(1071) Numerologia

Tra le centinaia di cose che mi appassionano (sì, so essere dispersiva) c’è la numerologia, che va pari passo con l’astrologia, che va pari passo con tutto il resto. I numeri parlano, indubbio. Solo che a scuola mi parlavano per torturarmi a morte e io scappavo come se la morte fosse incombente, ora – in vecchiaia – hanno smesso di essere minacciosi e si sono fatti interessanti. Ovviamente se e quando riferiti alla sfera esoterica e non all’algebra (una che nasce tonda mica può morire quadrata, eh!).

Detto questo, sono riuscita a rendere questo interesse per il significato simbolico dei numeri un’ossessione (ovvio, il rendiamoci la vita impossibile è l’imperativo) specialmente quando sono in auto. Mi fisso sulle targhe delle vetture che incrocio/affianco/sorpasso-omisorpassano/ecc. e se trovo le mie iniziali prima o dopo i numeri, faccio la somma di questi e ne ricavo una cifra soltanto. Quello è il messaggio che l’Universo mi sta lanciando. Solo per me (follia).

Lo so, fondamentalmente è una stronzata, ma è divertente. Riporto al numero (dall’1 al 9) il concetto/significato (legato a una posizione mentale o spirituale) che la numerologia ufficiale ha designato e ne ricavo qualcosa di utile contestualizzandolo alla mia giornata. Sembra contorto ma non lo è. Faccio un esempio: oggi mi ha superato un’auto targata BF 587 NW. Avrei voluto infamare il tipo perché mi ha tagliato la strada per poi frenarmi davanti (c’era coda), ma il messaggio sulla targa me l’ha impedito. Ovvio che non l’avrei mai notato se l’auto non mi avesse fatto quel “torto”. Ok, quindi: 5+8+7=20 che riducendo a una cifra (2+0) dà 2. In numerologia il 2 si accompagna al concetto di Armonia/Stabilità. E che fai? Mandi al diavolo uno che ti taglia la strada se è portatore inconsapevole di Armonia? Ma sei fuori? Certo che no! Quindi fai finta di niente, arrivi in ufficio con l’Armonia e la Stabilità che ormai si sono impossessate della tua Anima e ti siedi al computer per scrivere il post del giorno. 

E sai, tu sai, che durante l’intera giornata dovrai difendere con le unghie e con i denti l’Armonia che si è ormai insediata in te. E lo sai che sarà una battaglia perché l’Armonia dà fastidio a tutti quelli che non ce l’hanno dentro. Ma l’Universo ormai ti ha avvertita, non hai scuse. 

E ricorda: basta un niente per mandare a remengo l’Armonia e la giornata. Un niente. 

Daje.

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(1068) Maturità

Pensavo che la maturità fosse un’oasi di pace, dove i conti tornano e ci si mette via via l’anima in pace preparandosi a godersi la vita così come la vita deve essere: meravigliosa.

È molto probabile io abbia frainteso un paio di concetti costruendomi un’utopia difficilmente giustificabile.

Ovviamente, la maturità ti porta una certa presenza di spirito. Magari prendi un po’ meglio le cose – dalle rotture di palle alle delusioni, dai contrattempi ai piani falliti e via dicendo – ma poco altro. Davvero poco altro. Ci si incazza ancora (sperando di esserne ancora capaci) e si soffre ancora per le cose che sfuggono via e non ci si può fare niente. Soprattutto si viene presi da attacchi furiosi di nostalgia e ogni nostra giornata ha un sottofondo malinconico che si sposa male con il godersi davvero la vita meravigliosa che vorremmo.

Su questo me la sento di azzardare che non sono la sola a viverla così, altrimenti vedrei i miei coetanei passarsela meglio.

Dunque è evidente che la mia idea naïf di maturità deve essere corretta e sanata. Eppure, la tristezza che mi prende nel pensare di lavorarci sopra togliendo tutto lo zucchero mi è insopportabile. Pensare che prima o poi scorgerò all’orizzonte quell’oasi di pace in cui rifugiarmi è un bel pensiero, dopotutto. Illudermi che ci sarà un miglioramento e che le cose diventeranno meravigliose (andiamo a percentuale, dai, almeno un bel 50% su!), mi tranquillizza. Mi fa stare a galla.

Comunque, l’estate si sta squagliando, si entra ufficialmente nella stagione della malinconia… dove mi trovo decisamente più a mio agio. Ma di cosa sto parlando, quindi? Va bene così, va tutto bene così.

È meraviglioso.

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(1011) Raccolto

Si semina e a un certo punto si raccoglie. Si dovrebbe raccogliere quanto seminato, sarebbe giusto, ma in realtà non è così. Il maltempo può rovinare il raccolto, così come i parassiti, così come gli uccelli che rubano i semi. Non si raccoglie quanto seminato, ma quel che rimane del seminato. Quindi sempre di meno. Prima lo capisci e meglio è.

Perché se lo capisci, e ti fai due conti, ti metti l’anima in pace e semini il doppio o il triplo di quanto faresti di norma, per aumentare il raccolto fattivo.

Dai di più, insomma. Fai di più.

Anche così facendo non puoi avere alcuna certezza, ma giocando con le probabilità ti puoi dare una speranza in più. Meglio che niente. Eh.

Questa è la filosofia che ho applicato con disarmante continuità durante tutta la mia vita, e spesso mi è stato fatto notare che dare troppo e fare troppo è… troppo. Non ti sbattere tanto, mi sono sentita ripetere negli anni, e questa frase mi ha sempre innervosito perché sottende un altro concetto tacito: dove pensi di arrivare, comunque?

Non è che le cose che uno fa o dà vengano valutate al chilo, le fai così e dai nella quantità che senti sia giusta. Giusta per te, mica per chi. Giusta per te, perché vuoi fare le cose per bene, perché vuoi dare il massimo di te a prescindere da quanto riceverai in cambio. Anche se il raccolto sarà deludente. E non nascondo che spesso lo sia, ma non è una buona ragione per darmi al risparmio.

Il concetto di risparmio è proprio bannato dal mio DNA. Nel bene e nel male.

Chi semina si aspetta un raccolto, io non faccio eccezione, ma non si mette in dubbio il seminare, si mette in dubbio il raccogliere semmai. Col tempo e con l’esperienza capisci che ti porti a casa quel che c’è e che non serve a nulla recriminare. Hai seminato e ora raccogli. Punto.

Ti devi far bastare quel raccolto per un po’ e devi continuare a seminare, queste sono le regole del gioco. Non esiste altro. E vale per tutti.

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(837) Complimenti

Quelli sinceri fanno bene. Mentre fai non pensi che stai facendo un capolavoro, vedi quello che non funziona, quello che non va, quello che dovresti fare meglio e ti senti sempre in debito. Non è mai perfetto. Neppure vicino alla perfezione. Ma manco per niente. Scoramento.

E anche se vengono da te e ti dicono “che figata!” tu dubiti, non tanto di loro (non di tutti, almeno) ma di te, sempre.

Poi c’è chi si sente genio e allora il discorso cade, non ci sono mai sufficienti complimenti e sviolinate in grado di riempire i containers del loro ego. Beati loro. Vivere da geni dev’essere fantastico. Specialmente se non lo sei, basta esserne convinti e il mondo si dispone per darti retta. Cosa può fare un buon carisma, neh?

Fatto sta che negli ultimi anni ho imparato a darmi una pacchetta sulla spalla ogni tanto e a farmi un complimento quando proprio la soddisfazione raggiunge il 70% del tutto. Una percentuale onorevole, il top per me. Un’altra cosa che ho iniziato a fare è stare più attenta riguardo a chi me li fa. Se sei un mezzo idiota, il tuo complimento scivola via tranquillo senza lasciare traccia. Se sei un pezzo di merda, il tuo complimento mi infastidisce (ma come? Sarò mica anch’io un pezzo di merda? Oppure pensa che io sia così stupida da crederci?). Soltanto se sei una persona a posto mi lascio toccare dalle tue parole. Potresti anche mentirmi soltanto per farmi contenta, ma lo faresti a fin di bene. Non la berrei, ma apprezzerei il tuo buoncuore. Se nelle tue parole c’è pure sincerità, allora mi commuovo. Funziono così.

Va da sé che funziono allo stesso modo anche per le critiche. Soltanto che quelle cattive le riconosco dopo molto molto molto tempo. Non catturo subito il veleno dell’intento, mi fermo sul concetto. Anni fa ricevetti una valutazione per un mio lavoro talmente ingiusta che pensai di averla anche inconsciamente rimbalzata. Non era così. Quel veleno m’era entrato nel cervelletto e si era posato lì rilasciando le tossine senza che io me ne accorgessi. Qualche giorno fa me ne sono accorta. Porca miseria.

Le critiche giuste me le lavoro per bene, ci sto attenta, mi fanno essere più scrupolosa, più severa con me stessa. Non dico che mi fanno felice, ma colpiscono la mia più grande ambizione: essere brava. Anzi, dannatamente brava. E siccome mi rendo conto di non esserlo abbastanza allora le critiche assennate mi spronano a fare meglio. Ne ho ricevute tantissime di questo tipo e hanno fatto tutte il loro porco effetto. Pure troppo, direi. Ma benvenga un po’ di sofferenza altrimenti che vita sarebbe? Eh.

Detto questo vorrei aggiungere un’altra piccola cosa: i complimenti che faccio a me stessa sono i miei preferiti. Mi trovo una persona assennata e piuttosto obiettiva, quindi non metto in dubbio la sincerità della mia esternazione. D’altro canto mi conosco da una vita e se fossi davvero un pezzo di merda mi sarei già gettata nel cassonetto da un bel po’.

Eh.

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(818) Domani

Se sei fortunato arriva, il domani arriva. Quando arriva, però, puoi fingere stupore e puoi fingere gratitudine ma non puoi fingere che il tuo ieri sia stato all’altezza, che sia stato onorevole, se così non è. Non puoi perché le conseguenze si ripercuotono inesorabilmente nel suo domani. E il domani diventa oggi prima di diventare ieri, quindi in poche parole: sei fottuto. O ti vivi bene l’oggi o ti rovini il passato e il futuro. Semplice, ovvio, dannatamente sottovalutato.

Ci sono stati degli oggi nella mia vita dove mi domandavo costantemente (minuto dopo minuto) perché diavolo fossi finita in quella situazione. Minuto dopo minuto, ora dopo ora… non c’è niente di più asfissiante.

Ci sono degli oggi nella mia vita dove mi dico: che figata essere qui. Questi sono gli oggi che preferisco, ovviamente. Non mi riesce con tutti gli oggi che vivo, ma sto migliorando. Quindi i miei domani sono su un altro livello. Superiore senza dubbio.

Ho sempre pensato che domani sarei riuscita a dare una svolta alla mia esistenza, perfino quando mi trovavo in piena svolta. Il mio concetto di svolta, forse è da rivedere, me ne rendo conto. Volevo fare altro, fare ancora di più e mi muovevo per realizzare quel domani. L’oggi che vivevo era di impegno, di concentrazione, raramente di divertimento. Mi domando chi me l’ha insegnato che per lavorare bisogna essere grevi… se ti diverti non viene meglio tutto?

Credo di averlo testato sulla mia persona e credo sia per questo che ora quando penso al domani lo faccio con meno ansia, con meno concentrazione. So che con le premesse di oggi, con le esperienze di ieri, il mio domani non potrà essere disastroso. Magari difficile, magari duro, magari complicato. Certo, ci sta. Non disastroso, però, perché in qualche modo saprò dove andare e saprò dove attingere la forza per affrontare tutto.

Domani andrà meglio. E non è così tanto per dire, è un calcolo matematico preciso, lineare. Domani sarà meglio di oggi. Domani sarà sicuramente meglio di ieri. Domani, spero arriverà, sarò ancora qui a scriverlo.

A domani.

 

 

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(770) Murales

Che gli artisti raccontano la vita attraverso un linguaggio visivo di una certa portata, per me, sono un valore aggiunto per i muri delle nostre tristi città. Non sto parlando degli edifici storici, ma di quelli fatiscenti, quelli che avrebbero bisogno di una tinteggiatura di cui nessuno si prenderà mai carico e che, trasformate in tele, prendono vita con colori e immagini strepitose.

Perché non pagarli per farlo? Perché quel tipo di bellezza deve ridursi a gesto da fuorilegge che se ti beccano ti fanno pentire di essere capace di tenere una bomboletta spray in mano? Se paghi quelli bravi, quelli che sanno arricchire ciò che toccano, gli imbrattatori li prendi per un orecchio e li punisci come si deve. No?

Questo per dire che amo i murales – quelli belli – e anche chi è capace di realizzarli. Questo anche per dire che togliere la bellezza dai luoghi in cui viviamo significa toglierci pezzi di gioia, pezzi di vita. Tagli il verde, togli la musica, tarpi le ali agli artisti: in nome della pulizia e della pace. No, in nome della morte cerebrale, porcamiserialadra!

Ci sono molti modi per spegnere la vita dentro a un Essere Vivente, sono più quelli silenti e sotterranei che quelli che ti vengono sparati in faccia. Sottrai al mondo il bello e cosa rimane? Esatto. Il brutto.

In nome del bello si spazza via la violenza dai muri per sostituirla con l’arte. L’arte può essere estrema, ma non è mai violenta. Se la differenza ci è chiara ci è chiara anche la strada da percorrere. Il degrado chiama degrado, è una legge fisica, e il bello chiama il bello perché funziona anche con l’opposto. Allargando un po’ il concetto: se nel tuo ambiente lavorativo il bello regna sovrano, perché è sparso un po’ ovunque (nelle persone, nelle cose, nel lavoro stesso), si appiana tutto meglio: ogni conflitto, ogni divergenza, ogni ostacolo. Funziona così, giuro.

Mi sono dilungata su un concetto che molto probabilmente ho già trattato in uno dei miei precedenti post (vado in loop ormai, perdonatemi), ma oggi il bello mi ha colpito in diversi modi e non potevo far finta di niente. Non potevo proprio.

Buonanotte.

 

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(761) Relax

Il mio concetto di relax fa acqua da tutti i pori. Quello che per ogni Essere Umano di buonsenso è semplice pratica-del-non-far-niente, per me diventa motivo di macchinazione sui modi che potrei impiegare per fare qualcosa per distendere i nervi.

Ovvero: fare qualcosa per rilassarmi. Presente?

Dovrei io prendere in considerazione il non-fare-niente come pratica di rilassamento forse? Giammai! Devo leggere e sottolineare e commentare a bordo pagina, possibilmente, o devo guardare un film mentre controllo la posta e prendo appunti per possibili progetti futuri, o mentre passeggio mi immergo in riflessioni senza fondo sul da farsi per risolvere questa o quell’altra situazione e via discorrendo. In poche parole, se per me la meditazione è pura utopia, il relax è ridicola presa in giro. Non c’è mai una non-attività di qualsivoglia angolo del mio cervello, non c’è mai lo scorrere del tempo fine a se stesso, non c’è mai il cazzeggiare a fondo perso. Mai. Al massimo sospendo un pensiero ossessivo per sostituirlo con un altro finché mi stanco e riprendo in mano quello lasciato in naftalina il mese precedente.

Il relax dei sani di mente mi è precluso, arrendiamoci all’evidenza.

Se sotto la doccia mi vengono le idee migliori, se guidando mi compaiono davanti soluzioni geniali, se giocando a Toon Blast o a Wood Block ho squarci di lucidità dove poter costruire una strategia, tutto questo NON è relax. E se me ne sto seduta comoda, magari sdraiata, ascoltando musica e pensando al niente (madddove?! maqqquando?!), è ovvio che dopo tre minuti m’addormento… e neppure questo è relax, è dormire – che è tutta un’altra storia santiddio!

Va a finire che mi mancano proprio le basi. Le basi per vivere intendo. Ma che ve lo dico a fa’, ormai lo sapete meglio di me.

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(742) Scrupolo

Analizzo e soppeso, rifletto e valuto. Per il 90% del mio tempo il 90% del mio cervello è occupato in queste amene attività, che io lo voglia o no, che io ne sia consapevole o meno. Questo fa di me una scrupolosa-a-oltranza, il che può essere un bene come un male a seconda delle circostanze. E non voglio soffermarmi sul giudizio, ma su ciò che comporta.

In breve, posso affermare che questo mio modus operandi mi porta ad avvicinarmi alle persone e alle cose con molto rispetto, perché ho bisogno di capire. E ci posso mettere molto molto molto tempo per capire perché non sono proprio un’aquila. Preferisco darmi tempo per decidere piuttosto che sbagliarmi. Mi scoccia parecchio sbagliarmi, ma quando sbaglio lo faccio alla grande, da vera idiota.

Comunque, ritornando al concetto base, i miei scrupoli si attuano nel quotidiano cercando un confronto schietto e diretto con le persone e con le cose (perché anche le cose se fai le domande giuste ti sanno rispondere, altroché), alla fine della giornata sono sfinita, ma penso sempre che ne valga la pena. Anche quando prendo calci in culo, anche quando questi calci sono immeritati (sono idiota mica cattiva).

Tutto questo lo scrivo perché ho bisogno di fare chiarezza e sto prendendomi a cazzotti col senso di colpa chiamato: Non ho fatto abbastanza?

Un punto di domanda è d’obbligo, perché si tratta di un senso di colpa che ha origine non da un fatto certo bensì da un’ipotesi. E sto qui da ore a pensarci e ricordare ogni episodio e sono sicura che ho fatto abbastanza. Fin troppo. Ho cercato di metterci le toppe, inutilmente. E quando mi verrà chiesto il perché non mi schiero come si pensa dovrei, probabilmente, il vero perché lo terrò per me. Un perché pesante, anche violento per certi versi, non deve essere esternato, non porterebbe nulla di buono. Forse sul momento qualcosa saprò dire, ma ora pensandoci mi sembra di aver esaurito ogni grammo di compassione che avevo in magazzino e i sacchi di empatia son spariti tutti, in pratica: sono a secco.

E il dispiacere permane, mi viaggia dentro una parola abominevole – tradimento – che però non ha nulla a che vedere con quello che ho vissuto, proprio nulla. So per certo che il mio dispiacere è sincero, come so per certo che non ho più voglia di calci in culo. Devo accettare che non si può appianare tutto, che non si può comprendere tutto, che non si può accogliere tutto. Devo accettare che io non so farlo, che è un mio limite, e devo mettermela via perché va bene così. 

Niente favole. Va bene così.

 

 

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(715) Tanti

Quanti? Tanti. E la questione non cambia perché la quantità – il concetto di quantità – ci sovrasta. Quando è Tanto significa che siamo vicini al limite. Quando è Troppo il limite è stato superato, ma il Tanto ti mette in allarme e ti fa presente che qualcosa devi fare. 

Si potrebbe pensare che funzioni così soltanto per le cose negative, che tanta felicità non sia rischiosa, ma c’è chi è morto per troppa felicità – bisognerebbe ricordarselo.

Il nostro cervello quando si trova ad avere a che fare con il Tanto si allerta, sa che bisogna attendersi qualcosa. Se il Tanto cala naturalmente il vuoto della differenza può essere devastante. Ecco perché il tanto benessere teme anche il minimo calo, si aspetta un crollo subitaneo. Il panico fa scattare il meccanismo o-io-o-te e tutto va in vacca (per dirla in modo elegante).

Non l’ho mai sperimentata “la tanta ricchezza” – lo desidererei sinceramente – eppure credo che da lassù il Tanto prenda forma ben più feroce. Ma potrei sbagliarmi, certo.

Siamo in tanti e abbiamo tanti problemi, abbiamo tanti desideri, abbiamo tante ambizioni contrastanti e ognuno di noi contiene moltitudini (cit. Walt Whitman), per la serie: siam messi proprio bene.

A volte il Tanto mi mette a disagio, mi fa sentire le formiche addosso, anche se il Tanto riguarda qualcosa di bello. Sarà che i miei sensori si sono progressivamente fusi con l’età avanzata… bah. Vorrei avere un rapporto migliore con il Tanto, ma non so da dove cominciare. Forse il Tanto che vorrei mi spaventa ed è per questo che mi sfugge. Un bel dilemma Watson.

Tanto vale che mi faccia una bella dormita sopra. Tanto domani nulla sarà cambiato tra me e il Tanto e magari a mente fredda potremmo discutere meglio. Tanto lo so che sarà lui ad avere la meglio e che rimarrò nel mio dilemma a farmi tanto male. Bah.

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(112) Ispirazione

Quando manca te la devi far venire. Non è che uno si muove soltanto se è ispirato, bisogna farlo e basta. In linea generale vedo troppa gente che aspetta l’ispirazione prima di muoversi e nel frattempo si lamenta.

Ecco, non è che io sia baciata da ispirazioni luminose e costanti, tutt’altro, e quando attraverso periodi non proprio motivanti mi lascio andare un po’, ma ho provato sulla mia pelle che più non ti muovi e più fatica fai a muoverti. Anche se l’ispirazione t’arriva e ti colpisce dritto in fronte sul terzo occhio, se sei anchilosato perché sono anni che non ti schiodi da dove stai… bé, l’ispirazione avrà la peggio.

Vincerà la tua pigrizia.

Non facciamoci ingannare, ci sono diversi tipi di pigrizia e generalizzare non fa bene a nessuno. Per esempio io sono affetta da quella fisica: appena smetto di impegnarmi in un’attività fisica (per l’amor del cielo, mai stata un’atleta, ma certi sport li ho praticati pure io) che sia la palestra, la piscina, la pista di pattinaggio o quella di ballo, poi a ricominciare… campa cavallo! (rima involontaria, scusatemi)

Ok, dovrò guarire da questa indolenza, me ne rendo conto sempre di più mano a mano che il tempo passa e invecchio, ma… ma in tutta sincerità se la tua mente è attiva e capace di movimento, a un certo punto il tuo corpo obbedisce.

Viceversa è un casino.

Se sei affetto da pigrizia mentale, auguri. Davvero, credo che sia la malattia peggiore, quella più diffusa e quella più sottovalutata. Inizia a prenderti quando sei piccolo e non ti molla per tutta la vita. E se la tua vita è destinata a durare a lungo, aver a che fare con una mente pigra è una condanna che non augurerei a nessuno.

Detto questo, ribadisco il concetto: attendere l’ispirazione per fare qualcosa (qualsiasi cosa) è da rassegnati, da pigri, da lamentosi, da perditempo.

L’ispirazione bacia i vivi e non i morti.

Daje.

 

 

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