(1078) Piuttosto

Ho sempre pensato che offrire le condizioni migliori per far sì che una persona possa dare il meglio di sé sia la cosa giusta da fare. Lo penso ancora. Lo penso al 100%, credo sia l’unico modo per scoprire realmente la natura delle persone. È nel benessere, nella serenità che una persona si mostra davvero.

Quando si è sottopressione, quando devi sopravvivere, sei guidato dall’istinto e fai di tutto per cavartela in qualsiasi modo. Sorridi se sai che questo ti porterà beneficio, digrigni i denti se devi farti valere, insomma fai quello che devi fare per restare a galla, restare vivo.

Quando la tua vita non viene messa in discussione e sei tranquillo, allora e solo allora, decidi cosa fare e come reagire alle cose, alle persone, alle situazioni, in autonomia. Pensi e dici. Pensi e fai. Non hai interesse alcuno nel fare o nel dire, ti senti libero di agire e di mostrare chi sei e cosa vuoi perché sai che il tuo Essere non è minacciato e non viene messo in discussione.

La gentilezza è reale. La crudeltà è reale.

Quello che scopri delle persone quando si sentono intoccabili non ha prezzo. Il come rispondono a un gesto gentile o a un’aggressione ti dà l’esatta sostanza di quanto amore hanno dentro di sé e di quanto amore sono disposti a elargire al mondo che li circonda.

Ho le prove. Non mi sono mai sbagliata. E lo dico con tanta amarezza perché spesso è una sconfitta per aver riposto la mia fiducia dove non dovevo. Però il metodo funziona e ve lo consiglio fortemente. Meglio la verità, meglio avere ben presente la sostanza delle cose e delle persone, piuttosto che costruirsi una bugia e dannarsi l’anima per non farla sbriciolare miseramente al minimo sussulto.

‘notte.

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(950) Performance

Come prima di uno spettacolo: la pressione aumenta e la tensione si fa densa e appiccicosa. Come avere dentro quella plastica d’imballaggio con le bollicine e tu le scoppi una ad una e non ti fermi finché non le hai passate tutte, una ad una. Come un presagio di disfatta, come una speranza di rivalsa, come un aereo da prendere. Ecco, così.

Se non lo hai provato non sai. Non sai che vorresti allontanarti da te il più in fretta possibile, che vorresti teletrasportarti in un altro corpo e un’altra mente, che vorresti delegare a chiunque ti passi davanti ogni singolo atomo della tua esistenza. Lasciatemi in pace, finitela di tormentarmi.  Ecco, così.

E c’è, come sempre, un buon modo di affrontare questo stato d’animo e uno meno buono. C’è uno pessimo e uno ancora peggiore. Le variazioni sul tema possono essere diverse e di diversa consistenza, dipende da quanto vogliamo pensarci e da quanto siamo disposti a sbatterci per sistemare le cose dentro di noi. Ci vuole metodo anche nel fare le pulizie. 

Allora, so benissimo che è soltanto un passaggio, che in linea di massima non sto così tutto il tempo, e che tra qualche giorno si sistemeranno le cose e io potrò finalmente scrivere. Lo so. Eppure rimane il dubbio che l’Apocalisse si presenterà alla mia porta e che suonerà con tono allegro fingendo di essere lì per caso e che tutto finirà in un istante, le mie paure più bastarde si concretizzeranno in contemporanea e mi toglieranno il senno. 

So anche che tutto andrà bene appena sentirò in un angolo del mio orecchio Lucio Battisti che mi canticchia “lo scopriremo solo vivendo” e io avrò la voglia matta di dargli una testata. Solo allora avrò ripreso possesso di me stessa. 

Attendiamo pazientemente.

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(814) Tramonto

Cessa il fare-fare-fare e si instaura dentro di te il sollievo. Ce l’abbiamo fatta a concludere un’altra giornata, in modo onorevole il più delle volte, se non altro perché siamo ancora vivi. Non è poco di questi giorni.

Si ripongono le armi – o così dovrebbe essere – e si ricerca quella condizione mentale più vicina alla pace possibile (ammettiamo che c’è anche chi la guerra se la porta dentro e ovunque, ma non tutti, santocielo, non tutti). Quando si vive il finire delle cose della giornata c’è uno sfinimento (benefico se la giornata è stata gratificante, meno se è stata un disastro) che ti fa chiudere tutto fuori. Se non altro per darsi tregua, perché di una tregua c’è bisogno. 

Il punto, forse, è: quanto riusciamo a darci tregua?

Se lo chiede una che non l’ha mai presa troppo in considerazione e ne sta pagando le conseguenze. La domanda nasce, evidentemente, da una necessità. Impellente, aggiungerei. Svegliarsi prima no? Evidentemente no. Ho i miei tempi, giurassici è vero ma sono una fan accanita del meglio-tardi-che-mai (s’era capito?).

Questa mia nuova prospettiva – che vede protagonista LA TREGUA – mi sta rivoluzionando per bene i tracciati mentali che si erano ossidati e che mi implorano di recuperarsi in lucidità. Un lavoro immane. Un lavoro che prima inizia e meglio è. Un lavoro che inizia ora. Nel senso che non posso più rimandarlo, non posso più procrastinare un vitale processo che avevo fino a questo momento sottovalutato [NB: se non la prendo così, questo buon proposito finisce nel dimenticatoio tra tre-due-uno… eh.].

Questi miei risvegli, prendendoli di petto, hanno sempre una certa portata: strutturazione, calendarizzazione, esecuzione. Il tutto comporta una pressione impressionante (e la pressione sa benissimo quanto può diventare impressionante, usa la cosa a suo vantaggio ovviamente). Il mettermi sotto pressione nel prendermi una tregua è esilarante. Devo proprio resettare i neuroni, uno a uno, e vedere cosa resta di me. Non nego di essere preoccupata. 

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(494) Xografia

Ho trovato sul dizionario questo termine e mi ci sono innamorata. Non ho ben chiara la tecnica fotografica della xografia, ma me ne sono fatta un’idea del tutto personale – forse è per questo che l’ho raccolta e portata qui.

Ci sono certe parole che proprio ti chiedono di entrare. Sembrano stare lì da secoli solo per te, ti stanno aspettando. Non ti obbligano a scoprirle, ma a riempirle. Solitamente amo le altre, quelle che mi impongono una scoperta, ma queste qui che ti suonano vuote diventano irresistibili se quello che fai è scrivere. Ti devi inventare immagini apposta se non hai appigli.

Ci sono immagini nella mia mente che potrebbero assomigliare a magnifiche xografie.  Molto probabilmente, diventerebbero ridicole qualora le trasformassi in realtà e proprio per questo posso tenermele dentro, al sicuro, per sempre. Nessun obbligo di sorta, le alimento con il sogno senza provare l’urgenza di concretizzarle. Che sollievo!

Credo che quello che immaginiamo possiamo crearlo, magari non tutto subito e non tutto facilmente, ma possiamo farlo se lo immaginiamo con tutte le nostre forze. Spesso le forze ci mancano, però. Spesso ci vengono tolte da chi ci sta attorno e dal posto in cui viviamo. In realtà, mancano soprattutto dentro di noi e quel po’ che c’è può venire facilmente portato via dal primo che passa. Partire dal presupposto che possiamo immaginare e realizzare quello che immaginiamo può essere pericoloso se non supportato da una visione integrale della faccenda: ci devi mettere del tuo. Altrimenti è soltanto un sogno e i sogni sono desideri troppo delicati per sopportare la pressione terrena – li devi alimentare con ancora più attenzione o si sciupano e si polverizzano inesorabilmente. Ma mi sembra di averlo già scritto… probabilmente sono al secondo giro degli stessi pensieri, considerato che questo è il post 494, e via di loop!

Oggi ho riportato a galla il mio sogno più grande. Non lo scriverò altrimenti diventa pesante e perde i suoi colori, ma mi sono ricordata di questo sogno, questa immagine di me e mi sono stupita ci fosse ancora e così vivo. Una strepitosa xografia che neppure gli ultimi vent’anni hanno saputo spazzare via. Lo trovo incredibile e rassicurante. Non so perché io me lo sia ricordata proprio oggi e proprio ora, forse è solo un caso, ma ne sono felice.

Basta poco per ritrovarsi, a volte.

 

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