(956) Scollinare

È quello che sto facendo, suppongo: passare da un versante all’altro di una collina. Ci ho pensato oggi, mentre valutavo un po’ le mie condizioni psico-fisiche (una sorta di check up sommario che mi concedo tra un accidente e l’altro, con il sollievo di trovarmi ancora in discreta salute).

Sono salita sulla collina, ho raggiunto l’apice, mi sono guardata attorno e mo’ sto scendendo. Sperando di non arrivare in fondo ruzzolando poco elegantemente.

La chiarezza di questa immagine, al momento, mi affascina. Da quanto ci stavo pensando? Perché è uscita proprio ora? Significa che sono cresciuta in consapevolezza o sono la solita tonta che si sveglia sempre troppo tardi? Lo ignoro bellamente.

Accorgersi che lo shampoo che stai usando da anni non va più bene per i tuoi capelli (i tuoi capelli sono cambiati), che la crema per il viso è insufficiente a tenere tutto nella norma (devi prendere quella anti-rughe), che i vestiti che avevi messo da parte dieci anni fa li puoi buttare senza problemi (non recupererai mai la forma di un tempo), che le cose che ti piacevano non sono più le stesse, che le persone che frequentavi sono troppo lontane ormai (e va bene così)… insomma: hai scollinato, bella mia.

Quindi devi provare un altro shampoo, scegliere un’altra crema, comprarti vestiti nuovi, dedicarti alle cose che ora ti piacciono, stare con le persone che sono simili a te. E con calma sistemerai tutto.

Ma pensa te che scoperte che vado a fare una domenica come tante in mezzo al casino che c’è. Mah!

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(934) Riciclare

Può funzionare per tutto, tranne che per i sentimenti. Quelli preferisco che, una volta buttati, non ritornino al mittente, che vadano per la loro strada e soprattutto lontani da me. Sono ben capace di crearmi nuovi sentimenti per nuove persone, non ho bisogno di attaccarmi a quelli che ormai si sono spenti e che sono stati comunque bistrattati.

Le persone lo fanno spesso, pensano che se perdi il sentimento per strada te lo devi andare a cercare. Un altro così è impossibile. Non lo so, a me non sembra. 

Sta a noi ricostruire un sentimento migliore di quello precedente per qualcuno migliore, che lo meriti di più. Lo so che è faticoso e il risultato non è assicurato, ma che senso ha riattaccare ciò che è andato in frantumi? Se si è rotto ci sarà pur un buon motivo, perché sottovalutarlo? A nessun fa piacere tenere in mano pezzetti taglienti e bislacchi anziché il liscio brillare di una gemma che per noi era tutto. È doloroso, è umiliante, è triste. Lo so, lo sappiamo tutti. 

Riciclare i sentimenti però non si fa. Davvero. Il rinnovato fallimento dei buoni intenti risulta ancora più doloroso, più umiliante, più triste. Lo sappiamo tutti.

Quindi, anche a costo di coltivare dentro di noi la solitudine più devastante, ravvivare ciò che non chiede e non vuole essere rianimato è uno spreco di tempo, di energie e di illusioni. Se vogliamo davvero illuderci, illuderci alla grande, perché non immaginiamo di trovare un grande e magnifico motivo per far nascere un sentimento nuovo di zecca che superi di gran lunga qualsiasi collega ci abbia attraversato prima di lui? Perché no? Lasciamo pure che ci chiamino ingenui, sciocchi, perditempo, lasciamoli dire, che ne sanno loro? Loro che hanno poco coraggio e poca fantasia per riempire anche solo mezzo cuore, cosa ci potrebbero mai insegnare? 

Le carcasse dei sentimenti, se li tieni chiusi nella cantina del tuo cuore inquinano ogni grammo di presente che ti appresti a vivere. 

Facciamo che ognuno per la sua strada e amici come prima? Dai, facciamo così.

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(612) Pretesa

Una cosa subdola, si fa fatica a riconoscere la propria perché ci mette davanti a un dato di fatto: meriteremmo un bel calcio in culo.

Il Buddhismo ci consiglia di lasciare andare le aspettative, in questo modo ci avviciniamo al Nirvana. Sono anni che ci penso, anni che mi trovo talmente lontana da questo concetto da dubitare di averlo compreso veramente. Dal mio dubbio sono risalita alla sorgente e – sono ancora in marcia, la strada è lunga – in questa mia tappa odierna (le illuminazioni arrivano quando vogliono loro, mica quando decidi tu) sono riuscita ad afferrare questa parola: pretesa.

Mollare la pretesa che soltanto perché esisti il mondo debba essertene grato, tanto per iniziare.

Non c’è niente da fare, ci ricaschiamo ciclicamente. E mentre combattiamo, come-devono-andare-le-cose VS come-noi-pretendiamo-che-vadano-le-cose, si compie il nostro Destino.

La sostanza è questa: l’avere aspettative, l’attendersi qualcosa, è il carburante che ci permette di muoverci per soddisfarle. Questa cosa delle aspettative a me è necessaria, non mi piace perdere tempo, fare le cose senza aspettarmi niente non me le fa fare bene, le faccio come vuoto-a-perdere. Va al di là delle mie forze. Quello, invece, che devo e posso smettere di fare è alimentare ‘sta maledetta pretesa che le cose saranno e andranno come voglio io perché… perché sono io che le voglio, ovvio!

Nessuno è disposto ad ammetterlo, ma ce lo dobbiamo mettere in testa tutti che le pretese sono arroganti, sono fastidiose per chiunque ci stia attorno e sono mortificanti. Più spingi le cose dove vuoi tu e più vanno dove cavolo ne hanno voglia. Forse perché non pensano che tu sia il massimo della vita, e come dare loro torto?

Va bene, mettiamo il caso che non stiamo avendo ciò che ci meritiamo, ma se ci fosse in serbo per noi qualcosa di meglio perché buttarlo? E soprattutto: ma siamo proprio sicuri che ce lo meritiamo? Ma daverodavero?

A me un dubbio rimane. Fare di più, spesso, non guasta.

 

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(559) Vintage

Il gusto di un passato che ti manca perché quello stile, quella qualità, quel sapore ormai si è perso. Tu lo rivuoi nel tuo presente e te lo vai a cercare. Se non lo trovi in originale cerchi di riprodurlo. Lecito? Sì, lecito.

Solo che come ogni cosa che parte bene, se la spingi all’inverosimile finisce male. Finisce che la buona intenzione si trasforma in baracconata e il buongusto va a farsi benedire. Va bene che si recuperi ciò che aveva valore, ma ci sono milioni di cose del passato che non avevano valore al tempo e men che meno adesso. Ce ne rendiamo conto?

Il pensiero vintage del “moglie e buoi dei paesi tuoi” – dando per scontato che in questo concetto manca chiarezza (tipo: quanti paesi uno deve avere? Se i paesi sono più di uno, va da sé che la doppia/triplice cittadinanza comporti una serie di mogli e di buoi variegata, no?) perché dovrebbe essere “moglie e buoi del paese tuo” – era idiota un secolo fa come lo è tutt’ora. 

Gli abiti anni ’80 erano ridicoli – spesso osceni (lo dico con cognizione di causa visto che in quegli anni ero adolescente) – già allora, pensare che siano ripristinate le maglie con maniche a pippistrello e i capelli cotonati mi riempie di scoramento. Progresso, oh progresso, perché non c’è rispetto per te, progresso?

Mi rendo conto di essere ripetitiva, ma se ci mettiamo in tasca il buonsenso e il buongusto è ovvio che le cose ci si rivoltino contro, no? E non c’è moda che tenga, non c’è snobberia che giustichi se stessa, non c’è proprio niente di buono in questo precipitare del pensiero. Il vintage è un modo intelligente per non buttare ciò che è ancora bello, ancora utile, ancora solido. Ma se una tazzina da caffé è sbeccata, a meno che non diventi un pezzo da museo, non è vintage è da buttare!

E se va bene il riciclo, c’è anche da dire che un oggetto logoro e rotto può anche essere gettato via senza per questo sentirsi una brutta persona. Possiamo, per favore, concentrarci sulla parte intelligente delle cose? Un po’ d’impegno dai!

 

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(518) WC

Non c’è niente che mi faccia più incazzare del prendere un lavoro fatto per buttarlo nel cesso. Non ho bisogno di riempire le mie giornate con cose da fare, ne ho sempre tante e anche troppe, per cui se impiego il mio tempo e la mia energia per fare qualcosa non posso pensare che non serva a niente. No!

[Non sto sclerando, tutt’altro, il tono che sto usando dentro la mia testa è a-norma e il mio stato d’animo è distaccato, glaciale. Il “No!”, invece, è proprio un’esclamazione incazzata.]

Altre cose butterei volentieri nel cesso, ma non il mio tempo, anche quando giro per casa con lo sguardo perso sbattendo addosso a cose che non ho visto o che compaiono dal nulla solo per farmi inciampare… anche in questi casi non sto buttando il mio tempo, ma lo sto impiegando come meglio posso. 

Ci sono persone, invece, che di tempo da buttare ne hanno troppo e pensano che farne buttare anche agli altri sia un compito di cui si possono e devono far carico. Ci pensano loro al tuo tempo, tu non ti preoccupare.

Ti danno appuntamenti che cancellano all’ultimo secondo, oppure insistono per vederti perché hanno bisogno di un favore, tanto tu quanto ci metterai a farlo, un niente, e quel niente impiegato per cause altrui sono per te un divertimento e anche un onore perché hanno scelto proprio te tra tanti… non sei contenta? No, non lo sono. Sono infastidita, sono irritata, sono anche basita dal fatto che tu mi stia mancando di rispetto in modo così gretto pensando vada bene così, tanto io non me ne accorgerò mai. 

Non sempre, non sempre, è vero. Però qualche volta, qualche volta sì, credimi. Qualche volta me ne accorgo, qualche volta me ne accorgo e decido che non te lo faccio capire, così tanto per vedere fin dove ti spingerai. Certa che ti spingerai ben oltre del lecito. Così è, nove volte su dieci.

Ebbene: se ci fermassimo a pensare quanto il nostro tempo sia prezioso forse ci renderemmo conto che  anche il tempo degli altri lo è. Se poi voglio buttare il mio tempo nel cesso, non è detto che lo stesso vogliano fare quelli a cui andiamo a rompere le palle. E tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, recita il proverbio. E all’origine di ogni proverbio c’è spesso una tagliola che scatta. Attenzione.

 

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(244) Quadro

Avere il quadro della situazione non è cosa ovvia né immediata. Mi ci vuole tempo. Anche troppo, spesso. Probabilmente non sono così arguta come dovrei, oppure sono troppo pedante riguardo i dettagli e mi ci perdo.

Dipingere un quadro non è cosa da un giorno, i quadri migliori sono il risultato di ore e ore di lavoro-energia-tormentonellaricerca. Faccio così anch’io quando una situazione ha bisogno di essere analizzata per farsi capire: ore e ore di energia-tormento-lavoro. Ne vale la pena.

Appena il quadro si può dire completato lo si fa asciugare. Si sceglie una cornice e lo si appende a una parete: eccola lì la situazione, decidi tu se tenerla o buttarla. Io non butto via, metto da parte.

Devo trovare il modo di alleggerire le mie pareti. La confusione non mi aiuta a pensare.

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(159) Pioggia

I giorni di pioggia non sono lontani e tu sei ancora qui con me. Il sole che mi scalda è quello di una primavera ritrosa e tu sei ancora qui con me. Non serve che io ti cerchi, neppure che ti pensi. Sei qui con me. Ancora.

Se tornasse la pioggia non sarebbe più per colpa tua, così mi dico e ti rassicuro. Puoi restare ora, sarai più comodo, più tranquillo, non sarà per discutere ma solo per farci compagnia.

I giorni di pioggia sono stati lunghi, le ossa ancora mi scricchiolano a protestare su tutto quello che nel frattempo è andato marcio e che ho dovuto buttare via. Faccio fatica a buttare e a lasciare andare e tu, che sei ancora qui con me, lo sai bene. Forse un po’ ci speravi, ecco perché ci sei ancora.

Se questo sole, questa luce, che fin qui è arrivata è partita da luoghi antichi – come sospetto che sia – allora lavare via tutto era l’unico modo per farle spazio. Certo che non pensavo che a questo punto della mia vita io mi potessi trovare inzuppata e stremata, ma più che altro non pensavo che a questo punto io mi potessi trovare ancora qui con te. Nonostante tutto.

Che sollievo. Non ti ho perso. Nonostante tutto, sei qui con me. Per restare.

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(95) Riempire

Si riempie ciò che è vuoto, lo so. Eppure l’esistenza di ognuno di noi ci mette un bel po’ prima di essere piena fino all’orlo. Solitamente ce ne accorgiamo quando siamo al limite e il vaso inizia a straripare.

Il buonsenso consiglia di svuotarlo di quel che non ti serve più per aver agio nel riempirlo di nuovo. Se arrivi fino all’orlo e lasci che sia il vaso a decidere che cosa deve uscire potrebbe non piacerti.

Io svuoto con assennatezza, ma faccio fatica a farlo in tempo, arrivo proprio sul filo filo. Devo affrettarmi a buttare e mi dispiace sempre.

L’ho fatto anche in questi ultimi giorni, anche se nessuno se n’è accorto. Ho scelto e ho buttato perché il vaso stava per straripare. Sarò dispiaciuta per tutto il mese, è ormai la prassi, ma poi il vaso mi si riempirà ancora di tante cose e nel casino me ne dimenticherò.

Succederà che qualcuno, a un certo punto, mi vorrà far ricordare qualcosa che io ho dimenticato e mi riprenderà lo sconforto (perché buttare è brutto) e poi me lo ri-scorderò. Così si sopravvive.

Questo per dire che anche se ho buttato non significa che non sia stato importante. Voglio sopravvivere e poter accogliere ciò che arriverà. Ho idea che mi ci vorrà spazio e molta forza per farlo, diventa sempre più complicato sopravvivere.

Augh.

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