(1068) Maturità

Pensavo che la maturità fosse un’oasi di pace, dove i conti tornano e ci si mette via via l’anima in pace preparandosi a godersi la vita così come la vita deve essere: meravigliosa.

È molto probabile io abbia frainteso un paio di concetti costruendomi un’utopia difficilmente giustificabile.

Ovviamente, la maturità ti porta una certa presenza di spirito. Magari prendi un po’ meglio le cose – dalle rotture di palle alle delusioni, dai contrattempi ai piani falliti e via dicendo – ma poco altro. Davvero poco altro. Ci si incazza ancora (sperando di esserne ancora capaci) e si soffre ancora per le cose che sfuggono via e non ci si può fare niente. Soprattutto si viene presi da attacchi furiosi di nostalgia e ogni nostra giornata ha un sottofondo malinconico che si sposa male con il godersi davvero la vita meravigliosa che vorremmo.

Su questo me la sento di azzardare che non sono la sola a viverla così, altrimenti vedrei i miei coetanei passarsela meglio.

Dunque è evidente che la mia idea naïf di maturità deve essere corretta e sanata. Eppure, la tristezza che mi prende nel pensare di lavorarci sopra togliendo tutto lo zucchero mi è insopportabile. Pensare che prima o poi scorgerò all’orizzonte quell’oasi di pace in cui rifugiarmi è un bel pensiero, dopotutto. Illudermi che ci sarà un miglioramento e che le cose diventeranno meravigliose (andiamo a percentuale, dai, almeno un bel 50% su!), mi tranquillizza. Mi fa stare a galla.

Comunque, l’estate si sta squagliando, si entra ufficialmente nella stagione della malinconia… dove mi trovo decisamente più a mio agio. Ma di cosa sto parlando, quindi? Va bene così, va tutto bene così.

È meraviglioso.

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(270) Deserto

Tra tutti i deserti non so decidere quale sia il più terribile. A modo mio credo di averli attraversati tutti. L’unica cosa che mi renderebbe il ricordo insopportabile sarebbe accorgermi che il mio passaggio non ha lasciato tracce, che la sabbia, il ghiaccio o la terra hanno già cancellato il mio cammino. Come non fosse mai successo.

Mi rendo conto che è ridicolo, ma mi sembrerebbe di aver sofferto-lottato-sanguinato per nulla, come se non fosse mai stato. Solo me stessa come testimone, come prova, come memoria. Potrei anche dubitare, a un certo punto, che sia accaduto davvero. Che quel deserto sia davvero esistito. Come fare per uscirne? La pazzia.

Di ogni deserto ho apprezzato la durezza, senza cedimenti. Anche se sei sul punto di soccombere, un deserto non si muove a compassione, ti toglierebbe la possibilità di farcela con le tue sole forze. D’altro canto lui è lì per quello. Un deserto ti dà dei segnali di vita, ma non te la offre come se ti fosse dovuto qualcosa. Quale verità può fare più male se non quella che ti sbatte in faccia che niente ti è dovuto e che sei qui per guadagnarti i privilegi che stai reclamando?

Ogni deserto fa di te un niente, tu a quel punto devi scegliere: arrenderti all’evidenza o immaginarti migliore e quindi capace di arrivare all’oasi? Dipende tutto dalla storia che ti stai raccontando, viaggiatore.

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(178) Oasi

Dove trovi salvezza. Dove puoi dissetarti. Dove resteresti per sempre.

Ognuno di noi ha il suo luogo, quello che ci porti solo chi ami veramente. Ecco, mi sa che me ne sono curata poco ultimamente di frequentarlo quel mio luogo. Non va affatto bene, ma riprendere l’abitudine è cosa da poco.

Se avessi una figlia le insegnerei esattamente questo: scegli il tuo luogo speciale, mantieni il segreto più a lungo possibile e ricordati di fargli visita ogni volta che hai bisogno di te.

Sarà poi forte abbastanza da affrontare tutto quello che c’è là fuori.

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