(898) Alleanze

Sotto ogni alleanza c’è una sorta di patto tacito: mi fido/ti fidi. Non ci si arriva per forza di cose, non è una concessione. Mi fido. Ti fidi. Reciprocità sostenuta da una visione comune, una condivisione di presupposti e di intenti. Un’alleanza si può costruire nel tempo oppure può nascere d’istinto, sulla scia di un entusiasmo che fa partire progetti (grandi, medi, piccoli/uno, alcuni, tanti, troppi).

Ti allei creando un ambiente dove lo scambio onesto di pensieri e di riflessioni non sia mai messo in discussione. Ci possono essere vedute differenti su questioni marginali, ma per il resto si va avanti insieme perché ci si è riconosciuti reciprocamente e su quella conoscenza si è fondato un micro-mondo dove ci si muove in libertà e nel pieno riguardo delle rispettive libertà.

Stima. Fiducia. Rispetto. Costruzione comune.

Così in famiglia, così in amicizia, così in amore, così in ambito lavorativo. Le alleanze ci sostengono e ci vincolano. Sostengono il nostro bisogno di non essere soli, allo sbando. Vincolano la nostra parola all’azione, un codice d’onore a cui non possiamo scampare. Ti ho guardato negli occhi e ci siamo capiti, soltanto quando finiremo di cercarci, di accoglierci, di capirci, la nostra alleanza smetterà di avere senso. Tutto il resto si può affrontare e risolvere. 

Mi fido. Ti fidi.

Ci credo. Ci credi.

Cos’altro serve? Eh. Servono le palle per esserci, per mantenere la parola e disciplinare la nostra azione. Serve coraggio, forza di volontà, pulizia, umilità, energia, fede. E tanto tanto altro. 

E impari che se la controparte non impegna lo stesso carico di sé stesso nell’alleanza, allora alleanza non è. Si tratta solo di comodità, di interesse, di superficialità mascherata con parole magnifiche e zero contenuto. 

Un’alleanza è un patto d’onore. Un patto d’amore. 

Mi fido, ti fidi?

Ci credo, ci credi?

Parliamone.

 

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(839) Struttura

Può non piacerti, ok. Puoi anche voler vivere alla selvaggia. Benissimo. Ma se non ti arrendi alla realtà dei fatti, sei finito. Quale realtà? Vivere improvvisando totalmente è per pochi. Per pochi davvero. Tutti gli altri si fanno male.

Strutturare un pensiero, strutturare una visione, strutturare un progetto: non è IL MALE.

La spensieratezza è del tutto sopravvalutata. Direi un concetto retrò, che doveva morire col movimento hippy. Vi siete divertiti? Ottimo. Cosa ne avete fatto della vostra vita? Sicuramente se ne avete fatto qualcosa di buono avete dovuto a un certo punto s-t-r-u-t-t-u-r-a-r-e in qualche modo il vostro progetto di vita. Non dico da lì alla fine dei vostri giorni, ma almeno di dieci anni in dieci anni sì. 

Tanto per avere una direzione, tanto per testare i risultati, tanto per concretizzare qualche idea, qualche desiderio. Qualcosa. Non togli spensieratezza alla tua esistenza, santocielo, acquisti densità. Senti più intensamente: dalla fatica alla gratificazione. E ti rendi conto che sai costruire e non solo mandare tutto a puttane perché non ne puoi più di doveri e costrizioni. In fin dei conti decidiamo noi quali siano i nostri doveri, fai il furbo e non darci il carico da dieci se sei cosciente che non potrai reggere a lungo. Insomma, un po’ di strategia!

E poi parliamo delle costrizioni: svegliarti al mattino alle 7 la senti una costrizione? Ti capisco. Bruttissimo. Morire di stenti è molto meglio, no? La vita è fatta di scelte, ingoia il rospo e agisci.

Le regole del gioco non le decidiamo noi, ma possiamo diventare degli abili giocatori mettendo in campo le nostre risorse in modo opportuno. Se poi l’idea di strutturare minimamente la tua esistenza non ti va proprio giù, allora ti auguro di essere uno di quei pochi che se lo possono permettere e vivere alla grande. Di cuore.

 

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(761) Relax

Il mio concetto di relax fa acqua da tutti i pori. Quello che per ogni Essere Umano di buonsenso è semplice pratica-del-non-far-niente, per me diventa motivo di macchinazione sui modi che potrei impiegare per fare qualcosa per distendere i nervi.

Ovvero: fare qualcosa per rilassarmi. Presente?

Dovrei io prendere in considerazione il non-fare-niente come pratica di rilassamento forse? Giammai! Devo leggere e sottolineare e commentare a bordo pagina, possibilmente, o devo guardare un film mentre controllo la posta e prendo appunti per possibili progetti futuri, o mentre passeggio mi immergo in riflessioni senza fondo sul da farsi per risolvere questa o quell’altra situazione e via discorrendo. In poche parole, se per me la meditazione è pura utopia, il relax è ridicola presa in giro. Non c’è mai una non-attività di qualsivoglia angolo del mio cervello, non c’è mai lo scorrere del tempo fine a se stesso, non c’è mai il cazzeggiare a fondo perso. Mai. Al massimo sospendo un pensiero ossessivo per sostituirlo con un altro finché mi stanco e riprendo in mano quello lasciato in naftalina il mese precedente.

Il relax dei sani di mente mi è precluso, arrendiamoci all’evidenza.

Se sotto la doccia mi vengono le idee migliori, se guidando mi compaiono davanti soluzioni geniali, se giocando a Toon Blast o a Wood Block ho squarci di lucidità dove poter costruire una strategia, tutto questo NON è relax. E se me ne sto seduta comoda, magari sdraiata, ascoltando musica e pensando al niente (madddove?! maqqquando?!), è ovvio che dopo tre minuti m’addormento… e neppure questo è relax, è dormire – che è tutta un’altra storia santiddio!

Va a finire che mi mancano proprio le basi. Le basi per vivere intendo. Ma che ve lo dico a fa’, ormai lo sapete meglio di me.

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(680) Dimostrare

Mettersi qui ogni sera per cercare di salvare un pensiero, uno soltanto, che sia frutto di riflessione meramente intelligente non è facile, lo confesso. Lo può essere per un mese, forse per due mesi, ma il gioco diventa sempre più duro con il tempo. Mano a mano che scavi dentro di te per trovare quel pensiero capace di trasformarsi in qualche riga di post, ti accorgi che o ti scopri un po’ o il gioco finisce e perdi la sfida. Dimostrare che posso farcela fa parte di quel solido know-how che mi sono costruita nei miei oltre 40 anni di vita, e non si scappa.

Dimostrare: che esisti, che vali, che sai pensare, che puoi fare, che sai fare, che vuoi fare, che concretizzi, che non molli, che ci tieni, che non ti tiri indietro, che sei all’altezza, che sai rimetterti in piedi, che sai dove guardare, che sai come fare per arrivare alla meta… che…

La lista è lunghissima, la lista non finisce mai, la lista non si completa: né con il tempo, né con le competenze acquisite, né con le sfide vinte, né con i progetti realizzati. Mai.

Sto cercando di capire, però, se può esserci un altro modo di vivere questa condizione, se c’è un modo per mantenere il respiro regolare e mantenere salda l’opinione che ho di me. Senza cadere e farmi calpestare. Perché non è tanto al resto del mondo che io voglio dimostrare qualcosa, ma a me stessa. Sono io quella che mette in dubbio le mie capacità, le mie possibilità, le mie qualità. Sono io. Devo dimostrarmi continuamente che ho una ragione per essere qui – nel mondo – e che è mio diritto esserci.

Dimostrare al mondo che ci sono e che è mio diritto esserci non è lo scopo, il mondo non mi sta chiedendo niente e – grazie al cielo – ignora tutto di me, persino la mia esistenza. Ed è un sollievo, ed è giusto così. Ma io? Cosa potrò mai fare, cosa potrò mai conquistare, cosa potrò mai ottenere per sentirmi nel posto giusto? Lo ignoro bellamente.

Quando prendo in mano un libro, pretendo che mi si dimostri che il mio tempo e la mia energia sono spese bene lì dentro. Se non è così, non perdono. Ecco, vorrei essere un libro che mantiene la promessa, vorrei essere un libro che si guadagna ad ogni pagina lo sguardo che cattura. Vorrei essere un libro non solo di parola, ma di sostanza. Quel libro che tieni sul comodino e non vorresti mai arrivare all’ultima pagina perché sai già che ti mancherà, ma che sei pronta a ricominciare dalla prima pagina perché sai che c’è ancora molto da scoprire ad ogni rilettura.

Sì, sono un’ambiziosa. Per fortuna, purtroppo.

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(623) Conti

Bisogna saper fare i conti. Detto da me, diplomata fantozziana che ha ben pensato di fare altro nella vita, è tutto un dire. Fare i conti e farli bene, questo ti fa fare passi in avanti costanti e solidi. 

Forse il Perdite e Profitti che alle superiori mi ha fatto sputare sorci verdi, grazie a una prof che voleva farmi capire per bene che quella non era la mia strada, mi è entrato così bene nel sangue che circola-oggi-circola-domani mi ha aiutato a fare i passi giusti, anche se non sempre consapevolmente. La mia coscienza si è rifiutata più volte di mettersi lì con il pallottoliere a spostare di qua quel che andava spostato di qua e di là quello che stava di qua e non doveva starci, eppure alla fine ‘sto lavoro infame si è rivelato utile.

La parte mortificante, per me, arriva quando devo portare a terra i progetti e capire quanto sono effettivamente geniali come io mi racconto e, soprattutto, quanto sono fattibili come io auspico. I conti non tornano mai come dovrebbero, come io vorrei che tornassero. Da lì la caterva di problematiche da risolvere, che può semplicemente mandare all’aria entusiasmo, buoni propositi, fiducia nella tua buona stella, speranza nell’aiuto Divino, offerte di sangue all’altare della botta di culo. Tutto quanto in un colpo solo.

Mi ritrovo, pertanto, sempre lì con lo Stato Patrimoniale del Dare e Avere, a capire dove posso dare di più (come cantava il trio Raf-Ruggeri-Tozzi) e dove di meno, dove è il caso di Avere e dove scordarselo proprio. Non riesce a piacermi, è sempre la parte peggiore di tutte, eppure è necessario. Far tornare i conti  è necessario. Ti fa capire quello che c’è e quello che manca. Ti rende evidente dove manca qualcosa e dove ce n’è troppo. Ti svela arcani interessanti tipo: perché sono sempre al verde-dove sono sparite le risorse-cosa mi resta da fare ora? Cose così, di poco conto, vita-o-morte.

No, niente da fare, neppure a scriverla ‘sta cosa riesco a digerirla. Puah!

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(606) Goal

Mai vinto davvero una partita, lo so, ma ho fatto tanti goal. Mai abbastanza, lo so, ma ne ho fatti tanti e pure belli. Quelli che te li riguarderesti mille volte perché sono il frutto di una strategia, di un disegno fatto per bene. Giusto che lo tenga presente, di tanto in tanto, altrimenti mi sembra che il tempo trascorso non sia servito a niente.

La grande ambizione, com’è ovvio che sia, è quella di poter vincere una partita, almeno una volta. Una tripletta coi controfiocchi, vittoria clamorosa e… adios, mi riposo per un po’. Sì, mi piacerebbe.

E lo so che ci sono campioni e poi ci sono io, lo so. So anche che ci sono partite facili, in cui manco mi ci metto, e partite quasi impossibili – le mie preferite, c’è da dirlo? – quindi non è che se non vinco è perché sono proprio una schiappa… è che alzando il tiro, magari manchi la porta proprio quando quel punto ti farebbe portare a casa la vittoria, e se perdi una partita così tosta sai che puoi sempre dare la colpa alla sfortuna (anche se la sfortuna non ne ha alcuna di colpa).

No, al momento non sono intenzionata a mollare. Sto aspettando l’occasione giusta per giocarmi tutto, ogni grammo di energia rimasta, e vedere come va a finire. Devo ammettere che non mi aspettavo di arrivare fino a questo punto e, un senso, questa lentezza perversa ce l’ha. Pazienza non ne ho più molta, forse anche questo potrebbe giocare a mio favore al momento opportuno. Ci sono cose da completare, percorsi da compiere, progetti da realizzare.

Ma che scherzi? Sono qui per questo.*** [cit. G.P.]

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(568) Praticamente

Preferisco ragionare in termini pratici, anche quando sogno. Lo so, potrebbe sembrare un ossimoro, ma mi ci trovo bene perché in questo modo i miei sogni vestono l’abito della progettualità e sono più alla mia portata. Una questione di gestione oculata delle aspettative, mettiamola così.

Praticamente succede che quello che io tratto come idea da realizzare, procede esattamente su quella strada, per quello che è, per quello che l’ho convinta a essere. Non ci sono dubbi né ripensamenti. Praticamente non devo far altro che schiacciare a terra le aspettative e farmi bastare quello che resta dell’idea: il lavoro forsennato. Il segreto per tenere botta sta nel fare del tuo lavoro forsennato un buon motivo per alzarsi dal letto ogni mattino.

Ricordo una circostanza, che mi vedeva protagonista di un’interrogazione, in cui il mio intercalare praticamente mise di cattivo umore l’insegnante che a un certo punto sbottò: “Non c’è niente di pratico in un romanzo, signorina Favaro!”. Ecco, questa cosa da quel momento in poi ha girato tra i miei neuroni e con nessun tipo di ragionamento c’ho visto del giusto. No, Prof, in un romanzo tutto è pratico, altrimenti sarebbe rimasta aria fritta. A quel tempo non avrei saputo dirlo, neppure pensarlo, ma ora sì e saprei argomentarlo per ore.

Partendo da questo presupposto, è facile spiegare la mia idiosincrasia per l’aria fritta. Tutto ciò che è privo di contenuti mi appare inutile. Mi rendo conto che forse sono fuorviata da alcuni pregiudizi sparsi sulla via del mio ragionare, ma davvero i contenitori vuoti sono inutili finché non li riempi e se esiste una teoria che dice il contrario… bé, fa niente, non cambierò idea soltanto perché una teoria si sa esprimere meglio di me.

Il contenuto di questo mio post lo trovo sostanzioso e nella pratica è stato tutto dimostrato, da ogni passo fatto sul mio cammino. Che è reale, non aria fritta.

Amen.

 

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(461) Podcast

Non avrei immaginato, dieci anni fa, che il podcast potesse essere un mondo a me affine. Un modo per creare, e soprattutto per comunicare, che si sarebbe rivelato fondamentale per la mia crescita personale e anche per quella professionale. Il mio accettare la sfida – ringraziare Simone per questo è sempre cosa buona e giusta – è stato il regalo più bello che potessi farmi e non solo per il periodo che stavo vivendo, ma anche per gli anni successivi. Fino a oggi.

Ho creato una decina di programmi diversi, tutti con una loro specifica identità, che mi hanno permesso di accompagnare in ogni momento della giornata e della notte chi volesse ascoltarli. Centinaia di persone. Non le conosco, non ho mai visto i loro visi, mai sentito le loro voci, mai saputo nulla della loro vita o dei loro desideri o sogni… eppure ho avuto il privilegio di restare con loro un po’ per condividere pezzetti di me.

Non ho mai analizzato gli ascolti – come si fa in radio – perché non volevo essere vincolata (emotivamente parlando) ai piccoli numeri o ai grandi numeri – rispetto a chi e a cosa poi ci sarebbe da discuterne – ma volevo semplicemente creare qualcosa di bello. Credo di averlo fatto, ogni volta.

So che farsi i complimenti da soli è patetico, ma questa sera non sto celebrando il mio essere brava (seppur patetica) perché non ho mai pensato di esserlo davvero e definitivamente, stasera voglio guardare agli ultimi dieci anni di lavoro onesto e dedicato e ringraziare tutto quello che il podcast ha raccolto di me e tutti quelli che lo hanno condiviso con me. Un’esperienza eccezionale, un percorso senza eguali perché nel podcasting ognuno si fa la sua strada – puntata dopo puntata – e non c’è una migliore dell’altra, sono tutte strade possibili.

Mi sto prendendo una pausa e sto già soffrendo di nostalgia, ma credo sia uno stop che devo fare e che devo fare ora. Ho un progetto in mente, che ha a che vedere con il podcast ovviamente, ma ogni cosa a suo tempo e soprattutto devo permettere al tempo di fare pulizia.

Ho messo da parte un capitale importante, che parla di umanità e di bellezza, e sarà lui a farmi ritornare davanti a un microfono per cercare ancora e ancora di raccontare una storia.

E ora… silenzio.

 

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(129) Progetti

Progettare per me significa credere nella vita. Guardare oltre quel che ora c’è e immaginare quello che sarà. Non quello che forse sarà, no: quello che sarà. Se progetti dubitando che quel progetto sarà, gli togli forza. Ti togli forza.

Non basta sperare che quel progetto sarà, devi essere sicuro che quel progetto sarà. Contro ogni buonsenso, a volte. Contro ogni dato di fatto, spesso. Contro ogni parere, sempre. Devi avere fede.

Se progetti in questo modo, la realtà di adesso inizierà a modellarsi e a prendere una forma più morbida affinché il tuo progetto possa trovarvi dimora. Sembro una fuori di testa vero? Probabilmente lo sono, ma sono anche la prova vivente che se progetti e lo fai senza se e senza ma, credendo in ciò che fai, anche quando tutto ti dà torto, la realtà si arrende. Piano piano ti fa posto.

Un giorno lo racconterò meglio, ora voglio solo scriverlo qui alla veloce, perché forse qualcuno che un giorno passerà di qui e si fermerà per caso a leggere queste poche righe potrebbe averne bisogno. E così potrebbe finire con il pensare: “Allora non sono il/la solo/a pazzo/a!”.

E tra pazzi ci si intende. La solitudine può farti perdere la fede. Io lo so bene, ma anche questa è una storia che racconterò un’altra volta. Se mi andrà, altrimenti no.

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(110) Fiamma

Dovrei riuscirci, ma forse pretendo troppo, è presto per farlo. Dovrei riuscire a tradurre in parole quello che ora sto provando, ma forse sono troppo impegnata a provare quello che sto provando e non mi rimane energia sufficiente per trovare anche le parole.

Ogni cosa ha il suo tempo. Dovrei averlo imparato, eh!

Eppure, questa fiamma che si riaccende mentre penso alla strada che mi sono costruita (fiamma che la fatica sembrava aver spento), si sta rifacendo vivace. Progetti, speranze, nuove cose che si aprono e altre che si chiudono perché è ora che lo facciano. Tutto questo ora non è solo sognato, ora è reale e mentre lo vivo sento dentro di me la fiamma che scoppietta.

Post fa parlavo della felicità come di una cosa che non ero in grado di acchiappare, forse è il caso di ricredersi. Mi riscaldo le mani, che fuori è tutto gelato, e provo a godermi il tepore senza pensare troppo a quel che sarà.

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