(663) Basilico

Ho sempre apprezzato il basilico, non ho mai mangiato volentieri il pesto. Vado a scoprire dopo anni e anni e anni che mangiare le foglie del basilico mi provoca enormi e dolorosissime coliche. Questo per dire che pensavo fosse innocuo e invece per me è veleno.

M’è successo anche con certe persone. Pensavo mi facessero bene, ho scoperto che mi stavano avvelenando. E non è successo una volta sola, ci sono cascata più spesso di quanto io stessa sia disposta ad ammetterlo.

Una volta pensavo che più sbagliavo e più ero sbagliata, dopo anni e anni e anni di errori ho cambiato idea. L’ho fatto per non dovermi togliere di mezzo, probabilmente – lo chiamerei istinto di sopravvivenza.

Questo pensiero parte dal basilico e come al solito si butta a testa bassa nella vasca senza fondo della mia mania introspettiva, d’altro canto funzionano così questi miei giorni, ma penso sia più giusto guardare me stessa e tirare fuori da me le cose piuttosto che puntare il dito contro gli altri e tirare fuori le loro cose. Non sono un’invadente per natura, lo divento quando mi si lascia lo spazio, quando mi si invita a esserlo.

Da me si può arrivare all’intero Genere Umano con solo un balzo: capita spesso che ci nutriamo di qualcosa che pensiamo ci stia facendo bene e invece ci sta togliendo poco a poco, a volte anche senza dolore evidente, la vita. Accorgersene in corso d’opera è normale, far finta di nulla e arrivare alla morte pur di non ammettere che ci siamo sbagliati è da idioti.

Non ci sbagliamo perché siamo sbagliati, ma per un mero calcolo delle probabilità. Ci sono sempre più probabilità che quel che crediamo si riveli un’illusione di quelle che si scoprono come solide verità. E comunque sia: il basilico non lo mangio più, al massimo ne apprezzo l’aroma.

Ho imparato, sembra. E con soltanto una poderosa colica. I messaggi diretti son quelli che danno i migliori risultati, a quanto pare.

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(659) Pavone

C’è solo il pavone che può permettersi di fare il pavone. Primo perché lo è, e nessuno lo può confutare, e secondo perché è bellissimo e anche questo è inconfutabile. Chiuso il discorso.

Parliamo di cosa dovremmo fare davanti a chi pavone non è ma lo fa. Tu stai lì e lo guardi sfoggiare una miserevole boria e ti vien voglia di dargli una testata. Non lo fai. Un po’ perché il mal di testa conseguente te lo vuoi evitare, un po’ perché la violenza se puoi te la risparmi. Ma ti rimane la voglia, quello sì.

I vanagloriosi sono un popolo vasto, vastissimo. Un vero e proprio ammasso di decerebrati che fa sfoggio di tutto quello che non possiede: intelligenza, sensibilità, eleganza, stile. Questi gap incolmabili sono enormi buchi neri che si palesano a chiunque sia dotato di un minimo di decenza, pudore, buongusto (oltre che intelligenza, sensibilità, eleganza e stile), e lo spettacolo è impressionante. Non ci si può credere di quanto sia profonda la pochezza d’animo di questi campioni di ben poca umanità. 

Trovare un modo efficace per far chiudere loro la coda una volta per tutte ed evitare in contemporanea la violenza fisica, secondo me, non è umanamente possibile. Non la capiscono che sono fuori luogo, che sono disgustosi, che sono dei cialtroni senza sostanza, che sono tenuti per decoro a starsene zitti. Non la capiscono. Non possono. Averne compassione, forse, è la strada. Ma per riuscirci bisognerebbe essere evoluti, io non lo sono. Io mi fermo alle mani che prudono e alla voglia di mollargli una testata sul naso. Mi fermo lì, al pensiero. Ma non perché sono buona, soltanto perché non voglio sprecare energie preziose. Mi ritraggo per mancanza di coraggio? O per pigrizia? O per indifferenza per le sorti del genere umano? Non lo so. 

Non sono indifferente, in realtà, forse sono soltanto stanca di fare la Don Chisciotte della situazione. E poi mi fa male la testa. 

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(549) Show

Ognuno fa il suo. Non è detto sia del tutto edificante, bisognerebbe non darlo per scontato. Bisognerebbe partire da una logica diversa dal solito, quella che ti impone di farti vedere al massimo della forma. Bisognerebbe volare bassi.

Parti a razzo e pensi di sorprendere tutti, sei sicuro che rimarranno a bocca aperta, in estasi. Ti pensi Madonna (se sei ateo) o La Madonna (se sei cristiano praticante), in breve ti pensi come non necessariamente sei, forse a come ambiresti essere. Credo che questo sia il vero peccato.

Se procedessimo invece con altro criterio, quello del volo rasente e poi piano piano risalissimo le correnti ascensionali (citando qualcuno, qualche tempo fa) per farci vedere al massimo del nostro splendore, magari lo stupore sarebbe reale e forse durerebbe più a lungo.

Mi sta bene la grande mascherata, nel senso che la giustifico, ma il buongusto deve avere la meglio sulla baracconata. Sempre. Perché non c’è bisogno di andare oltre, non c’è bisogno di fare i fenomeni, non c’è bisogno di dichiarare la propria superiorità. Se il bisogno c’è è perché non siamo fenomeni e non siamo superiori, tutt’altro.

Ora: che lo si faccia è un dato di fatto, che la maggior parte delle volte il nostro buonsenso non riesca a limitare l’enfasi del nostro show è un dato di fatto, che ci possa andare bene nove volte su dieci è un dato di fatto, ma…

Ma anche la Giustizia Divina è un dato di fatto, ha lastricato di prove ogni secolo d’esistenza del Genere Umano, e arriverà comunque il giorno in cui il nostro show non verrà tollerato, non verrà perdonato, non verrà fatto passare. Verrà il giorno in cui durante uno dei nostri maestosi show qualcuno ci darà un bel pugno sul naso. Quel giorno dovremmo ricordarci di incassare con onore. Non si piange, non si urla, non si bestemmia, non si ribatte, non ci si giustifica, non si incolpa qualcun altro. Quel giorno ci beccheremo il pugno sul naso, il naso sanguinerà, e noi staremo zitti, a testa bassa a prenderci in pieno tutta la vergogna che meritiamo.

Perché “Show must go on” è una canzone dei Queen, e il nostro show dovrebbe terminare ora. Le discussioni stanno a zero. Bisognerebbe capirlo una volta per tutte.

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(415) Evoluzione

Indietro non si torna, evolvere è l’unica strada.

Questo delizioso aforisma l’ho coniato quando avevo sedici anni. Un secolo fa, in pratica. Se devo essere franca, e non vedo motivo per cui io non debba esserlo, l’unica cosa che mi rende davvero orgogliosa di me stessa è proprio questa: ho mantenuto fede alla promessa.

Guardando alle mie origini posso affermare tranquillamente che l’evoluzione c’è stata. Oddio, molto inferiore alle mie ambizioni, ma tutto considerato in linea con la mia indole e le mie capacità (mai troppe, mai splendide).

Il nocciolo della questione sta proprio qui: imporsi un’evoluzione anziché adagiarsi e rischiare un’involuzione è già di per sé un modo per salvarsi l’anima. Che è qui che noi ci salviamo l’anima e se aspettiamo troppo diventa tardi, dovrebbe esserci chiaro il concetto anche se lo ignoriamo caparbiamente.

Evoluzione mi piacerebbe fosse sinonimo di salto quantico, ma nel mio caso non lo è e questo è duro da digerire, ma rassegnarmi soltanto perché la Natura non mi ha dotata di genio (in nessun campo) è sempre stato fuori discussione. Una sorta di amor proprio che si può confondere con la presunzione – lo so – ma che in fin dei conti non ha mai danneggiato nessuno se non me (in alcune occasioni) e mai troppo seriamente.

Anche solo per il fatto che ora sto scrivendo, il mio credo ha trovato soddisfazione. Scusate, non è cosa da poco e non è cosa ovvia. Ammiro le persone che sanno evolvere il proprio pensiero senza farsi sconti di sorta, mantenendo la pulizia interiore e la limpidezza della visione. Sono la mia ispirazione, guardare a loro mi rafforza la speranza. In cosa? Nella salvezza del Genere Umano.

Se lo guardo troppo da vicino non ci fa una gran bella figura, ma quando zoommo sulle persone giuste l’impennata di ottimismo è evidente. Sono convinta più che mai che noi siamo qui per evolvere la nostra anima e con questa prospettiva tutto sembra avere un senso, tutto sembra avere il suo posto. Cade la rabbia, cade la rogna, cade la voglia di mandare tutto al diavolo. Evolvere significa avvicinarsi al tiepido abbraccio della vita, senza soffermarsi in dettagli da nulla, senza discussioni, senza lamentele.

Al lavoro, ordunque!

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(17) Riparo

Credo che le persone arrabbiate siano quelle a cui manca un riparo, un luogo dove soltanto essere e basta. Se ti manca non puoi che provare paura e, come reazione, rabbia. La Rabbia, rumorosa o silente che sia, è sempre pericolosa.

Ogni Essere Umano ha bisogno di un riparo, dal resto del Genere Umano, perché il resto è veramente tanto. Una quantità gigantesca di Esseri Umani. Farebbe paura a chiunque. Se in una giornata ipotetica, te ne capitasse addosso un carico da 50 incavolati neri, avresti tutti i motivi per sbroccare. Soprattutto se a inizio giornata eri di buon umore.

Ne sono proprio convinta: dai a un Essere Umano un riparo e lo vedrai rilassarsi. Tutti ne hanno diritto, tutti gli Esseri Viventi (animali e piante comprese).

Il fraintendimento, però, sta nel cercare questo riparo al di fuori di noi stessi. Non è di certo l’isola tropicale o il Monte Ararat (tanto per fare un paio di esempi idioti) il rifugio che ti renderà sereno. Sei tu.

Costruirsi un riparo, un rifugio in cui rintanarsi, non è cosa da due minuti, ci vuole perseveranza. Devi guardarti bene dentro per capire come sei messo, farti le domande giuste – perché sono così velenoso nei confronti del resto del mondo? (se s’inizia da lì viene meglio, è più veloce, secondo me) –  e devi anche risponderti con sincerità. Poi cominci a fare pulizia e nel mentre ti tieni monitorato. Vedi cosa cambia dentro di te.

Appena ti accorgi che le cose che lasci andare si portano via, pezzo dopo pezzo, la tua rabbia, ti viene voglia di continuare.

Appena ti accorgi che si sta meglio lì dentro, ora che c’è meno ressa di cose e sentimenti, ti viene voglia di mantenere il tuo riparo pulito.

Appena ti accorgi che respiri meglio, ti rendi conto che prendersela con il resto del mondo, che vive nel caos e nella sporcizia, non fa bene a te e non aiuta il resto del mondo.

Nel tuo riparo, sei al sicuro.

Non sei più arrabbiato, vero?

Ecco.

b__

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