(803) Insieme

La Treccani a questa voce dà il meglio di sé, a mio parere.

Insieme, come assieme o congiuntamente o in compagnia di, ha un significato che mi piace, ma che non riesco a sostenere alla lunga. Ci metto sopra un sacco di postille (a chi? per fare cosa? per quanto tempo?) e questo riduce drasticamente l’entusiasmo sulla questione. Non ci posso fare nulla, la vecchiaia sta rosicchiando il meglio del mio buon carattere originario.

Insieme, come contemporaneamente, mi riporta alla brutta abitudine di fare troppe cose, cose che si accavallano e che mi sfiniscono. In realtà, vorrei non fare tutto insieme, ma non ho ancora trovato il modo per fare una cosa per volta. Forse migliorerò, la vecchiaia toglie forze ed energie e in qualche modo ci si ingegna a fare poco e meglio. Ho speranza.

Insieme, come reciprocamente o a vicenda, quando prendi un impegno di comune accordo con qualcuno e ti proponi un arrivo, una meta. Mi piace, l’idea mi piace molto, sono rari i complici giusti con cui partire all’avventura, quelli che sanno mantenere la parola e non ti mollano quando le cose si fanno difficili. Riconoscerli prima a volte non ci si riesce, l’esperienza è sempre quella che può riuscire a metterti in guardia per tempo e la mia si è allenata un bel po’. Sono a bolla in questo caso.

Insieme, come un’aggregazione o una pluralità di elementi che si possono considerare un tutt’uno o un complessivo/globale sguardo, inteso in questo modo mi riporta a tutto quello che ho fatto fino a oggi, un coinvolgere intenti e sogni per realizzare piccole cose che potessero nutrire e gratificare tutti. Tentativi di fusione armonica che dieci volte su dieci ha funzionato, nove volte su dieci non gli è stato riconosciuto il valore nell’immediato. Fare il cinese sulla riva del fiume che aspetta passare il cadavere, ormai, è il mio must. Triste, ma vero.

E poi c’è l’insieme di scritti che si va a comporre, a redigere, a stilare, a scrivere, che utilizza quello che so fare e che voglio fare. Ancora non lo so il perché, ma forse è tardi per farsi certe domande. Forse è meglio metterle da parte e far finta di avere già le risposte e che le risposte siano abbastanza per continuare. Insieme? Sì, ma anche da sola. Ormai anche da sola, non riuscirei comunque a fermarmi.

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(674) Umiltà

Di certo una dote, rara. Eppure mi sto domandando da qualche tempo quante facce può avere l’umiltà e se mi piacciono tutte. Siamo soliti pensare che ciò che non è umile è falsamente umile, e non a torto, ma la reale umiltà credo non abbia solo un modo per esprimersi e una sola faccia da mostrare.

Beninteso, non voglio dire che l’umiltà sebbene multifaccia e multiforma sia da dividersi in vera e falsa o buona e cattiva, dico soltanto che non penso che l’umiltà sia soltanto dimostrata dal prostrarsi, dalla mancanza di orgoglio, dal prendere le distanze rispetto alle proprie sicurezze personali. Non lo penso.

In realtà, mi imbarazza chi si prostra e chi si mette totalmente da parte perché non si pensa degno di considerazione. Sento dal profondo delle viscere che non va bene, che nessuno dovrebbe, che la dignità intatta e l’umiltà possono e devono abbracciarsi per completare l’uomo e la donna. Non si possono scindere senza causare uno scempio.

Non nutro la modestia, mi risuonerebbe dentro come una campana sbeccata. Non nutro l’arroganza, mi schiaccerebbe a terra piena di vergogna. Non nutro la superiorità come sentimento, mi ridurrebbe in cenere prima del tempo. Mi piace, però, valutare per bene i miei limiti e le mie forze, mi piace guardare le persone negli occhi – fossero il Papa o un neonato – considerandomi alla pari come Essere Umano. Mi piace riconoscere i meriti, i pregi, le capacità, i talenti, le genialità dei miei simili e imparare da tutti. Mi piacerebbe anche che le mie qualità fossero riconosciute senza doverle ostentare, perché ostentare è una di quelle cose che mi mette fortemente a disagio e lo evito più che posso.

Questa è la mia faccia dell’umiltà, non quella che i Santi potrebbero vantare, ma la mia personale modalità per pormi nei confronti del mondo con la presenza di cui sono capace – né più né meno. Basta test, basta chiedere il permesso e basta chiedere scusa. Ho una faccia soltanto e questa contiene versioni molto personali di pregi e di difetti. Come tutti, semplicemente come tutti.

 

 

 

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(275) Fumo

A far andare in fumo un progetto, un sogno, è un attimo. Ricominciare daccapo potrebbe richiedere una vita. Un’altra vita. Più che altro ti  costringe a chiederti se lo vuoi veramente, se puoi farcela o se è solo una storia che ti racconti.

Trascorrere così gli anni e vederli andare in fumo senza aver nulla tra le mani, se non te stesso, è disarmante. Ti toglie le forze.

Ho sempre pensato, però, che le cose che volevo avere non mi fossero dovute, che visto che valevano tanto dovevano per forza avere un prezzo alto e che non potevo delegare qualcun altro per il pagamento. Questo mi dicevo, ecco perché ho sempre trovato il modo di ricominciare, di progettare piantando bene i piedi per terra, sognando puntando alla Luna però.

Avevo ragione. Ora, in questo preciso istante, voglio scriverlo qui e dirlo a chiunque si trovasse a passare da qui (per abitudine o per caso): avevo ragione. Quindi se vi mancano le forze, se vi sentite stropicciati e state pensando di abbandonare i vostri progetti e di negare i vostri sogni: non fatelo, non ancora.

Aspettate ancora un po’, ricominciate ancora un po’, progettate ancora un po’, sognate ancora un po’. La vita vi darà ragione. Fidatevi di me. Fidatevi di quello che sentite in fondo al vostro stomaco: seguite quella cosa lì e rimandate la resa.

Avete ragione voi, solo che ancora non potete saperlo, ma io lo so. Non è fumo quello che vedete, è solo un po’ di nebbia, ma quella prima o poi si stanca e si ritrae. Rimanete lì e vedrete che bel paesaggio c’è sotto. Se è così per me può esserlo per tutti. Per tutti.

 

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(270) Deserto

Tra tutti i deserti non so decidere quale sia il più terribile. A modo mio credo di averli attraversati tutti. L’unica cosa che mi renderebbe il ricordo insopportabile sarebbe accorgermi che il mio passaggio non ha lasciato tracce, che la sabbia, il ghiaccio o la terra hanno già cancellato il mio cammino. Come non fosse mai successo.

Mi rendo conto che è ridicolo, ma mi sembrerebbe di aver sofferto-lottato-sanguinato per nulla, come se non fosse mai stato. Solo me stessa come testimone, come prova, come memoria. Potrei anche dubitare, a un certo punto, che sia accaduto davvero. Che quel deserto sia davvero esistito. Come fare per uscirne? La pazzia.

Di ogni deserto ho apprezzato la durezza, senza cedimenti. Anche se sei sul punto di soccombere, un deserto non si muove a compassione, ti toglierebbe la possibilità di farcela con le tue sole forze. D’altro canto lui è lì per quello. Un deserto ti dà dei segnali di vita, ma non te la offre come se ti fosse dovuto qualcosa. Quale verità può fare più male se non quella che ti sbatte in faccia che niente ti è dovuto e che sei qui per guadagnarti i privilegi che stai reclamando?

Ogni deserto fa di te un niente, tu a quel punto devi scegliere: arrenderti all’evidenza o immaginarti migliore e quindi capace di arrivare all’oasi? Dipende tutto dalla storia che ti stai raccontando, viaggiatore.

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