(1044) Parcheggiare

Parcheggiarmi sotto il sole per la tintarella mi mette addosso un’ansia che metà basta. Ci provo, ma non resisto.

Parcheggiare il cervello da qualche parte per staccare e concedermi un po’ di relax è – com’è facile immaginare – fuori dalla mia portata.

I parcheggi con l’auto mi riescono bene, amo guidare nonostante io sia una donna e guido piuttosto bene nonostante io sia una donna. Questo mi preme sottolinearlo, ci tengo.

Parcheggiare le questioni per risolverle in un secondo momento, magari a mente fredda, mi riesce sempre meno difficile… la saggezza della vecchitudine? Pòesse’.

Quindi ricapitolando: il verbo parcheggiare mi spacca a metà. Ci sono cose che parcheggio bene – o almeno dignitosamente – e altre che proprio non ce la farò mai. Di per sé non dovrebbe essere un problema, ma tutto diventa un problema quando ci si impone di analizzarlo al microscopio.

Ed eccoci arrivati al punto: certe cose non vanno proprio sezionate. Vanno lasciate esattamente come appaiono. Così non rivelano il potenziale letale che manco si poteva sospettare. Non dico di scartare random le cose – sarebbe sciocco – eppure scegliere meglio quelle che devono essere capite e sviscerate e quelle che invece devono essere lasciate così come stanno potrebbe salvarci la vita.

Almeno quella mentale, e di questi tempi non è poco.

Ok. Procediamo: inesorabili ma cauti.

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(801) Faccia

Ne ho una sola, come ho solo un nome, e questo per me ha sempre fatto la differenza. Sto attenta alla mia faccia e anche al mio nome, sono molto protettiva nei loro confronti. Sono fatta così.

Mi sconvolge sempre la faccia da culo di certa gente, mi prende sempre in contropiede perché proprio ha dinamiche che per quanto io consideri curiose e anche interessanti – per il mio studio antropologico di certi risvolti patologici dell’animo umano – diventano sempre una rogna.

Quando ti trovi davanti una di queste facce un dubbio ti viene: ma fa sul serio o sta scherzando? La risposta è: fa sul serio. Semplicemente ti pensa un idiota e sta cercando di approfittare dell’occasione – di nuovo, molto probabilmente. Ovvio che l’attimo di spaesamento che provi ti si può ritorcere contro se quella faccia ha buoni riflessi. E solitamente li ha. Cosa fare quindi?

Non lo so. Un’opzione potrebbe essere fare come se niente fosse. Lo metti in conto, succederà, quindi anziché farsi prendere in contropiede bisogna anticipare i tempi e scansare l’attacco. Sì, ma lo puoi fare soltanto se quella faccia ti ha già dato problemi e se ti ronza intorno con insistenza. Te lo aspetti, ti prepari e contrattacchi. Perfetto.

In casi diversi la sorpresa risiede proprio nella distanza che la faccia mantiene con te, finché non gli sei utile per qualche dannato motivo. Ecco, qui un po’ di stordimento ci può stare. Bisogna però reagire subito, bisogna preparare una specie di piano d’emergenza che ti permetta di rimbalzare l’attacco a tradimento.

Credo sia necessario allenarsi. La buonafede la si tiene per chi se la merita, non va distribuita a prescindere. Si deve procedere con cautela, pensarci prima. Bisogna fare in modo che le facce che pensano che la tua faccia sia lì apposta per essere calpestata, si vedano sistematicamente rimandare al mittente ogni invasione di pensiero e d’azione.

Siamo in guerra? No, non ancora, ma come ci insegna Sun Tzu, la guerra si vince ancor prima di combatterla studiando il nemico e le sue vulnerabilità. Quindi la strategia è l’unica risposta vincente, e a ogni nemico la sua. Anziché scendere in campo per salvare la faccia, ci si muove a faccia alta e sguardo implacabile mantenendo ben saldo il monito: non sono io, l’idiota, lo so io e da ora lo sai anche tu.

Io, però, un consiglio spassionato lo do: tiriamo fuori il binocolo. Controllare i confini è una buona regola da tenere sempre presente, se non vogliamo vivere in perenne assedio. Pensiamoci.

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(672) Ovvietà

Ultimamente ho cambiato idea: scansare le ovvietà è un gioco pericoloso, bisogna invece abbracciarle e diffonderle. Perché? Perché l’ovvio viene magistralmente ignorato dalla gran parte delle persone. Ci si sente superiori, talmente superiori che lo si cancella, si fa come se non esistesse, come se se ne potesse fare a meno. La conseguenza di questa scelleratezza è che si fanno cose e si dicono cose che partono da presupposti meravigliosamente fantasiosi e creativi, ma totalmente sballati. Come usciti freschi freschi da un rave di tre giorni sull’isola di Mokua con funghi allucinogeni chimicamente addestrati a spappolarti il cervello.

Certo, facciamo finta che ogni ovvietà sia frutto di un cervello troppo basic per noi, facciamo i fenomeni e raccogliamoci nel delirio.

In un solo colpo ci facciamo beffe dell’esperienza (è lei che ti permette di dare per scontato certe ovvietà), del buonsenso (che ti fa guardare alle conseguenze con occhio critico per mantenerne memoria), della cautela (visto che è ovvio, che lo sappiamo, e decidiamo non sia importante, tanto vale buttarsi a testa in giù nelle cose). Siamo un vero, abnorme, disumano disastro. Sul serio.

Noi voliamo troppo in alto per soffermarci sulle ovvietà. Noi capiamo ancor prima che l’ovvietà si estrinsechi su quel che sarà. Noi vediamo più lungo, sentiamo meglio, annusiamo le situazioni  ben oltre lo standard che affonda i comuni mortali. Noi siamo troppo avanti.

E potrei fare una lista infinita di ovvietà che dovremmo recuperare, ma sono davvero stanca e il caldo mi sta uccidendo, quindi la evito. Ovviamente ognuno di noi ne ha una di lista e ovviamente riprenderla in mano non ci farebbe male per rivalutare di tanto in tanto l’opportunità di ciò che vi abbiamo inserito. Ovviamente nessuno lo fa, ovviamente sarebbe una perdita di tempo, ovviamente noi sappiamo sbagliare meglio e senza bisogno di aiuto.

Ovviamente tutto questo non ha alcun senso e, ovviamente, non ce ne frega niente.

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(601) Ostinazione

Come ogni cosa che riguardi l’Animo Umano bisogna andarci cauti. Le parole non sono mai bastanti, bisogna saperle rivoltare come un calzino prima di appoggiarle sopra a un sentimento, a uno stato dell’Essere. Ostinazione, per esempio, può rivelarsi un tratto indispensabile del carattere per una persona che non molla mai e persegue gli obiettivi che si è posto senza farsi fermare da niente e da nessuno. Ostinazione può anche risultare un macigno sullo stomaco per chi non si permette di cambiare e di crescere. 

La mettono come caratteristica del mio segno zodiacale, lo si legge sempre e ovunque: il Toro è ostinato e possessivo, oltre che attaccato alle cose materiali. Ammetto che nella lista ci dovrebbe essere anche permaloso perché a me questo sguardo mi ha sempre offesa. Sono determinata, non ostinata. Curo le persone e le cose che mi stanno a cuore, non penso di possedere nessuno e ho sempre condiviso le mie cose con le persone di cui mi fido. Mi piaccione le cose belle, materiali è vero, ma le metto davvero all’ultimo posto nella classifica delle mie priorità. Il fatto, invece, che sono permalosa non ha sconti.

Una cosa che dà parecchio fastidio di me è la mia assertività – che a volte viene volutamente spinta per provocare crepe interessanti – e anche certe mie posizioni. Francamente, le mie posizioni non sono statiche, tendono a muoversi quando mi rendo conto che si stanno sgretolando perché i conti non mi tornano. So cambiare idea, so ammetterlo e so che è successo, succede e succederà spesso.

In tutto questo, il mio ostinarmi a resistere è davvero estremo. Questo sì. Resisto. Resisto. Resisto. Lo faccio perché non voglio e non intendo darmi altra scelta. L’ostinazione in questo senso è l’unico modo che ho per trattare con me stessa, con la parte pigra e indolente che cerca di trattenermi e di sedare ciò che di vitale ancora c’è dentro di me. Posso anche sembrare sopita, ma è soltanto perché da buon segno di terra i miei tempi sono più allungati, meno forsennati di altri. A volte è un limite, altri è una gran fortuna. Per la maggior parte del tempo è così e basta e non me ne occupo né me ne preoccupo.

Se mi permetto l’ostinazione è per rendere grazie a questa vita ogni giorno, oltre le mie lamentele oltre le mie cadute oltre i miei fastidi oltre oltre oltre oltre… Quindi anziché star qui a farmi un processo preferisco andare a farmi una doccia. Lavo via l’ostinazione della giornata per riposare meglio e domani ne indosserò una nuova. Pulita e vigorosa, perché è meglio attrezzarsi adeguatamente… non si sa mai.

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(260) Vulnerabilità

Mi sono sempre impedita di colpire un punto vulnerabile del mio avversario. Forse perché non mi sono mai misurata con nessuno che volessi definitivamente far fuori, ma ho ricevuto parecchi colpi quasi-letali a cui sono sopravvissuta (certo) e che mi hanno fatto capire che dall’altra parte la voglia di farmi fuori c’era eccome.

Lo dico davvero: credo fermamente che quando ci si trova faccia a faccia con un antagonista esiste il lecito e il non-più-lecito. Qualcosa che assomiglia al fair play, ma che è ancora più profondo. Più sacro.

Quando il tempo ha fatto il suo lavoro e la ferita quasi letale si è cicatrizzata, ogni tanto il ricordo si affievolisce, diventa meno duro. Di solito. Eppure, mi risulta impossibile offrire una seconda possibilità. Mancherò di spirito cristiano (ma non è mai stato un mio cruccio dimostrarmi o meno cristiana), ma dare a chiunque la possibilità di colpirmi per la seconda volta – considerato che il mio punto debole si è rivelato – mi sembra una dichiarazione di imbecillità. Un suicidio.

Ecco, preferisco andare cauta. Grazie.

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