(1021) Franchezza

Quando qualcuno ti si presenta alla porta, decidere se farlo entrare o meno è una questione di pochi istanti. Questi stramaledetti istanti ti possono costare cari. 

Si può tenere tutti lì sull’uscio? Diventerebbe un luogo fastidiosamente affollato, ma meglio che il casino rimanga fuori piuttosto che si instauri dentro per fare danni. Sbaglio?

Temo che questo pensiero giunga sempre troppo tardi, a danno fatto.

Nella mia vita sembra che questo entrare sfondando la porta sia la norma, per non parlare dell’uscire senza salutare e senza chiudersi la porta alle spalle (non sia mai). Molto probabilmente suonare il campanello è opzione  di poco valore.

Fatto sta che accogliere qualcuno dentro la propria casa non è cosa ovvia, né di poco conto, e le persone che amo avere accanto non hanno dubbi in proposito: il sorriso è sincero, l’abbraccio è sincero. Sempre. Anche quando ho le palle girate per qualcosa o a causa di qualcuno. Sempre.

Non esiste accoglienza-di-circostanza, non esiste proprio. Si accoglie con intenzione cristallina, altrimenti non si accoglie affatto. Fare come D’Annunzio, che faceva attendere gli indesiderati nella sala d’aspetto apposita facendoli fare la muffa prima di concedere udienza, è inconcepibile. Se ti si presenta alla porta una persona che non desideri vedere, non apri. Semplicemente non apri.

Quindi, quel fare-nonfare o dire-nondire che ti fa barcamenare tra il fraintendimento e il compreso-a-metà è, a mio giudizio, patetico. E se ti sto sulle palle, perlamordelcielo, fammelo capire senza giri di parole che è un attimo togliere il disturbo e sparire dalla tua vita. Grazie.

Ovviamente, assicuro la stessa franchezza.

Prego.

 

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(911) Indirizzo

Metaforicamente parlando, quando conosci l’indirizzo di qualcuno hai in mano un’arma carica. La mossa tattica del comparire a sorpresa sulla soglia della tua vittima facendo finta di capitare lì per caso è sempre letale. Capiti quando capiti, ricevi quel che ricevi. Questa dovrebbe essere la punizione. Ecco, per quanto mi riguarda ho deciso di sostituire il sorriso di circostanza con una bella testata.

Così.

Sempre metaforicamente parlando, non è che sei sempre il benvenuto. Se decido di aprire la porta non è tanto perché ho voglia di scoprire chi c’è – a sorpresa – dalla parte opposta, ma per una sorta di pudore malato che mi obbliga a non fingere di non essere a casa. Sarebbe fottutamente maleducato, sarebbe proprio una cafonata. No? Capitare, invece, per caso come se non ci fosse neppure una remota possibilità di disturbare è una cosa carina. Davvero davvero davvero carina.

La questione “Entrata libera” e “Uscita libera” è – per quanto riguarda la mia esistenza – la norma. Tu decidi quando comparire a sorpresa e decidi anche quando scomparire a sorpresa. Tanto l’indirizzo lo sai. Houdini ti fa un baffo. Bravissimo. 

Così.

Dunque, credo che sia un diritto inalienabile di qualsiasi Essere Vivente il poter fingere di non essere in casa e di non aprire quella dannata porta. Posso essere anche gentile, per una sorta di buona creanza di cui non riesco a liberarmi, ma se non ti faccio entrare è perché quando sei uscito (di tua iniziativa e senza salutare) per quel che mi riguarda lo hai fatto una volta per tutte. E la tua scelta l’ho registrata come E-T-E-R-N-A.

Te lo dirò? Magari quando ti tirerò quella testata che è lì pronta per partire. Ora la domanda è: oserai suonare quello stramaledetto campanello?

Sto aspettando (e mi odio per questo).

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(889) Vento

Ogni tanto lo sentite anche voi il vento che soffia da dentro? Come se volesse farvi sollevare per trasportarvi altrove. Lo sentite? Io lo sento, ogni tanto lo sento. Difficile da spiegare, ma c’è. Inizia a farsi sentire quando c’è bisogno di staccare (per mille ragioni e magari non tutte buone).

Se la Terra non fosse battuta dai venti (e ce ne sono un’infinità) sarebbe un luogo invivibile. Il freddo e il caldo farebbe di tutti gli Esseri Viventi carne da macello, buono a sapersi direi. L’ho letto anni fa in un libro molto interessante dedicato al vento, con all’interno una miriade di aneddoti spaventosi sulla sua potenza e su quello che può combinare. Sottovalutare il vento non è cosa intelligente.

Anche quello che ci attraversa il sangue, non è da prendere sotto gamba. Potrebbe portarci ben lontani e farci perdere la strada di casa. 

Il vento solleva i veli per farti scoprire cosa c’è sotto, magari l’avevi nascosto lì e te ne eri dimenticata. Capita. Ecco, al vento ‘sta cosa non piace, appena può ti ricorda di guardare dove non guardavi più da tempo. Fastidioso? Può darsi, ma per lui è necessario. Te la devi far andare bene anche se bene non ti va.

Il vento ti spinge o ti respinge dipende se ti soffia contro o a favore. Cambia tutto ovviamente. Ci sono state situazioni in cui per quanto piegassi la schiena per fare massa, non c’era verso di contrastarlo. Due passi avanti (faticosissimi) e dieci passi indietro di volata. Frustrante a manetta. 

M’è successo anche, almeno una decina di volte (epocali) di essere spinta dal vento a favore in braccio (letteralmente) a una situazione che mi ha cambiato la vita. E un paio di volte sono catapultata con forza verso una circostanza che avrei dovuto (secondo il vento) necessariamente abbracciare. Imbarazzante, ma me la sono dovuta giocare anche se mi tremavano le gambe.

Insomma, per farla breve… il vento è qui. Non so che piani abbia, ma lo sento deciso, intenzionato a fare danni. Sì, un po’ sto iniziando a preoccuparmi. Diavolo.

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(821) Famiglia

Dovrebbe essere il nostro rifugio, il luogo prediletto, dove poter essere noi stessi sicuri di essere accolti in ogni momento e accettati in ogni circostanza. Dovrebbe, ma non tutti sono così fortunati. Io lo sono.

In famiglia si impara a relazionarsi con la gerarchia, con le regole, fondamentali passi per inserirsi in società. In famiglia si impara a dosare il linguaggio, a mitigare il nostro comportamento, a chiedere scusa e ad accettare le scuse di chi ci ha ferito (più o meno volontariamente). In famiglia si impara la compassione, si assorbono valori come il rispetto e persino la stima. Si fa i conti con la nostra capacità di comprendere gli altri e noi stessi, di capire le situazioni, di risolvere i problemi e chiedere aiuto, oltre che dare aiuto.

In famiglia si impara a stare ognuno al proprio posto, specialmente a tavola, a sistemare le proprie cose in modo che non diano fastidio agli altri, a pulire quello che altri hanno sporcato come gli altri puliscono quello che noi sporchiamo. In famiglia si impara che a un certo punto puoi anche urlare e far valere le tue ragioni quando pensi che ti si sta facendo un torto. Non rischi l’amore di nessuno, non rischi botte né umiliazioni. Al massimo qualche broncio per qualche settimana. quando particolarmente pesante ci sta pure la punizione a tempo determinato.

In famiglia impari a ridere assieme agli altri e non alle spalle di qualcuno o a spese di qualcuno. In famiglia impari ad ascoltare e a tenere la bocca chiusa quando i grandi parlano. A volte devi dire signorsì, altre devi metterti in tasca l’orgoglio, la pigrizia, l’indolenza. Così si fa quando si vive insieme, ci si vuole bene, ci si guarda le spalle gli uni con gli altri. Si fanno tanti errori, vero, ma mai così definitivi da ritrovarsi soli.

In famiglia ci sono sorrisi e abbracci, anche non detti, e ci sono spesso perché l’amore è fatto di questo. In famiglia va così, non è sempre uguale, ci sono alti e bassi e giorni proprio storti. In famiglia si vive così, un po’ si programma e un po’ si improvvisa, e si sbattono le porte, si rompono le palle e le si riattacca per quieto vivere. In famiglia c’è sempre un mondo, composto da tanti mondi, che si trasforma cambiando colori oltre che stagioni.

Le famiglie sono così. Quando non sono così iniziano i guai.

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(742) Scrupolo

Analizzo e soppeso, rifletto e valuto. Per il 90% del mio tempo il 90% del mio cervello è occupato in queste amene attività, che io lo voglia o no, che io ne sia consapevole o meno. Questo fa di me una scrupolosa-a-oltranza, il che può essere un bene come un male a seconda delle circostanze. E non voglio soffermarmi sul giudizio, ma su ciò che comporta.

In breve, posso affermare che questo mio modus operandi mi porta ad avvicinarmi alle persone e alle cose con molto rispetto, perché ho bisogno di capire. E ci posso mettere molto molto molto tempo per capire perché non sono proprio un’aquila. Preferisco darmi tempo per decidere piuttosto che sbagliarmi. Mi scoccia parecchio sbagliarmi, ma quando sbaglio lo faccio alla grande, da vera idiota.

Comunque, ritornando al concetto base, i miei scrupoli si attuano nel quotidiano cercando un confronto schietto e diretto con le persone e con le cose (perché anche le cose se fai le domande giuste ti sanno rispondere, altroché), alla fine della giornata sono sfinita, ma penso sempre che ne valga la pena. Anche quando prendo calci in culo, anche quando questi calci sono immeritati (sono idiota mica cattiva).

Tutto questo lo scrivo perché ho bisogno di fare chiarezza e sto prendendomi a cazzotti col senso di colpa chiamato: Non ho fatto abbastanza?

Un punto di domanda è d’obbligo, perché si tratta di un senso di colpa che ha origine non da un fatto certo bensì da un’ipotesi. E sto qui da ore a pensarci e ricordare ogni episodio e sono sicura che ho fatto abbastanza. Fin troppo. Ho cercato di metterci le toppe, inutilmente. E quando mi verrà chiesto il perché non mi schiero come si pensa dovrei, probabilmente, il vero perché lo terrò per me. Un perché pesante, anche violento per certi versi, non deve essere esternato, non porterebbe nulla di buono. Forse sul momento qualcosa saprò dire, ma ora pensandoci mi sembra di aver esaurito ogni grammo di compassione che avevo in magazzino e i sacchi di empatia son spariti tutti, in pratica: sono a secco.

E il dispiacere permane, mi viaggia dentro una parola abominevole – tradimento – che però non ha nulla a che vedere con quello che ho vissuto, proprio nulla. So per certo che il mio dispiacere è sincero, come so per certo che non ho più voglia di calci in culo. Devo accettare che non si può appianare tutto, che non si può comprendere tutto, che non si può accogliere tutto. Devo accettare che io non so farlo, che è un mio limite, e devo mettermela via perché va bene così. 

Niente favole. Va bene così.

 

 

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