(968) Francobolli

Affrancarsi e spedirsi dall’altra parte del mondo, come se fossimo una lettera. Questo facciamo, noi Esseri Umani.

Ogni volta che traghettiamo noi stessi sulle rive di un altro Essere Umano, raggiungiamo un mondo che ci è sconosciuto. Lì lasciamo un pezzetto di noi. Poi ce ne andiamo, spesso perché non ci è consentito restare. E ci succede continuamente.

Siamo lettere che ritornano al mittente, il più delle volte. Lettere mai aperte che vengono rifiutate. Senza cattiveria. Solo perché si fa fatica a leggere. Fatica a capire. Fatica ad accettare.

Sulla nostra lettera, ogni volta, appiccichiamo un francobollo. Assieme al timbro testimoniano le andate e i ritorni. E questi giri del mondo che promettono senza mantenere. E noi non perdiamo la voglia di partire e non riusciamo a schivare la delusione del ritornare.

Quando qualcuno ci legge, però, veniamo ripagati di ogni grammo di speranza che avevamo riposto lì tra le righe con punteggiatura sparsa e pochi respiri tra un capoverso e l’altro per non perdere tempo e non occupare troppo spazio.

La gente non legge più, ci viene ripetuto, e noi ci crediamo.

Una riflessione che sembra amara, questa, me ne rendo conto, ma non è con amarezza che la sto scrivendo, soltanto con un bagliore di consapevolezza in più.

Perché io amo leggere. Amo le lettere. Amo le andate e i ritorni.

E i miei francobolli, ormai, non li conto più.

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(950) Performance

Come prima di uno spettacolo: la pressione aumenta e la tensione si fa densa e appiccicosa. Come avere dentro quella plastica d’imballaggio con le bollicine e tu le scoppi una ad una e non ti fermi finché non le hai passate tutte, una ad una. Come un presagio di disfatta, come una speranza di rivalsa, come un aereo da prendere. Ecco, così.

Se non lo hai provato non sai. Non sai che vorresti allontanarti da te il più in fretta possibile, che vorresti teletrasportarti in un altro corpo e un’altra mente, che vorresti delegare a chiunque ti passi davanti ogni singolo atomo della tua esistenza. Lasciatemi in pace, finitela di tormentarmi.  Ecco, così.

E c’è, come sempre, un buon modo di affrontare questo stato d’animo e uno meno buono. C’è uno pessimo e uno ancora peggiore. Le variazioni sul tema possono essere diverse e di diversa consistenza, dipende da quanto vogliamo pensarci e da quanto siamo disposti a sbatterci per sistemare le cose dentro di noi. Ci vuole metodo anche nel fare le pulizie. 

Allora, so benissimo che è soltanto un passaggio, che in linea di massima non sto così tutto il tempo, e che tra qualche giorno si sistemeranno le cose e io potrò finalmente scrivere. Lo so. Eppure rimane il dubbio che l’Apocalisse si presenterà alla mia porta e che suonerà con tono allegro fingendo di essere lì per caso e che tutto finirà in un istante, le mie paure più bastarde si concretizzeranno in contemporanea e mi toglieranno il senno. 

So anche che tutto andrà bene appena sentirò in un angolo del mio orecchio Lucio Battisti che mi canticchia “lo scopriremo solo vivendo” e io avrò la voglia matta di dargli una testata. Solo allora avrò ripreso possesso di me stessa. 

Attendiamo pazientemente.

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(856) Panoramica

Stamattina pioggia di ghiaccio. Che è di per sé un fenomeno interessante, specialmente se ha potenza 9 e tu stai guidando al buio perché non è neppure l’alba. Dopo aver dormito sì e no due ore di filato e per il resto della notte aver pensato a tutto fuorché al fatto che avrei dovuto dormire. Un inizio spumeggiante.

Ora sto guardando il mondo fuori, mentre il mondo qui dentro in ufficio non è ancora arrivato. Sta per arrivare. 

Quello fuori si muove tra fari accesi e ombrelli che si muovono nascondendo misteriosi esseri dotati di gambe, sicuramente scarpe a prova di ghiaccio. Non come le mie che m’hanno fatto rischiare la spaccata tre volte in neppure 50 metri di percorso a piedi. Houston, abbiamo un problema.

Questo per dire che se inizia così non voglio neanche immaginare come andrà a finire. E tutto quello che può succedere nel mezzo. Il fatto che sia venerdì potrebbe giocarmi contro o pro, a seconda di come la vive il mondo che sta per arrivare. Perché sta per arrivare. E saranno saluti e sorrisi, questa è la parte migliore. Poi ci sarà la riunione della mattina, dove si dichiara la propria utilità agli altri e ci si augura buon lavoro reciprocamente (a volte con un certo malcelato sarcasmo, altre volte con serpeggiante speranza, altre ancora come ultimo desiderio del condannato a morte). 

Fuori non è più buio, è tutto bianco però. Il bianco si adagia qui e là e non puoi che pensare che è un colore che sta bene su tutto, anche se ingrassa un po’. Sto ascoltando James Bay e sto scrivendo, scrivo prima che il mondo arrivi e che mi attraversi, stasera sarò bella calpestata per avere ancora pensieri utili e stamattina non sento ancora la notte insonne pesarmi sul coppino, arriverà più tardi, nel bel mezzo del marasma, quando dovrei essere più concentrata e più agile. Intanto nevica fitto e sottile, sento il mondo arrivare.

Sta entrando. S’inizia davvero.

Buona giornata mondo.

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(803) Insieme

La Treccani a questa voce dà il meglio di sé, a mio parere.

Insieme, come assieme o congiuntamente o in compagnia di, ha un significato che mi piace, ma che non riesco a sostenere alla lunga. Ci metto sopra un sacco di postille (a chi? per fare cosa? per quanto tempo?) e questo riduce drasticamente l’entusiasmo sulla questione. Non ci posso fare nulla, la vecchiaia sta rosicchiando il meglio del mio buon carattere originario.

Insieme, come contemporaneamente, mi riporta alla brutta abitudine di fare troppe cose, cose che si accavallano e che mi sfiniscono. In realtà, vorrei non fare tutto insieme, ma non ho ancora trovato il modo per fare una cosa per volta. Forse migliorerò, la vecchiaia toglie forze ed energie e in qualche modo ci si ingegna a fare poco e meglio. Ho speranza.

Insieme, come reciprocamente o a vicenda, quando prendi un impegno di comune accordo con qualcuno e ti proponi un arrivo, una meta. Mi piace, l’idea mi piace molto, sono rari i complici giusti con cui partire all’avventura, quelli che sanno mantenere la parola e non ti mollano quando le cose si fanno difficili. Riconoscerli prima a volte non ci si riesce, l’esperienza è sempre quella che può riuscire a metterti in guardia per tempo e la mia si è allenata un bel po’. Sono a bolla in questo caso.

Insieme, come un’aggregazione o una pluralità di elementi che si possono considerare un tutt’uno o un complessivo/globale sguardo, inteso in questo modo mi riporta a tutto quello che ho fatto fino a oggi, un coinvolgere intenti e sogni per realizzare piccole cose che potessero nutrire e gratificare tutti. Tentativi di fusione armonica che dieci volte su dieci ha funzionato, nove volte su dieci non gli è stato riconosciuto il valore nell’immediato. Fare il cinese sulla riva del fiume che aspetta passare il cadavere, ormai, è il mio must. Triste, ma vero.

E poi c’è l’insieme di scritti che si va a comporre, a redigere, a stilare, a scrivere, che utilizza quello che so fare e che voglio fare. Ancora non lo so il perché, ma forse è tardi per farsi certe domande. Forse è meglio metterle da parte e far finta di avere già le risposte e che le risposte siano abbastanza per continuare. Insieme? Sì, ma anche da sola. Ormai anche da sola, non riuscirei comunque a fermarmi.

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(751) Paura

Le settimane corrono veloci, come le ore di sonno che dovrei fare e che non vedrò mai più. Una cosa curiosa, però, è che nonostante questa settimana sia stata delirante (da ogni verso la si voglia guardare), per me va bene così.

Le cose sono due: ho raggiunto il punto xyz dove la stanchezza non osa neppure avere più una soglia oppure il poter guardare oltre e vederci un futuro migliore mi sta sostenendo come mai prima. Potrebbe darsi tutte e due, in sinergia. Mah.

Focalizzandomi sulla seconda opzione potrei addirittura azzardare che se togli la visione del futuro a un Essere Umano gli togli la voglia di vivere il presente. E dirò di più: il futuro arriva comunque, sia che tu te lo sogni bene o che tu te lo mortifichi per bene. Lui arriverà e si espliciterà nonostante le tue speranze e nonostante le tue paure. Non è che avere speranza tolga la paura, questo no, ma avere paura distrugge la speranza, questo sì.

Vivere nella paura è giustificato solo per brevi periodi, ma alla lunga è intollerabile. Deve essere intollerabile. Se non lo è allora siamo in un bel guaio.

La mia paura esce fuori spesso, ma l’ho sempre calciata un po’ più in là, come se non fosse mai il momento giusto per occuparmene. Sì, sconcertante. O sono folle o sono scema. Una folle scema o una scema folle, molto probabilmente. Comunque sia questa cosa me la devo riconoscere, non c’è niente da fare. La paura la distraggo con i libri, con la musica, con l’arte, con le idee, con l’amore per le cose e per le persone. A lei gira la testa e si mette in un angolo. Appena le passa ritorna in campo e io ancora lì a farle lo stesso scherzo. Ci casca sempre.

Forse il miglior modo di fottere la paura è dedicarsi a qualcosa o/e a qualcuno senza farsi portare via dall’angoscia. Forse altro modo non c’è. O almeno, io ancora non l’ho trovato.

Contare tutte le facce della mia paura non serve a niente, sono più numerose di me. Contare tutte le possibilità per distrarle mi aiuta a calcolare il tempo da vivermi. Libera.

 

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(668) Ruolo

Sapere in che ruolo stai giocando è importante. Se vuoi giocare bene, specialmente se vuoi magari pure vincere. Un ruolo ti legittima a fare quello che stai facendo, oppure ti fa presente che non sei legittimato a fare quello che stai facendo. Un ruolo ti fa stare al tuo posto, ma ti fa anche sentire al posto giusto. Sai che hai dei doveri e dei diritti che sono diretta conseguenza di quel ruolo. Se le responsabilità annesse non ti piacciono, sai che devi abbandonare quel ruolo per adottarne un altro. In poche parole, ti permette di ordinare la tua vita e di gestirtela come vuoi e puoi. 

Me lo chiedo spesso quale sia il mio ruolo nelle situazioni che affronto quotidianamente e quando riesco a focalizzare per bene quello che dovrebbe essere il mio posto e dove in realtà mi trovo – spesso non per mia volontà – il mio disagio trova una spiegazione. Limpida, tangibile, inequivocabile. Se riesco a sistemare quel dettaglio – che dettaglio non è – ho speranza di recuperare il mio fantomatico equilibrio mentale.

Spesso ci troviamo fuori posto. Fuori ruolo. Spessissimo. Soltanto che non lo vediamo perché non focalizziamo lì la nostra attenzione. Quando il peso è troppo, la responsabilità è soffocante, pensiamo di non essere abbastanza forti/bravi per poterla sostenere, ci facciamo mangiare dai sensi di colpa e dalle nostre insicurezze senza mettere in discussione la nostra posizione. La verità è che per la maggior parte del nostro tempo viviamo senza domandarci quale sia il nostro posto. Assumiamo ruoli che non ci competono o che non ci interessano o che non vogliamo o che detestiamo e non sappiamo neppure il perché.

Non ci chiediamo perché siamo dove siamo e stiamo facendo quello che stiamo facendo. Non stiamo giocando, in realtà, stiamo fingendo di conoscere un gioco che ci è estraneo e non osiamo neppure verificare il regolamento per capire da che parte girarci. Ma perché? Perché diamo in mano agli altri i nostri diritti e ci facciamo soffocare da doveri che non dovrebbero neppure toccarci?

In ogni branco c’è una gerarchia di ruoli, chi non si adegua sceglie la via della solitudine. Si combatte per il ruolo a cui si aspira, se non si dimostra di meritarlo ci si apposta diversamente, con umiltà. Noi Esseri Umani preferiamo non pensarci, lasciare che siano gli altri a decidere per noi, e covare rabbia e vendetta, e quando facciamo il botto diamo la colpa al resto del mondo.

Prima chiediti in che ruolo vuoi giocare, poi dai tutto quello che hai per meritartelo e vedrai che le cose cambieranno, la tua vita sarà migliore. Con me ha funzionato.

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(664) Acquerello

Stendo il colore a veli, ecco cosa faccio. Una cosa delicata e come tale deve essere trattata. Non è così però che viene accolta. Non c’è cura in chi osserva questo mio fare, sembra che sia cosa da nulla, ma velare la realtà con i colori è il mio modo per rendere tutto più bello. Anche quando il bello si fatica a trovarlo. Questo faccio. Cosa da nulla, mi ripetono, ma io continuo a farlo perché un altro modo di vivere non l’ho ancora trovato – molto probabilmente. Il modo di vivere degli altri non mi convince, preferisco il mio. Mi auguro che funzioni per tutti così, deve funzionare così per tutti perché tutti possano abbracciare quella sottile libertà che è scelta e che è colore.

Certo che in sere come queste vengo annullata dall’idea di inutilità che è sempre lì in agguato, ma sono decisa a continuare. Stendo un velo di colore e provo a rendere concreta quella sfumatura che sfugge al controllo. Se riesco a riportarla sulla carta così come l’ho sentita forse ho ancora una speranza.

Comprendere troppo gli intrecci umani non è sempre una buona cosa, comprendere non è sempre una buona cosa. Solo che girarsi dall’altra parte non mi è possibile. Non mi è proprio possibile.

Tolgo le asprezze, spennello ombreggiature, l’acqua aiuta a non marcare troppo i contorni, toglie alcuni ostacoli. Non posso smettere di farlo, non posso smettere di comprendere, posso farlo meglio. Posso solo cercare di farlo meglio. La stanchezza, l’amarezza, l’arrabbiatura, tirano calci che mi fanno vacillare eppure intingo il pennello nel colore che sento amico con gocce che l’aiutano a scivolare sul foglio e sia quel che sia.

Dormirò il mio sonno, anche stanotte, senza timore.

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(611) Giugno

Stasera scriverò qualcosa di assolutamente inutile. Qualcosa che è stato pensato ed è stato eseguito con l’intenzione di dire niente, di servire a niente, di far perdere tempo a chi si fermasse a leggermi anche solo per caso.

Bene. Dopo questa premessa la maggior parte delle persone che transita da qui se ne sarà andata. Qualcun altro, pochi, no. Perché? Perché penseranno che non può essere così come è stato affermato, è un modo per rompere il ghiaccio, ma poi qualcosa sicuramente ci sarà per cui varrà la pena restare.

Ecco, ho appena messo in scena uno dei grandi misteri della mente umana: me lo dichiari apertamente e io non ti credo. La politica nostrana, e non solo, è piena di casi del genere, ma anche la mia modesta esistenza – a dirla tutta. Siamo Esseri molto meno intelligenti di quello che ci raccontiamo, bisognerebbe che ce ne rendessimo conto una buona volta.

Vabbé, visto che la mia affermazione è esattamente così come la realtà dei fatti dimostrerà, vorrei far notare il titolo di questo post: giugno. Inutile, vero? Ma ancora non siete convinti. Ancora c’è un dubbio e quindi state ancora qui a leggermi. Solo per questo vi meritate tutto il mio bene, siete persone belle, persone che vogliono credere nei colpi di scena positivi. Vi stimo.

Se ora concludessi il mio post dicendo qualcosa di utile, però, verrei meno alla premessa/promessa e finirei col dare ragione a quel meccanismo mentale idiota che fa di noi tanti poveri illusi e… non me lo posso permettere. Mi dispiace.

Quindi vi auguro buonanotte, nella speranza che mi possiate perdonare.

Grazie (per davvero).

 

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(499) Ciglia

Un battito di ciglia e tutto può cambiare. Un battito di ciglia e niente cambia mai.

Passo da un estremo all’altro, da una condizione all’altra, mille volte al giorno eppure… eppure più le guardo e più queste due frasi mi sembrano perfette. Non so come sia possibile, ma lo sono.

Quando provi stupore cosa fai? Sbatti le ciglia. Semplice. Se non le sbatti da un sacco di tempo, inizia a preoccuparti, t’è passato lo stupore. Fidati, è l’inizio della fine, ti si sta raggelando l’Anima, entro breve morirai assiderato. Succederà. Corri al riparo, inventati qualcosa, datti le martellate sulle nocche a tradimento, non importa quanto e cosa dovrai fare ma ripristina un livello minimo di sopravvivenza dello stupore o non avrai speranze.

Se dovessi contare tutti gli stupori che mi fanno sbattere le ciglia ogni giorno finirei con il perdermi tra i numeri. Oggi, per esempio, una cinquantina a dire poco e farne una lista mi diventa impossibile perché le cose di cui mi stupisco possono essere anche piccolissime. Ma piccolissime proprio.

Certe sono grevi, altre leggerissime. Ci sono quelle che mi fanno sorridere e quelle che mi fanno incazzare. Alcune mi commuovono, altre mi fanno scuotere la testa e sputare un sospiro a terra – di quelli che se li becchi di rimbalzo raggiungi Marte prima di Elon Musk. E anche se non li ricordo tutti, tutti si sono integrati perfettamente con la parte più viva della mia mente e quando meno me l’aspetto ritorneranno a galla e sarò costretta a riviverli, a ripensarli, a ri-immaginarli, a riscriverli magari meglio, magari anche diversi… chi lo sa?

Ci sono giorni in cui uno o due di loro si fanno sentire di più. Mi si stampano subito nel terzo occhio e so che da lì non se ne andranno, per sempre. Che roba strana lo stupore…

Insomma, sono qui per questo, sono qui per tenere traccia dei miei stupori, dei miei sbattere di ciglia. Che gioia, che privilegio! Chissà se dovessi scriverli che cosa mi racconterebbero dopo anni di dimenticanza. Chissà se manterrebbero la stessa intensità, la stessa vibrazione.

Va bene, proviamo. Lo stupore più bello di oggi? Sì, ce l’ho. Chiedo a una bimba di tre anni che mi sorride quale sia il suo nome e lei mi risponde: Biancaneve.

Sbam.

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(455) Eremo

Non ci resisterei troppo, al massimo sei mesi secondo me. Sarebbe un modo per disintossicarmi da 45 anni di mondo, non un abbracciare la solitudine totale per finire lì i miei giorni. 

Do per scontato che avrei un sacco di scazzi durante i sei mesi, per quanto io possa bastare a me stessa in fatto di immaginazione fantastica (e anche meno fantastisca) con un sacco di storie da scrivere e da costruire – non è che me ne starei con le mani in mano e roba del genere- non sarebbe una condizione naturale, anche se sono in origine un’introversa viscerale. La voglia/bisogno di sentire la voce delle persone che amo, la tentazione di sbirciare su facebook e via così, no non sarebbe un’avventura facile però, sicuramente, realizzerei una sorta di desiderio egoistico all’ennesima: farmi i fatti miei a dispetto del mondo intero.

Detto questo, so bene che non lo farò mai. L’Eremo è una di quelle condizioni che non realizzerò, perché sicuramente il realizzarla la renderebbe odiosa. Ciononostante, quella condizione di solitudine cerco di attuarla ogni volta che mi si presenta l’occasione e se l’occasione non mi si presenta (in certi periodi è un delirio) allora me la cerco e la strappo via a morsi dal quotidiano che mi macina.

Ho un piccolo Eremo dentro di me, molto basic, niente di chic, piuttosto freddino, niente comodità, silenzioso quel tanto che basta e accessibile solo a me. Ce l’ho, lo frequento spesso, direi ogni giorno a piccole dosi. Non sono quella delle meditazioni, non ne sono capace e mi piacerebbe tanto, ma quella delle fughe di silenzio random. Quelle mi vengono benissimo, sono una specialista.

Non sto a dire che può bastare per elevare lo Spirito, ma il mio Spirito ha compassione di me e sopporta questi stupidi escamotage che metto in atto per evitare l’esaurimento. Mi sostiene con la speranza che prima o poi mi ci metterò d’impegno e lo curerò come e quanto merita. Ora non ne ho le forze, e per quanto mi dispiaccia essere come sono, penso sempre che da qualche parte si debba pur iniziare e essere una specialista delle fughe di silenzio nel mio piccolo Eremo interiore non sia poi così male come inizio.

Spero.

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(415) Evoluzione

Indietro non si torna, evolvere è l’unica strada.

Questo delizioso aforisma l’ho coniato quando avevo sedici anni. Un secolo fa, in pratica. Se devo essere franca, e non vedo motivo per cui io non debba esserlo, l’unica cosa che mi rende davvero orgogliosa di me stessa è proprio questa: ho mantenuto fede alla promessa.

Guardando alle mie origini posso affermare tranquillamente che l’evoluzione c’è stata. Oddio, molto inferiore alle mie ambizioni, ma tutto considerato in linea con la mia indole e le mie capacità (mai troppe, mai splendide).

Il nocciolo della questione sta proprio qui: imporsi un’evoluzione anziché adagiarsi e rischiare un’involuzione è già di per sé un modo per salvarsi l’anima. Che è qui che noi ci salviamo l’anima e se aspettiamo troppo diventa tardi, dovrebbe esserci chiaro il concetto anche se lo ignoriamo caparbiamente.

Evoluzione mi piacerebbe fosse sinonimo di salto quantico, ma nel mio caso non lo è e questo è duro da digerire, ma rassegnarmi soltanto perché la Natura non mi ha dotata di genio (in nessun campo) è sempre stato fuori discussione. Una sorta di amor proprio che si può confondere con la presunzione – lo so – ma che in fin dei conti non ha mai danneggiato nessuno se non me (in alcune occasioni) e mai troppo seriamente.

Anche solo per il fatto che ora sto scrivendo, il mio credo ha trovato soddisfazione. Scusate, non è cosa da poco e non è cosa ovvia. Ammiro le persone che sanno evolvere il proprio pensiero senza farsi sconti di sorta, mantenendo la pulizia interiore e la limpidezza della visione. Sono la mia ispirazione, guardare a loro mi rafforza la speranza. In cosa? Nella salvezza del Genere Umano.

Se lo guardo troppo da vicino non ci fa una gran bella figura, ma quando zoommo sulle persone giuste l’impennata di ottimismo è evidente. Sono convinta più che mai che noi siamo qui per evolvere la nostra anima e con questa prospettiva tutto sembra avere un senso, tutto sembra avere il suo posto. Cade la rabbia, cade la rogna, cade la voglia di mandare tutto al diavolo. Evolvere significa avvicinarsi al tiepido abbraccio della vita, senza soffermarsi in dettagli da nulla, senza discussioni, senza lamentele.

Al lavoro, ordunque!

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(177) Quasi

Il quasi mi mette in imbarazzo. Da un lato è una mancata vittoria, dall’altro una mancata sconfitta. In mezzo ci sono tutte le varianti che la lingua italiana si è potuta immaginare – e ce ne saranno un miliardo.

Sono quasi soddisfatta di me stessa, per la gran parte del tempo. Non del tutto. Il che dovrebbe darmi un margine di miglioramento (escludo la possibilità di peggiorare, sarebbe un tornare indietro e io non ho tempo da perdere). Quel margine di miglioramento non mi innervosisce, non mi risulta frustrante, mi dà speranza. A qualcuno, questa cosa potrebbe dare fastidio (so che lo dà), ma non è un mio problema.

Sono quasi arrivata dove non mi sarei mai sognata di arrivare. Ecco, già il sentimento qui si fa confuso, diviso tra “wow-guarda-dove-sono-arrivata!” e “gasp-ancora-non-sono-arrivata-quanto mancherà?”. Non è facile combinare la soddisfazione per una posizione raggiunta, la sorpresa per averla raggiunta, e la stanchezza del percorso fatto aggiunta allo sgomento nel constatare quanto tempo sia trascorso dall’inizio del viaggio.

Sono quasi arrivata alla conclusione che non importa. Tanto ancora non sono giunta fin dove desidero, per cui godiamoci il viaggio e che il cielo m’aiuti!

 

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(146) Speranza

Quanto costa la Speranza? Alcuni dicono che costa troppo, costa la disillusione e la perdita di fiducia nella vita. Credo che il pericolo esista, credo che se non ci gestiamo bene questa cosa della Speranza possiamo davvero rischiare di perdere la voglia di credere nella vita.

Giochiamo d’astuzia, allora. Mettiamo in conto che la Speranza non porta in sé Certezza né Garanzia. Trattiamo la Speranza per quel che è: un’immagine bella di come vorremmo essere e di come vorremmo che fossero le cose per noi. Niente di più, ma niente di meno.

Lasciamo al nostro bisogno di Certezza il suo posto, sacrosanto. Chiediamo qualche Garanzia se la posta in gioco è consistente, è nostro diritto. Mettiamoci nella condizione di non aggiungere alla Speranza la brutta bestia dell’Aspettativa, che crea stress e tensioni. Facciamo in modo che la Speranza sia solo se stessa, che sia gioia intima nell’immaginare ciò che vorremmo per noi. Senza caricarla di pesi che lei non chiede e che noi non abbiamo il diritto di darle.

In questo modo, se siamo bravi a gestire questa cosa, schiveremo il disfattismo e la piccineria che ci trasformano in larve che non osano alzare lo sguardo al cielo per paura che questo gli crolli addosso.

Non sono un monaco buddhista, non ne ho la stoffa. Mi piacerebbe poter far senza essere vittima dei miei sentimenti, ma non ne sono in grado. So che quando immagino qualcosa di meglio per me ho voglia di fare, ho voglia di provare nuove strade, ho voglia di essere parte attiva per realizzare qualcosa di molto vicino a ciò che ho immaginato. Con me funziona, lo può testimoniare la mia vita, i miei giorni ne sono la prova e se funziona con me può funzionare con tutti. Garantito.

Una cosa vorrei davvero: vorrei che negli occhi dei ragazzi che mi stanno di fronte in questi giorni ci fosse posto per la Speranza. Molto posto, così tanto da far loro dimenticare quel cinismo che si sono imposti perché la vita li ha delusi. Se non imparano a dare il giusto peso alle delusioni come faranno a vivere una vita piena di benessere?

Diamo loro il buon esempio, per favore.

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(110) Fiamma

Dovrei riuscirci, ma forse pretendo troppo, è presto per farlo. Dovrei riuscire a tradurre in parole quello che ora sto provando, ma forse sono troppo impegnata a provare quello che sto provando e non mi rimane energia sufficiente per trovare anche le parole.

Ogni cosa ha il suo tempo. Dovrei averlo imparato, eh!

Eppure, questa fiamma che si riaccende mentre penso alla strada che mi sono costruita (fiamma che la fatica sembrava aver spento), si sta rifacendo vivace. Progetti, speranze, nuove cose che si aprono e altre che si chiudono perché è ora che lo facciano. Tutto questo ora non è solo sognato, ora è reale e mentre lo vivo sento dentro di me la fiamma che scoppietta.

Post fa parlavo della felicità come di una cosa che non ero in grado di acchiappare, forse è il caso di ricredersi. Mi riscaldo le mani, che fuori è tutto gelato, e provo a godermi il tepore senza pensare troppo a quel che sarà.

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(65) Sollievo

Credo che la cosa che più vorrei donare a chiunque si trovi in una brutta situazione sia: sollievo. Sollevare da un peso, da una sofferenza. Sollevare il velo della disperazione per far indovinare che al di là c’è aria pura da respirare a pieni polmoni.

Libero da una preoccupazione, da un’ansia, da un timore. Ogni volta è un rinascere.

Il mio sollievo di oggi è immenso, ha profonde radici, ha ampi orizzonti. Guardo la fonte del mio sollievo e non posso che provare una profonda gratitudine. Si apre in me ancora la capacità di credere che è solo l’inizio e che il peggio è passato.

Ogni volta è un rinascere.

Poter essere di sollievo a qualcuno che ne ha profondo bisogno, credo sia la cosa più preziosa che si possa donare. Durasse anche solo un secondo, non importa. Quel secondo può espandersi in eternità e creare nuova vita.

b__

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(36) Pezzi

Non è semplice metterli insieme. Neppure sistemarli in modo che i contorni combacino. Non è un puzzle con le tessere ricamate ad hoc. Un rompicapo ha soluzione che sistema tutto, ma i pezzi una volta andati non si ricompongono più in un’opera intera.

Rimangono buchi, incastri poco felici, figure sbilenche. Una bellezza deturpata per sempre.

La bellezza, però, si può rinnovare. Devi venirne a patti, ovviamente.

Il corpo può andare in pezzi, il cervello anche. Il primo porta segni evidenti, il secondo non sempre. Qual è il danno più serio: quello che si vede o quello che si cela? Non lo so, nessuno lo può sapere credo.

Ecco perché bisogna diffidare da chi afferma con sicurezza che i tuoi pezzi  valgono niente. Chi può saperlo? Tu? Loro? Nessuno.

Nessuno può prevedere come i tuoi pezzi potranno rigenerarsi e creare nuova bellezza. Credo valga la pena scoprirlo, con pazienza e speranza.

Speranza? Sì, serve anche quella quando i pezzi sembrano ridurti anziché moltiplicarti. Tieniti saldo all’immagine che hai di te e non perderti d’occhio.

Qualcosa succederà. La tua bellezza si rigenererà.

 b__

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