(911) Indirizzo

Metaforicamente parlando, quando conosci l’indirizzo di qualcuno hai in mano un’arma carica. La mossa tattica del comparire a sorpresa sulla soglia della tua vittima facendo finta di capitare lì per caso è sempre letale. Capiti quando capiti, ricevi quel che ricevi. Questa dovrebbe essere la punizione. Ecco, per quanto mi riguarda ho deciso di sostituire il sorriso di circostanza con una bella testata.

Così.

Sempre metaforicamente parlando, non è che sei sempre il benvenuto. Se decido di aprire la porta non è tanto perché ho voglia di scoprire chi c’è – a sorpresa – dalla parte opposta, ma per una sorta di pudore malato che mi obbliga a non fingere di non essere a casa. Sarebbe fottutamente maleducato, sarebbe proprio una cafonata. No? Capitare, invece, per caso come se non ci fosse neppure una remota possibilità di disturbare è una cosa carina. Davvero davvero davvero carina.

La questione “Entrata libera” e “Uscita libera” è – per quanto riguarda la mia esistenza – la norma. Tu decidi quando comparire a sorpresa e decidi anche quando scomparire a sorpresa. Tanto l’indirizzo lo sai. Houdini ti fa un baffo. Bravissimo. 

Così.

Dunque, credo che sia un diritto inalienabile di qualsiasi Essere Vivente il poter fingere di non essere in casa e di non aprire quella dannata porta. Posso essere anche gentile, per una sorta di buona creanza di cui non riesco a liberarmi, ma se non ti faccio entrare è perché quando sei uscito (di tua iniziativa e senza salutare) per quel che mi riguarda lo hai fatto una volta per tutte. E la tua scelta l’ho registrata come E-T-E-R-N-A.

Te lo dirò? Magari quando ti tirerò quella testata che è lì pronta per partire. Ora la domanda è: oserai suonare quello stramaledetto campanello?

Sto aspettando (e mi odio per questo).

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(905) Spostamenti

Oggi è giorno di spostamenti, cosa che capita non così spesso come forse dovrebbe, ma quando capita significa che sto cambiando punto di vista. Ciò è sempre un bene, anche se poi a volte ritorno al punto di partenza. Ormai ho capito che la partenza (e l’arrivo non certo) è il grande loop della vita. 

Ritornando agli spostamenti, sono proprio cose da nulla. Ma importanti. Per esempio: mi sono fatta due ragionamenti e ho deciso che era arrivato il momento di spostare il monitor in ufficio in modo da non farmi venire il torcicollo. Certo, ho sopportato il torcicollo per mesi, ma non lo imputavo alla posizione del monitor. Non ci pensavo. L’evidenza il mio cervello la schifa, non so perché ma è un gap incolmabile, è quello che mi rende stupida suppongo. Il resto del mio cervello fa del suo meglio per colmare il vuoto, ma ci mette il suo tempo. Mesi. Di torcicollo. Guarda, lasciamo perdere.

Un altro spostamento di oggi è la corsia per arrivare a quella rotonda dove chi mi sta sulla sinistra taglia volentieri la strada a quelli di destra senza mettere la freccia. Ora: la corsia di destra è quella giusta perché devo virare a destra, ma immancabilmente c’è il fenomeno che dalla sinistra mi vuole attraversare pensando che io sia lì apposta per permettergli di essere un cafone della strada (e probabilmente anche della vita). Quindi, oggi, è stato il giorno: ho tenuto la corsia di sinistra, ho sorpassato la rotonda incriminata e mi sono tenuta sempre sulla corsia di sinistra prendendo il rettilineo. Sembra una cazzata, mi rendo conto, ma ha funzionato, non mi sono presa il nervoso imprecando per il sopruso del cafone di turno. Semplice. Ci ho messo mesi, ma ce l’ho fatta. Mesi. Lasciamo perdere.

Questo per dire che spesso mi intestardisco su una posizione che oggettivamente è corretta, nonostante la realtà mi dimostri che non sia necessario sopportare. Io faccio finta di niente finché non mi prende l’esasperazione. Poi mi sposto. O sposto. Ecco, la stupidità è uno stato molto concreto. E come la riscontro negli altri, la riconosco in me. Anziché incazzarmi con l’Universo e le sue Leggi, spesso dovrei incazzarmi con la mia incapacità di adattarmi alla realtà spiccia. 

Non sto parlando dei Massimi Sistemi, perlamordelcielo, per fortuna non mi sono mai adattata alle regole che non potevo condividere per indole ed etica, ma sto proprio parlando delle cose piccole, quegli spostamenti che non ti portano a sacrifici morali, semplicemente piccole astuzie che ti fanno evitare il travaso di bile.

Santiddio!

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(557) Finto

Lo sgami subito quello che è finto, ti piomba giù nello stomaco come la biglia del flipper che passa in mezzo senza toccare le palette. Presente? Non ci puoi fare niente, sblang e stop.

Un sorriso finto, un grazie finto, un “chiama quando vuoi” finto – e si potrebbe continuare per altri dieci post. Finto perché non sentito, perché obbligato da convenzioni, perché così vanno le cose, perché di quello che pensi di me non me ne frega niente, perché di te non me ne frega niente. Molto semplice, molto vero.

Se è finto non vale nulla, è vero, ma la questione è: perché diamo agli altri qualcosa che non vale nulla? Perché non ci fermiamo un po’ prima? Forse perché siamo ancora legati a quelle buone maniere convenzionali che ci hanno insegnato da bambini? Forse.

Fatto sta, però, che ormai la nuova generazione non ci fa più caso. Noi li chiamiamo maleducati, ma forse ignorano le regole delle buone maniere convenzionali di cui noi siamo stati infarciti per i primi dieci anni della nostra vita. I ragazzi di oggi pensano che un sorriso finto lo fai solo quando è palesemente finto e quindi diventa una sorta di insulto silenzioso. Tecnica interessante, perché semplice e diretta. E funziona.

Il punto non è che dobbiamo insegnare loro le stesse regole di buona convenzionale educazione che forse abbiamo rinnegato una volta adulti (altrimenti le avremmo insegnate ai nostri figli in modo naturale, no?), ma l’educazione civile, quella della gentilezza come qualità dell’anima, magari sì.

Salutare quando si entra in un luogo (o quando si esce) è una cosa che si fa per educazione, un atto di civiltà, qualcosa che fa piacere a prescindere. Se uno ti saluta fai fatica a non ricambiare, no? Se non ricambi sei un cafone, punto e basta. Ecco, essere cafoni non è un valore aggiunto, bisognerebbe dirlo a tutti, anche ai vecchietti che pensano di averne passate troppe per dover ancora sottostare alle sacrosante regole della buona educazione.

Voglio dire che le cose finte hanno zero valore, le cose autentiche contano perché costruite nel tempo con una certa logica e per una certa funzione. Si fa capo a una buona intenzione, la si prende come buona abitudine, la si fa crescere come buona educAZIONE e la si trasmette agli altri in modo naturale, con l’esempio.

Il buon esempio fa nascere il sorriso. Senza sforzo, senza costrizione. Semplice.

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(117) Buongusto

buongusto (o buon gusto) s. m. [grafia unita di buon gusto], solo al sing. – 1. [attitudine a gustare ed apprezzare le cose belle] ≈ classe, eleganza, finezza, gusto, raffinatezza, ricercatezza, stile. 2. [capacità di valutare l’opportunità di azioni e parole] ≈ accortezza, buonsenso, delicatezza, discrezione, garbo, sensibilità, tatto. ‖ intelligenza, perspicacia.

Ho voluto andare a cercare nella Treccani il significato preciso, perché volevo rileggermelo e farmelo scivolare dentro. Ne avevo bisogno.

Non frega nulla a nessuno, evidentemente, ma essere in balìa di persone che ignorano totalmente l’importanza di questo termine e l’enorme valore aggiunto che un Essere Umano acquista quando gli si attiene… mi rende furibonda.

Se l’eleganza, la finezza, lo stile, sono doti naturali – e poco le puoi inculcare in chi è tagliato grosso – l’accortezza, il buonsenso, la delicatezza, la sensibilità, il garbo si possono insegnare. Rientra nell’ambito dell’educazione.

Il buongusto ci fa fermare un secondo prima di diventare fastidiosi, molesti, fuori luogo, indisponenti, cafoni e anche teste di cavolo. Un passo prima. Ti fermi, valuti la circostanza e ti tiri indietro.

Questa accortezza ti rende un amabile Essere Umano con cui aver a che fare. Non sto parlando di essere buoni, quella è cosa dei santi, sto parlando di buongusto. Fa parte dell’amor proprio, di quel sentimento che se lo calpesti ti fa vergognare di esserti lasciato andare e esserti comportato da buzzurro, cafone, troglodita, idiota e testa di cavolo.

Ti fermi prima, giusto un passo prima, perché ti vergogni di mostrarti per quel che sei e decidi di dare al mondo la parte migliore di te.

Ecco. Lo possiamo fare tutti. Basta fermarci un misero passo prima. Non è mentire, è gestirsi con accortezza. Rendersi odiosi non è una scelta intelligente, neppure per un troglodita testa di cavolo.

 

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