(1068) Maturità

Pensavo che la maturità fosse un’oasi di pace, dove i conti tornano e ci si mette via via l’anima in pace preparandosi a godersi la vita così come la vita deve essere: meravigliosa.

È molto probabile io abbia frainteso un paio di concetti costruendomi un’utopia difficilmente giustificabile.

Ovviamente, la maturità ti porta una certa presenza di spirito. Magari prendi un po’ meglio le cose – dalle rotture di palle alle delusioni, dai contrattempi ai piani falliti e via dicendo – ma poco altro. Davvero poco altro. Ci si incazza ancora (sperando di esserne ancora capaci) e si soffre ancora per le cose che sfuggono via e non ci si può fare niente. Soprattutto si viene presi da attacchi furiosi di nostalgia e ogni nostra giornata ha un sottofondo malinconico che si sposa male con il godersi davvero la vita meravigliosa che vorremmo.

Su questo me la sento di azzardare che non sono la sola a viverla così, altrimenti vedrei i miei coetanei passarsela meglio.

Dunque è evidente che la mia idea naïf di maturità deve essere corretta e sanata. Eppure, la tristezza che mi prende nel pensare di lavorarci sopra togliendo tutto lo zucchero mi è insopportabile. Pensare che prima o poi scorgerò all’orizzonte quell’oasi di pace in cui rifugiarmi è un bel pensiero, dopotutto. Illudermi che ci sarà un miglioramento e che le cose diventeranno meravigliose (andiamo a percentuale, dai, almeno un bel 50% su!), mi tranquillizza. Mi fa stare a galla.

Comunque, l’estate si sta squagliando, si entra ufficialmente nella stagione della malinconia… dove mi trovo decisamente più a mio agio. Ma di cosa sto parlando, quindi? Va bene così, va tutto bene così.

È meraviglioso.

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(888) Venezia

Ognuno di noi ha una sua Venezia dentro il cuore. Con i canali, tanta acqua, palazzi che fanno sognare un tempo passato un po’ più felice (forse) e… tanti turisti che rompono le palle sparsi in giro.

Il tuo luogo non è mai incontaminato. I turisti sono ovunque. E la cosa peggiore è che tu sei il turista nel luogo speciale di qualcun altro. Noi Esseri Umani siamo nati per darci il reciproco tormento. Innegabile.

Sto divagando, ero partita col pensiero che una Venezia sia per forza di cose irriproducibile (nonostante ci abbiano provato anche con risultati notevoli), perché quella malinconia sognante che puoi grattare giù dai muri, raccogliere da ogni pietra, acchiappare al volo dalle gocce d’acqua che schizzano al passaggio di un traghetto, quella cosa lì non la si può inventare. Non la si può ricreare. Non la si può dimenticare, una volta che l’hai incontrata.

Come certe persone che sono passate attraverso di te, che le hai sentite con tutto il corpo e che per quanto tu faccia non le potrai mai sostituire, le puoi solo ricordare con struggente nostalgia.

E ci sono cose che davvero non ritornano e cose che ti si presentano davanti con abito nuovo, ma sono sempre le stesse, e tu non sai se abbracciarle o mandarle al diavolo.

Sono spesso presa dallo Spleen, un tormento che ti parla di quello che non c’è mai stato e che si continua a desiderare perché lo si immagina perfetto. Lo so, un’enorme perdita di tempo, ma neppure me ne accorgo. Ci casco dentro e bon, ci rimango per un po’, finché non mi stanco e ricomincio. Un’autoindulgenza che fa poco bene, ma anche poco male, e allora chissenefrega. Di qualcosa dovrò pur morire e non morirò di certo di Spleen.

Ho Venezia stasera che mi luccica dentro. No, non mi sta facendo bene, ma neppure troppo male. Quindi chissenefrega.

Buonanotte.

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(364) Vigilia

Lo stato d’animo che mi prende a ogni vigilia non ha niente di esaltante. Penso immeditamente a come sarà il dopo festeggiamento e a quanto vorrei avere già scollinato. Lo so, sono una guastafeste.

Penso che una cosa è bella se dura poco, forse perché mi stanco facilmente, quindi se ci fosse il modo di passare subito ai festeggiamenti senza attraversare la vigilia sarebbe perfetto. Viene benissimo quando me ne dimentico di brutto e al mattino appena sveglia qualcosa o qualcuno mi ricorda che è ora di festeggiare: l’entusiasmo mi sale a 1000 e sono pronta a fare bagordi. Carpe Diem.

In poche parole vorrei già essere a domani, quando festeggerò (penso proprio che lo farò da sola, ma che importa!) ben 1 anno dall’apertura di questo diario virtuale che ho chiamato *Giorni Così* appunto per non creare troppa aspettativa – so essere astuta se mi ci metto.

Di questo parlerò domani – accidenti! – oggi voglio dilungarmi ancora un po’ sul fatto che le vigilie, secondo me, siano state create apposta per rovinare la festa. Ti prepari a festeggiare, in poche parole ti scappa di festeggiare un po’ prima e così quando arriva la festa sei già stanco e ti prende la malinconia. Una cosa del genere può essere giustificata solo in caso di forzato Natale, dove la malinconia fa scempio di te già dal 1° dicembre e ti molla soltanto dopo la Befana quindi la vigilia è soltanto un pretesto per mangiare tortellini in brodo in vista dell’ingozzamento selvaggio del pranzo-merenda-cena-dopocena natalizio.

In tutti gli altri casi, la vigilia non è una buona idea. Mi propongo, pertanto, di ignorarla totalmente il prossimo anno, e se sarà proprio necessario fingerò di non accorgermi che il tempo passa veloce-lento-veloce-lento dribblando ogni mio tentativo di controllo e lasciandomi in balìa di me stessa e della mia idiosincrasia per le vigilie.

Meno 5

Meno 4

Meno 3

Meno 2

… 1

 

 

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(293) Rinunciare

Un verbo che mi ha schiacciato per molti anni e allo stesso tempo mi ha modellato rendendomi resiliente come mai avrei pensato di poter essere.

Mi dà fastidio pronunciarlo, è come rendere più solide le cose a cui ho rinunciato durante il percorso. Oggi mi pesano tutte, anche quelle che ho fatto bene a mollare. Perché? E che ne so. Oggi va così.

Credo di essere in overdose da rinuncia. Ci si arriva col tempo, piano piano, ma ci si arriva perdio! E una volta che tocchi la sostanza delle tue rinunce come si fa a gestirla? Non lo so, oggi non so niente.

Dovrei trovare il coraggio di farne una lista e fleggare quelle ormai superate, quelle di cui non me ne frega più niente, quelle che sono state una liberazione anziché un sacrificio. Ho paura che siano più numerose le altre, però. Quelle che vorrei non aver fatto, quelle che mi suscitano ancora frustrazione, sensi di colpa, rabbia, malinconia.

Non lo so, serve davvero fare una lista? Forse è meglio imporsi un cambiamento radicale, forse è meglio affermare con vigore e convinzione intima che, a questo punto, rinunciare non fa più per me. Posso smettere, finalmente.

Non lo so.

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(21) Tutto

Ogni tanto mi prende la malinconia del Tutto. Tutto quello che ancora non ho letto e mi sta aspettando per farsi leggere (libri e libri impilati che ho cercato con tanto amore e per mancanza di tempo sono ancora lì); tutto quello che ancora non ho visto (luoghi che vorrei visitare e che non avrò mai modo di vedere a meno che io non viva dieci vite in contemporanea); tutto quello che non ho vissuto (meglio che non mi metta a fare una lista o cado in depressione). Insomma, Tutto.

Lo so, sono stramba, ma il Tutto che io non ho e forse non avrò mai, è come se io già sapessi com’è (fantastico) e da lì parte lo struggimento in cui mi crogiolo per andare alla deriva.

Malinconia del Tutto. E non c’è via di scampo.

b__

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