(968) Francobolli

Affrancarsi e spedirsi dall’altra parte del mondo, come se fossimo una lettera. Questo facciamo, noi Esseri Umani.

Ogni volta che traghettiamo noi stessi sulle rive di un altro Essere Umano, raggiungiamo un mondo che ci è sconosciuto. Lì lasciamo un pezzetto di noi. Poi ce ne andiamo, spesso perché non ci è consentito restare. E ci succede continuamente.

Siamo lettere che ritornano al mittente, il più delle volte. Lettere mai aperte che vengono rifiutate. Senza cattiveria. Solo perché si fa fatica a leggere. Fatica a capire. Fatica ad accettare.

Sulla nostra lettera, ogni volta, appiccichiamo un francobollo. Assieme al timbro testimoniano le andate e i ritorni. E questi giri del mondo che promettono senza mantenere. E noi non perdiamo la voglia di partire e non riusciamo a schivare la delusione del ritornare.

Quando qualcuno ci legge, però, veniamo ripagati di ogni grammo di speranza che avevamo riposto lì tra le righe con punteggiatura sparsa e pochi respiri tra un capoverso e l’altro per non perdere tempo e non occupare troppo spazio.

La gente non legge più, ci viene ripetuto, e noi ci crediamo.

Una riflessione che sembra amara, questa, me ne rendo conto, ma non è con amarezza che la sto scrivendo, soltanto con un bagliore di consapevolezza in più.

Perché io amo leggere. Amo le lettere. Amo le andate e i ritorni.

E i miei francobolli, ormai, non li conto più.

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(865) Promesse

Ci sono promesse tacite che noi distribuiamo incautamente come se non avessero importanza. Queste promesse, una volta rotte, creano distanze incolmabili, che possono durare una vita intera. La presenza, per esempio, è una di queste. 

La tua presenza parla di quello che provi, è il tuo impegno, è garanzia di cura e attenzione per la persona che ti sta accanto. Anche se il tuo corpo c’è, quando ti allontani e la tua presenza manca, la distanza si mangia tutto. Bisogna volerlo davvero per mantenere questa promessa. Ogni giorno, in ogni istante. Un dubbio soltanto può spaccare tutto.

Il punto è che non possiamo fare finta di niente. Non possiamo pensare che solo quello che viene dichiarato sia reale. Nove volte su dieci è proprio ciò che abbiamo a parole promesso a essere una menzogna di comodo. I fatti sono un’altra cosa. Sono loro i testimoni delle nostre intenzioni, sono loro che parlano di noi e di quanto puro è il nostro cuore. Le promesse sono ben più solide di quello che vorremmo, se ce ne rendessimo conto prometteremmo di meno.

Mantenere una promessa è un riportarsi continuamente alla base, dove risiede la ragione della promessa. Il sentimento. Lì, esattamente lì. A volte ci manca il respiro per la portata inverosimile dell’impegno che ci viene chiesto, ma quando l’impegno è una scelta non c’è nessuno da incolpare. Se non noi stessi. Bisognerebbe andarci cauti con le promesse date queste premesse, no?

Ho rotto promesse in cui non ho mai creduto davvero, e me ne vergogno. Ho deciso molto tempo fa di non promettere più, ma ancora non ci sono riuscita. Ho preso impegni che sto mantenendo, lo sto facendo lavorando sul peso affinché non mi schiacci troppo a terra. Non ritornerò sui miei passi, quelle promesse sono solide e non si discutono. L’unica cosa che conta è che ci credo ancora, forse anche più di prima. Non posso che far fede su questo, sperando di non deludermi di nuovo.

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(797) Tacere

La gestione del tacere non è cosa di poco conto. Un maldestro calcolo dei tempi e dei modi può rovinarti la vita. All’opposto, saper maneggiare ad hoc la capacità di dosare il tacere può salvarti la vita. Quindi?

Ho una voglia maledetta di fottermene e di dire quello che penso, in questo ultimo periodo. Fanculo alle conseguenze, il tacere a prescindere – per paura delle conseguenze – può anche farti andare in pappa il cervello (per non parlare dell’amor proprio). Quindi?

Dovrei farlo, dovrei semplicemente dire alle persone interessate quello che penso di loro e del loro atteggiamento, dovrei sbattermi del politically correct e dell’educazione a ogni costo e dovrei semplicemente far presente le mie ragioni. Niente insulti, soltanto le mie ragioni – che garantisco sono piuttosto ragionevoli – e poi andarmene. Capiti quel che capiti, mi tolgo dalle balle e via. Quindi?

Quindi che ne so! Sono un’artista dello stare al proprio posto, evitare discussioni e via di questo passo. Anni e anni e anni di training. Ora vado a scoprire che questo diavolo di autocontrollo non mi ha reso che frustrazioni e furibonde incazzature con me stessa… a che pro? 

La questione delle conseguenze è bastarda perché, in realtà, non è che preventivare le conseguenze sia una scienza esatta, tutt’altro! Ti fa immaginare come potrebbe andare a finire e basta. Ti fa riflettere, ti fa valutare meglio la portata delle tue azioni, tutto qui. Le conseguenze che mi fanno chiudere la bocca sono quelle che provocano sofferenza, perché odio essere causa di mortificazione o delusione o che ne so io. Però ci sono situazioni che ti impongono di parlare, di asserire, di far presente con forza che il tuo pensiero è diverso e che la vedi in altro modo e che non ti sta bene così. 

Non mi sta bene così, non funziona con me. 

Ecco, questo potrebbe essere l’unico appiglio per incentivare in me un cambiamento di assetto senza scompigliare troppo la mia indole pacifica. A che pro? Perché tacere può sbriciolarti l’Anima oltre che il fegato. Taci quando hai torto, taci quando non hai opinioni al riguardo, taci quando ti uscirebbero soltanto cattiverie gratuite, taci quando non sei sicura di affermare il vero, taci quando quello che vuoi dire potrebbe scatenare l’inferno senza creare utilità a nessuno (magari parli in un secondo momento), taci se sei furiosa e hai pensieri confusi che uscirebbero male e verrebbero fraintesi. Ecco, questi sono buoni motivi. Ma non tacere quando qualcuno ti calpesta, quando vedi la verità umiliata, quando le bugie prendono il sopravvento, quando quello che vivi ti fa urlare “basta!”, quando qualcuno te lo impone perché pensa che tu non abbia nulla di interessante da dire. Tacere solo perché la tua coscienza te lo impone, non per altro.

Questo funziona per me. Così mi sta bene.

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(160) Arcobaleno

Lo catturo negli occhi dei ragazzi, di tanto in tanto, quando si dimenticano di fare finta di niente e cascano nella rete del “forse posso”.

Forse posso farlo, forse ce la faccio, forse se ci provo mi potrebbe pure riuscire.

Non sono mai io a dubitare, sono loro stessi a dubitare delle loro capacità. Mollano ancora prima di provarci perché pensano che la delusione di una sconfitta bruci troppo. Non vogliono sentire dolore.

Spesso il dolore è più forte quando lo immagini di quando lo attraversi, spesso se non lo attraversi non lo puoi sconfiggere. Un’immagine difficilmente si fa sconfiggere e quando tu sopravvivi al dolore ti senti forte e pronto a fare meglio.

Oggi gliel’ho dimostrato e ho visto l’arcobaleno nei loro occhi. Bellissimo.

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(146) Speranza

Quanto costa la Speranza? Alcuni dicono che costa troppo, costa la disillusione e la perdita di fiducia nella vita. Credo che il pericolo esista, credo che se non ci gestiamo bene questa cosa della Speranza possiamo davvero rischiare di perdere la voglia di credere nella vita.

Giochiamo d’astuzia, allora. Mettiamo in conto che la Speranza non porta in sé Certezza né Garanzia. Trattiamo la Speranza per quel che è: un’immagine bella di come vorremmo essere e di come vorremmo che fossero le cose per noi. Niente di più, ma niente di meno.

Lasciamo al nostro bisogno di Certezza il suo posto, sacrosanto. Chiediamo qualche Garanzia se la posta in gioco è consistente, è nostro diritto. Mettiamoci nella condizione di non aggiungere alla Speranza la brutta bestia dell’Aspettativa, che crea stress e tensioni. Facciamo in modo che la Speranza sia solo se stessa, che sia gioia intima nell’immaginare ciò che vorremmo per noi. Senza caricarla di pesi che lei non chiede e che noi non abbiamo il diritto di darle.

In questo modo, se siamo bravi a gestire questa cosa, schiveremo il disfattismo e la piccineria che ci trasformano in larve che non osano alzare lo sguardo al cielo per paura che questo gli crolli addosso.

Non sono un monaco buddhista, non ne ho la stoffa. Mi piacerebbe poter far senza essere vittima dei miei sentimenti, ma non ne sono in grado. So che quando immagino qualcosa di meglio per me ho voglia di fare, ho voglia di provare nuove strade, ho voglia di essere parte attiva per realizzare qualcosa di molto vicino a ciò che ho immaginato. Con me funziona, lo può testimoniare la mia vita, i miei giorni ne sono la prova e se funziona con me può funzionare con tutti. Garantito.

Una cosa vorrei davvero: vorrei che negli occhi dei ragazzi che mi stanno di fronte in questi giorni ci fosse posto per la Speranza. Molto posto, così tanto da far loro dimenticare quel cinismo che si sono imposti perché la vita li ha delusi. Se non imparano a dare il giusto peso alle delusioni come faranno a vivere una vita piena di benessere?

Diamo loro il buon esempio, per favore.

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(42) Illusioni

Non è che ci si illude senza esserne coscienti. Una parte della tua mente (magari il nocciolo più intelligente) lo sa che ti stai illudendo, ma decide di rischiare.

Le illusioni non fanno male, sono le disillusioni che ti possono uccidere. Bisogna ricordarlo, perché altrimenti togliersi tutte le illusioni di dosso può diventare la battaglia eterna ed eternamente persa. Che fa male uguale, anzi, forse fa ancora più male.

A volte mi illudo che le cose possano andare proprio come io le voglio, le penso in un certo modo e mi racconto che così andranno. Solo perché non so pensarle diversamente, non so gestirle diversamente. Solo perché non so.

Nel “non so” ci sta tutta la miseria della mia condizione umana, che è quella di tutti gli esseri viventi, né più né meno. E visto che non so: invento. Invento e mi incanto. Non ci posso fare niente e, a dirla tutta, non voglio fare niente per cambiare questa dannata abitudine.

Mentre vivo la chimera mica sto male. E’ dopo che diventa difficile controllare la caduta del morale, quando arriva la botta in testa: il disinganno.

Va bene, ormai è successo talmente tante volte che dovrei averci fatto il callo, ma avrei bisogno di trovare il modo per disintegrare la bestia della delusione. Devo farla fuori, quella mi stordisce davvero.

Non per sempre, però. Mi ripiglio sempre più in fretta, pronta per un altro incantamento.

Boia chi molla!

(…) voglio vivere così

col sole in fronte

e felice canto

beatamente (…)

“Voglio vivere così” di Andrea Bocelli

b__

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