesce a inventarsi un modo di essere diverso da questo. Quando non hai scelta, il libero arbitrio è dettaglio ininfluente.

Raccontarsela per farsela piacere, invece, è lo sport nazionale. Noi italiani siamo dei maestri in questo e possiamo fare scuola a chiunque. Mi vengono davvero i brividi quando incontro storie deliranti, facilmente demolibili, che vengono portate avanti con prepotenza, e contro tutti, soltanto per non ammettere la realtà delle cose. Perché la realtà delle cose non si fa insabbiare facilmente, ritorna in superficie appena può. La codardia, la furberia, la castroneria – anche quando condivisa dai più – rimangono lì a far mostra di sé. Non si cancellano.

Sono brividi brutti e non passano. Ecco, questa realtà delle cose non riesco a raccontarmela in modo che mi piaccia. Non ci riesco proprio.

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(447) Nymphaea

Ci sono molte cose che mi passano davanti o accanto e che io ignoro, proprio non le guardo. Non che non me ne accorga del loro passaggio, ma non le guardo perché ho altro da fare. Solitamente non è per mancanza di genuino interessa, infatti ho scoperto che se ho tempo libero mi interessa proprio tutto. Incredibile quanto io possa essere interessata alle cose, anche quelle più inutili, tanto che mi devo impedire certe volte di avere tempo da perdere.

Vabbé, tra le tante cose che non mi fermo volutamente a osservare ci sono altre che invece attraggono la mia attenzione fino a fagocitarmi. Passano ore come fossero secondi mentre cerco di riaffermarmi al mondo uscendo dal tunnel.

Una di quelle cose che mi attraggono sono i fiori, tutti. Li trovo tutti splendidi, soprattutto perché ce ne sono talmente tante di specie da perdere la testa. Proprio oggi mi sono imbattuta in una foto di ninfee che ho trovato strepitosa e da lì ho pensato che non ne sapevo nulla di ninfee e che magari digitando la parola su Google qualcosa sarebbe uscita. Sbang!

Mi sono resa conto di quante specie di ninfee esistono, tutte diverse, tutte con un’Anima ben definita e tutte tutte tutte splendide. Stessa cosa mi successe in una serra di orchidee tempo fa, o nel roseto di un monastero quando avevo meno di trent’anni e… e tante altre volte. Ricordo la passiflora che fioriva arrampicata nel muro della casa della mia nonna, ricordo i colori, il profumo e le vespe che ci ronzavano attorno e che una volta mi hanno punto sul dorso sella mano.

Mia nonna aveva un gran pollice verde, anche mia madre lo ha, piacerebbe averlo anche a me. Per la cronaca: la mia piccola bonsai, Gala, si è ripresa alla grande, ma non sono affatto sicura sia per merito mio, credo piuttosto per la vicinanza di tutte le piante che le stanno attorno – e per la vitamina, ovvio. 

La vitamina fa bene a tutti.

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(341) Vortice

Cose da fare fare fare fare fare fare… cose da vedere vedere vedere vedere… cose da dire dire dire dire dire dire dire dire… o da scrivere scrivere scrivere. Una spirale senza fine che ti fa cadere giù, sempre più giù.

Me ne sono resa conto spesso e ci sono ricascata ogni volta. Non riesco neppure a immaginarmi come si può stare quando non fai niente. Voglio dire proprio niente, neppure un pensiero. Niente di niente. Non lo so.

Ho già ribadito il concetto che la meditazione non è contemplata nel mio database, come non lo è il golf, e ritorno proprio lì. Il vortice è quella cosa che tu lo sai che c’è, sai che ci sei dentro, sai che dovresti uscirne, sai che se non ne esci tu nessun’altro può farlo al posto tuo… tu sai. Eppure cadi giù.

Ora, non è che pretendo di non finirci dentro (spesso ci entro tirata per i capelli da qualcuno), ma vorrei farmi almeno furba di quel tanto che mi eviti di rimanerci troppo a lungo. QB. Ecco, se fosse per me io passerei una giornata a settimana a dormire e basta. Dormire e basta. Un altro paio a fare le cose che voglio fare e basta. Il resto della settimana a lavorare. Non mi sembra di chiedere poi molto, eppure non ce n’è, non è mai successo di farmi un mese del genere.

Mi devo impegnare di più. Tsé.

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(300) Profumo

Ogni tanto mi ricompare sotto il naso, come se non fossero passati 35 anni, il profumo che usava la mia nonna. Un misto di borotalco e di rosa. Altre volte il profumo del cibo che mi cucinava e ne posso sentire ancora il sapore.

Ogni tanto rieccolo il profumo del Mare del Nord e quello delle Highlands e quello del Tay River, e chiudo gli occhi e sono di nuovo in Scozia, di nuovo immersa in quella terra che mi faceva stare bene.

Ogni tanto vengo colpita con un pugno allo stomaco dal profumo di qualcuno che ho perso e che mi manca.

Il profumo delle persone e delle cose mi rimane nella carne e non c’è verso di farlo andare via. Non si può cancellare come fai con i segni della matita su un foglio, sono disegni radicati per sempre.

E certe volte fanno bene, altre fanno male. Certe volte bene e altre male. Bene e male, mescolati con nostalgia e struggimento. Alla fine della storia, credo di essere fatta di profumi più che di parole, e con questo ho detto tutto – almeno per oggi.

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(296) Programmi

I programmi sono fatti per essere disattesi, lo sanno tutti, ma io non mi rassegno. Sia mai!  Quindi ecco qui un breve tutorial per programmare un bel piano:

  1. Fai una bella lista di tutto quello che vorresti fare
  2. Appiccicala in qualche modo sul pannello dietro al monitor (così mentre lavori ci puoi dare una sbirciatina e tenere sotto controllo l’andamento dei lavori)
  3. Spunta ogni voce che hai saputo portare a termine

A questo punto ti arriverà una telefonata per un lavoro urgente, sarai costretta ad accettarlo quindi la spunta rallenterà notevolmente il suo procedere. Appena pensi di poter ricominciare ti arriverà un altro impegno che non potrai rifiutare e da lì a valanga una lista impressionante di urgenze.

Cosa fare in questi casi? Per non rovinarti le giornate struggendoti per i programmi andati a monte, la cosa più saggia è strappare in mille pezzi il foglio/programma e non pensarci più.

Amen

 

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(279) Boomerang

Che le cose brutte fatte agli altri ritornino al mittente (e poi son cavoli amari), questo lo so fin da piccola. Me l’ha detto mia nonna e io a mia nonna ho sempre creduto ciecamente. Bon, si cresce così, con crudi e sani insegnamenti che una volta tatuati nella memoria non te li togli più. Un imprinting sacro.

Mi sono, però, sempre domandata perché per le cose belle fatte agli altri non funzionasse allo stesso modo. Se è una legge fisica allora va al di là del giudizio morale bene/male o giusto/sbagliato: fai una cosa agli altri e questa cosa – prima o poi – ritorna al mittente. Stop.

Se è fisica è fisica, se è legge è legge, e la legge è uguale per tutti – ci hanno detto e lo hanno anche scritto – invece no, non è così.

Fai del bene e dimentica, ecco un altro insegnamento della nonna. Ma come? Mi devo aspettare che il boomerang mi colpisca in testa se faccio una cavolata, ma non se faccio una cosa bella? Ma nonna! Non è giusto!

Risposta: non c’è niente di giusto a questo mondo.

Eh, e se lo dice la nonna, io le credo. La nonna, su queste cose, la sapeva lunga anche se neppure a lei questa legge fisica farlocca piaceva e forse proprio per questo non andava in chiesa ad ascoltare il prete predicare.

Certe cose ti rimangono tatuate nel cuore oltre che nella mente e scoprire quanto le assomiglio – ora donna fatta – mi riempie di orgoglio. Comunque, non vorrei risultare pedante, ma vi avverto: occhio al boomerang!

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(261) Osservatorio

Dal mio osservatorio spesso sono evidenti le stelle, meno la Luna. La Luna è grande e forse le sono troppo vicina, spesso, per accorgermi che c’è. Il mio dito non è solito puntare il cielo, il mio dito non ferma alcun istante o rischia di rimanerci appiccicato. Lui sa che non si fa.

Eppure la Luna mi chiama e quando non posso proprio ignorarla devo affrontarla con prontezza per non esserne schiacciata. Quando l’affronto so che perderò, che lei mi farà capire esattamente l’inutilità di ciò che mi propongo di fare, ma che si aspetta anche che, di tanto in tanto, io mi metta in gioco e la affronti. Credo sia il giusto fluire delle cose che vuole che io capisca, credo anche che non finirò mai di arrabbiarmi per come fluiscono le cose.

La Luna non sta lì per sfidarmi stupidamente, sta lì affinché io accolga quelle cose che sono talmente grandi che non riesco a tenerle dentro gli occhi e per evitare che gli occhi mi scoppino le lascio andare.

Non me ne fa una colpa, ma so che da me vorrebbe qualcosa di più. Non riesco a capire che cosa di preciso, ma dal mio osservatorio cerco di non farmi sfuggire nulla. Prima o poi scoprirò cosa vuole la Luna da me. E gliela darò.

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(126) Interconnessioni

Voi non le vedete mai? Quelle cose volatili, eteree, indicibili che ti fanno andare dal punto A al punto B e da lì al punto C (e così via)? Ci sono. Sono molto meno volatili, eteree e indicibili di quel che si potrebbe pensare. Ci sono e lottano con noi.

Significa che se noi non facciamo un minimo sforzo per individuarle e cavalcarle e far sì che la nostra mente ingenua possa attraversare ogni passaggio del Senso, ci girano le spalle e via.

Va bene essere pigri, distratti, noncuranti, superficiali e apatici, ma essere coglioni no!

Le deliziose interconnessioni tra le cose e le situazioni e gli eventi e le persone, dannazione, sono lì per farci un favore. Per farci agire o reagire, per farci fermare e riflettere o farci correre a più non posso per metterci in salvo. Quando si presentano davanti ai nostri occhi per farci solidi e impavidi e detronizzare l’abominio che altrimenti avrebbe la meglio, abbiamo il dovere di rispondere: presente.

No, non da soli, insieme. Ognuno a suo modo, ma insieme.

Le interconnessioni sono qui per salvarci la pelle, e non dite che non ve ne siete mai accorti. Come scusa non vale.

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