(664) Acquerello

Stendo il colore a veli, ecco cosa faccio. Una cosa delicata e come tale deve essere trattata. Non è così però che viene accolta. Non c’è cura in chi osserva questo mio fare, sembra che sia cosa da nulla, ma velare la realtà con i colori è il mio modo per rendere tutto più bello. Anche quando il bello si fatica a trovarlo. Questo faccio. Cosa da nulla, mi ripetono, ma io continuo a farlo perché un altro modo di vivere non l’ho ancora trovato – molto probabilmente. Il modo di vivere degli altri non mi convince, preferisco il mio. Mi auguro che funzioni per tutti così, deve funzionare così per tutti perché tutti possano abbracciare quella sottile libertà che è scelta e che è colore.

Certo che in sere come queste vengo annullata dall’idea di inutilità che è sempre lì in agguato, ma sono decisa a continuare. Stendo un velo di colore e provo a rendere concreta quella sfumatura che sfugge al controllo. Se riesco a riportarla sulla carta così come l’ho sentita forse ho ancora una speranza.

Comprendere troppo gli intrecci umani non è sempre una buona cosa, comprendere non è sempre una buona cosa. Solo che girarsi dall’altra parte non mi è possibile. Non mi è proprio possibile.

Tolgo le asprezze, spennello ombreggiature, l’acqua aiuta a non marcare troppo i contorni, toglie alcuni ostacoli. Non posso smettere di farlo, non posso smettere di comprendere, posso farlo meglio. Posso solo cercare di farlo meglio. La stanchezza, l’amarezza, l’arrabbiatura, tirano calci che mi fanno vacillare eppure intingo il pennello nel colore che sento amico con gocce che l’aiutano a scivolare sul foglio e sia quel che sia.

Dormirò il mio sonno, anche stanotte, senza timore.

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(472) Mappa

Evidentemente devo rifarmi la mappa. Sono cambiati i confini, sono cambiati i riferimenti, sono cambiate le strade, sono cambiate pure le cabine telefoniche dove fermarsi a chiedere aiuto. Va bene, sono cambiata io e la mia mappa obsoleta è diventata inservibile, devo buttarla.

Buttarla, però, mi fa male al cuore, e se poi mi dimenticassi di com’ero? Chi mi ripiglia più?

La piegherò con cura e la riporrò nel mio scrigno, quello che porta con sé più anni, quello che mi può capire meglio. La comprensione non è certo ancora in cima alla lista delle mie priorità, ma con gli addii serve tutto ed è lecito usare tutto pur di non soccombere.

Temo si tratterà proprio di una mappatura al millimetro, da cima a fondo e da fuori a dentro, non la scampo stavolta. Ho bisogno di capire cosa c’è, cos’è rimasto, e cosa non c’è più. Ho buttato un sacco di roba, e di quella mi ricordo, ma sono sicura che le altre cose perse ormai sono andate senza intenzione di ritornare e prenderne nota non sarà cosa leggera.

C’è di buono che la materia prima, seppur plasmata, ha ancora forma riconoscibile – almeno a me stessa – e questo mi basta. Me lo posso far bastare, ho imparato a fare cose ben peggiori sopravvivendo contro ogni previsione. Allora avanti, carta e penna, pennarelli per segnare i punti strategici con colori diversi – seguendo rigorosi criteri d’importanza. Le zone rosse rimangono off-limits? Vedremo. Le zone verdi rimangono spazi accessibili? Vedremo pure questo. Cercherò di non lasciarmi scappare troppe cose, ma sono certa che non riempirò tutta la mappa di dettagli futili. Ho imparato che andare per sommi capi, quando i sommi capi sono le fondamenta, va bene. Non per trasformare l’evento nella sagra delle banalità, ma per impiegare meglio l’energia che rimane.

C’è un tempo per ogni cosa, giusto? Bene, ora è tempo di mappa nuova. Via!

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