(509) Ponte

Se potessi, tirerei un ponte per raggiungerti. Anzi, ti chiderei di percorrerlo e di arrivare fino a me. Non per pigrizia, ma per lasciarti la libertà di scegliere, di declinare l’invito, di rispedirmi il ponte indietro. Sarebbe una delusione, ma capirei. Io capisco sempre tutto. E non dimentico – e raramente perdono (non sono buona, no).

Un ponte è un’occasione (sempre) e a volte può essere un’opportunità. Quando ti si presenta, un’opportunità non aspetta che tu ti convinca ad abbracciarla, se ti vede titubante, scettico, insofferente, lei se ne va. Ha altri da tentare e zero tempo da perdere. Altri ponti da abitare.

Ci sono ponti che percorreresti correndo, altri a cui ruberesti il paesaggio con ogni sguardo a ogni passo (passo lento, ovviamente). Ci sono ponti troppo lunghi, che ti penti di averli presi almeno dieci volte prima di attraversarli tutti, e tornare indietro sarebbe una gran fatica e te la vuoi risparmiare. Altri ponti sono troppo corti, non ti danno il tempo di ripensarci che sei già arrivato dall’altra parte.

Ci sono ponti che si bruciano appena arrivi a destinazione, non puoi più tornare indietro da lì e chissà se riuscirai mai a tornare indietro.

Ci sono ponti che una volta percorsi rimangono solidi e saldi per sempre, quelli sono una benedizione e bisogna sapersene prendere cura.

Il mio ponte porta il tuo nome, se l’opportunità ti sembra poca cosa allora vorrà dire che lo lascerò frantumarsi per il gelo e il vento, per la pioggia e per il sole rovente che negli anni lo flagelleranno. Una volta che costruisco un ponte, una volta che lo chiamo per nome, una volta che azzardo un sogno, non ritratto.

Così è se mi pare.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(110) Fiamma

Dovrei riuscirci, ma forse pretendo troppo, è presto per farlo. Dovrei riuscire a tradurre in parole quello che ora sto provando, ma forse sono troppo impegnata a provare quello che sto provando e non mi rimane energia sufficiente per trovare anche le parole.

Ogni cosa ha il suo tempo. Dovrei averlo imparato, eh!

Eppure, questa fiamma che si riaccende mentre penso alla strada che mi sono costruita (fiamma che la fatica sembrava aver spento), si sta rifacendo vivace. Progetti, speranze, nuove cose che si aprono e altre che si chiudono perché è ora che lo facciano. Tutto questo ora non è solo sognato, ora è reale e mentre lo vivo sento dentro di me la fiamma che scoppietta.

Post fa parlavo della felicità come di una cosa che non ero in grado di acchiappare, forse è il caso di ricredersi. Mi riscaldo le mani, che fuori è tutto gelato, e provo a godermi il tepore senza pensare troppo a quel che sarà.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(59) Sorgere

Non è cosa che sa fare solo il sole, nel dizionario italiano il verbo sorgere ha significato splendido anche per gli umani: alzarsi, elevarsi, innalzarsi.

In linea di massima vuol dire che eri steso, magari al buio, e che stai per rimetterti in piedi per guardare l’orizzonte e farti innondare dalla luce. Così è come mi piace leggerlo, questo verbo che rende bene la poesia della rinascita.

Nascere, però, non è una passeggiata. E’ più che altro un trauma. Lo shock del consegnarsi alla luce può farti perdere l’orientamento, ecco perché i bimbi nascono con gli occhi chiusi (o comunque non vedono granché appena nati), la natura li protegge.

Il primo respiro è doloroso, l’aria fredda ti procura una scossa, piangi.

Ora, credo di essere in questa fase: primo respiro, gelo, scossa, pianto. Tutto molto silenzioso, la mia natura introversa mi protegge. Eppure mi sembra di aver perso l’orientamento, non riconosco più la differenza tra cielo e terra.

Soprattutto: non mi importa granché di farlo. Cammino senza guardare la strada.

Se sia bene o male lo scoprirò tra qualche tempo. Immagino. D’altronde mica è la prima volta che rinasco. Eh!

b__

Share
   Invia l'articolo in formato PDF