(899) Vecchiaia

Pensavo sarei invecchiata meglio. M’immaginavo sarei invecchiata meglio. Sorridente. Cos’è andato storto? 

Un paio di ipotesi magari le posso anche azzardare e non mirerei troppo lontano dal bersaglio, ma in realtà non sta lì il problema. Il punto focale della questione è capire cosa posso fare per porci rimedio.

Lo ignoro bellamente.

Non si tratta di fare una cosa piuttosto che l’altra, non si tratta di fare. E quando non si tratta di fare, la sottoscritta va in palla. Fare mi viene bene, pensare mi incasina. Penso tanto e male. Questo non posso cambiarlo. Posso cambiare l’azione del mio pensare male, ovvero penso-male e poi faccio il contrario (così funziona di solito), ma è il pensiero che condiziona l’invecchiamento.

Dovrei trovare il modo di invertire il senso, di provocare un cortocircuito alla rete neuronale in modo che qualcosa si sconvolga e la dinamica mia solita cambi. Si chiama elettroshock, ma mi spaventa. E se poi non mi riconoscessi più?

Rimane il fatto che questa amarezza mi spegne il sorriso e invecchiare così non va affatto bene. La mia ingenuità? Pensare che quell’essere giovane, quella voglia di abbracciare il mondo e conquistarlo, sarebbe durata in eterno. Non ero io a sentire, era la giovinezza a provare l’infuocarsi del sangue e la felicità che fa scoppiare il cuore soltanto perché ci sei e vivi.

Non ero io. Io sono quella che ne è rimasto. E a dirla tutta non è granché. Di questo mi dispiaccio. E con questo devo farci i conti, tutti i giorni. Soltanto perché ci sono e vivo.

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(803) Insieme

La Treccani a questa voce dà il meglio di sé, a mio parere.

Insieme, come assieme o congiuntamente o in compagnia di, ha un significato che mi piace, ma che non riesco a sostenere alla lunga. Ci metto sopra un sacco di postille (a chi? per fare cosa? per quanto tempo?) e questo riduce drasticamente l’entusiasmo sulla questione. Non ci posso fare nulla, la vecchiaia sta rosicchiando il meglio del mio buon carattere originario.

Insieme, come contemporaneamente, mi riporta alla brutta abitudine di fare troppe cose, cose che si accavallano e che mi sfiniscono. In realtà, vorrei non fare tutto insieme, ma non ho ancora trovato il modo per fare una cosa per volta. Forse migliorerò, la vecchiaia toglie forze ed energie e in qualche modo ci si ingegna a fare poco e meglio. Ho speranza.

Insieme, come reciprocamente o a vicenda, quando prendi un impegno di comune accordo con qualcuno e ti proponi un arrivo, una meta. Mi piace, l’idea mi piace molto, sono rari i complici giusti con cui partire all’avventura, quelli che sanno mantenere la parola e non ti mollano quando le cose si fanno difficili. Riconoscerli prima a volte non ci si riesce, l’esperienza è sempre quella che può riuscire a metterti in guardia per tempo e la mia si è allenata un bel po’. Sono a bolla in questo caso.

Insieme, come un’aggregazione o una pluralità di elementi che si possono considerare un tutt’uno o un complessivo/globale sguardo, inteso in questo modo mi riporta a tutto quello che ho fatto fino a oggi, un coinvolgere intenti e sogni per realizzare piccole cose che potessero nutrire e gratificare tutti. Tentativi di fusione armonica che dieci volte su dieci ha funzionato, nove volte su dieci non gli è stato riconosciuto il valore nell’immediato. Fare il cinese sulla riva del fiume che aspetta passare il cadavere, ormai, è il mio must. Triste, ma vero.

E poi c’è l’insieme di scritti che si va a comporre, a redigere, a stilare, a scrivere, che utilizza quello che so fare e che voglio fare. Ancora non lo so il perché, ma forse è tardi per farsi certe domande. Forse è meglio metterle da parte e far finta di avere già le risposte e che le risposte siano abbastanza per continuare. Insieme? Sì, ma anche da sola. Ormai anche da sola, non riuscirei comunque a fermarmi.

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(683) Impulso

Ognittanto mi viene l’impulso di prendere la bicicletta e pedalare. Non lo faccio da anni, ma ognittanto ci penso e se avessi una bicicletta a portata di mano lo farei. La inforcherei e inizierei a pedalare a più non posso.

Quand’ero bambina era una delle cose che mi piaceva fare di più, dal triciclo in poi, ogni giorno. Potevo prendere la bicicletta e pedalare nella corte (all’inizio), dopodiché ebbi il permesso di pedalare fino a scuola (che era in paese), poi fino a poter fare il giro dei paesi limitrofi (ero ragazzina) e infine alle superiori: via… alla conquista della città (che era distante all’incirca 17 km).

Il mio primo mezzo. Pedalare  incontro alla libertà era la mia gioia.

Sostituito a diciasette anni dal motorino e a diciannove anni dall’auto, che non sono da meno, anzi, l’ho piano piano abbandonata e mi dispiace. Mi succede anche ora, con l’auto, di avere spesso l’impulso di salirci e partire – e appena posso lo faccio anche – quindi immagino sia proprio una questione legata al come mi sento quando sono in movimento, quando la strada si fa mangiare dal mio passaggio e tutto quello che mi sta attorno cambia scivolando via, lasciandomi leggera.

Mentre crescevo ho dovuto imparare a dominare gli impeti, quelli che mi facevano partire in quarta senza curarmi delle conseguenze. Le conseguenze mi hanno insegnato che, magari, usare prima la testa non sarebbe stata una cattiva idea. Ok, ho imparato, forse fin troppo bene. Mi sono accorta che riesco a sedarli ancor prima che si affaccino in superficie. Significa avere il controllo, certo, ma questo controllo s’è digerito da tempo ogni entusiasmo. Possibile che si debba sempre rinunciare al bello per non finire nei guai?

Non so quanto mi convenga ripristinare la vecchia via, quella senza filtri. E quando si parla di convenienza è segno che la vecchiaia è già qui, ed è qui per restare. Aiuto.

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(665) Lucidità

Faccio fatica a mantenere il controllo. Ormai è un dato di fatto. Faccio fatica. Non significa che l’ho perso il controllo, significa che faccio fatica. Fatica. Fatica. Fatica. 

La fatica uccide la lucidità. Quindi in realtà ho perso la lucidità. Eccoci al punto.

Essere lucidi è essere veloci, agili, vigili. Una gran condizione per affrontare qualsiasi cosa il mondo ti butti addosso. Lascia stare l’intelligenza e la sensibilità, perché spesso sono proprio loro a minare la lucidità di pensiero. Un giorno un amico mi ha detto: “Sei talmente intelligente da risultare stupida”. Sbang. Estremizzare l’intelligenza non ti rende migliore, evidentemente. La sto ancora digerendo ‘sta cosa, comunque. Vabbé, piano piano, ho i miei tempi.

La sensibilità, che è propria di chiunque al mondo respiri (mondo vegetale compreso), riduce drasticamente la capacità di discernere, di comprendere, di tenere le briglie di una realtà che cambia e si stravolge a seconda dell’angolazione da cui la guardi. E siamo tutti in balìa degli eventi – volevo aggiungere un’ulteriore banalità, così da rendere evidente la mia stupidità (no, non l’ho ancora digerita).

Ritornando alla faccenda del controllo, ormai me ne sono fatta una ragione: tutto quello che riesco a maneggiare con padronanza si può contare sulle dita di una mano, una mano di tre dita – tipo Ben-nemico-del-mal (ndr. che tutti noi quarantenni conosciamo bene) – e mi rifiuto di trasformare questo limite in un cruccio. Va bene, me ne posso fare una ragione, non controllo un cavolo fritto da una vita e non cambierà mai, neppure con l’avanzare della vecchiaia. Amen. 

Ciò non toglie che la lucidità me la voglio riprendere, non so ancora come, ma voglio proprio riprendermela tutta. Al più presto. Grazie.

 

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(534) Moleskine

Oltre una cinquantina, chissà quante mila-pagine ho scritto in questi ultimi vent’anni. Chissà. Sono la mia memoria, per quando memoria non avrò più. Me l’immagino così la fine della mia vecchiaia: a leggere le pagine della mia vita a ritroso, finché mi cadranno gli occhi e mi si spegnerà il cuore.

La penna a volte corre, altre è trascinata con stanchezza. A volte la calligrafia è impeccabile, altre illeggibile. A volte i caratteri sono grandi e urlati, altre sono piccoli e deboli – come se volessero scomparire. A volte la punta della penna è grossa, altre sottile. L’inchiostro, però, è sempre nero. Il viola lo uso con parsimonia, quando sono felice, nei titoli.

Ne ho provate diverse: con la copertina morbida o rigida, a righe o a quadretti o con pagine bianche (le mie preferite), dimensione mini o classic o extra-large. La mia preferita è la Classic, copertina nera rigida, pagine bianche o a righe. Bianche per la libertà, a righe per l’equilibrio che spesso manca nella mia penna e nei miei pensieri.

A volte ho provato altri quaderni, ma non è lo stesso – chissà perché. Ritorno sempre a lei perché è come se mi conoscesse meglio, come se a nuova Moleskine non ci fosse bisogno di fare le presentazioni. Soltanto un “rieccomi qua”, poi sguardo sulla pagina e penna a tracciare linee d’inchiostro simili ai pensieri. Niente di più e niente di meno.

Moleskine dopo Moleskine la mia vita si compie. Strano, ma vero. Più reale delle ore che scappano via e di tutto questo via-vai che non trova pace e – temo – non trovi neppure un senso che sia stabile e che sia sicuro rifugio.

Mah.

 

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(410) Divertimento

Rifuggo il divertimento, mi fa proprio schifo. L’idea che devo uscire per divertirmi mi mette addosso una tristezza che piuttosto mi seppellisco sotto il piumone e ci vediamo domani. 

Non ci posso fare niente, è così e basta. Ci ho provato per tutta la mia adolescenza e per tutta la mia giovinezza, ho provato con tutte le mie forze a divertirmi e non posso negare che a volte ci sono anche riuscita. Ma non come tutti i cristiani sanno fare, il mio divertirmi ha connotazioni strambe – quanto lo sono io – e anche segrete. Infatti non è mia intenzione dire di più, né ora né mai, in proposito. Però…

Stasera Mr. Big in concert! Cioé, voglio dire: i Mr. Big con Faster Pussycat live! Il concetto divertimento qui viene superato da tutto quello che si porta addosso questa band e la mia musica rock in generale, ed è tanto, tantissimo. E poi la scoperta di una band irlandese – The Answer – che m’ha fatto andare sulla loro pagina facebook a cliccare like e scrivere due cose… ma quanti anni ho?! Mah!

La riflessione circa l’età che avanza, il corpo che crolla e la testa che se ne va a remengo – lentamente e inesorabilmente – lascia il tempo che trova una volta che sposti il tuo punto di vista e ti vivi quello che vuoi viverti. La questione dell’essere troppo vecchia per fare qualcosa mi ha sempre toccato profondamente, ma quando voglio fare una cosa mica penso alla vecchiaia, penso che la voglio fare e basta. Valutato che poi non me ne sono mai pentita, direi che da oggi si archivia la faccenda e non ci si pensa più.

Rooooooooooooooooock ooooooooooooooooooooooon!!!

 

 

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(206) Verità

La paura è sempre una parte della verità e solitamente è quella che non vogliamo vedere perché non crediamo di poterla affrontare. Ci raccontiamo di non poterla affrontare perché pensiamo che la verità ci ucciderà e così non la vogliamo proprio incontrare.

Non è una partita, non è un conflitto, è un incontro. Incontriamo la verità per prenderne atto e tirare avanti. Eppure, la possibilità di uscire allo scoperto, di piantarla di raccontarci balle è davvero fuori discussione: me ne resto qui al sicuro, fottiti verità.

E quella se la ride, sa che tanto prima o poi ripassiamo da lì, perché non c’è posto sicuro senza la verità. Che è una sola e che non sparisce se la ignoriamo. Lei è lì per restare.

Guardare con occhi pieni la verità te li svuota dall’inutile. A occhi liberi dall’ingombro e dalla sporcizia ricominci a vedere il mondo a colori, che è grande, davvero grande, tanto grande che spesso due occhi soli non possono bastare.

Ecco perché c’è anche il terzo occhio. Ma lì si va sul complicato e stasera mi basta sapere che mi sto avvicinando alla verità e la mia paura ha perso di significato e sono più viva che mai. Anche se dolorante, ma questa è un’altra storia e in quest’altra storia c’entra la vecchiaia che avanza. A passo sostenuto, per di più.

Vabbé, una cosa per volta che se no mi scoppia la testa. Per favore.

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