(1005) Notte

Quando la notte scende la testa mi rallenta. È come se riconoscesse questa dimensione come il suo luogo, dove espandersi e mettersi comoda. Va, indipendentemente da me, dove vuole andare e trova esattamente quello che le serve per sostenersi e sostenermi durante il giorno. Questo quando è in stato di veglia, una volta addormentata non so che fine faccia e dove si vada a cacciare. Preferisco quasi non saperlo, evitiamo di incrementare l’ansia, per favore.

La mia notte ideale parla di energie assopite che si risvegliano, di sguardi che si fanno più lucidi, di vicinanze che se ne infischiano dei confini e cose così. La mia notte ideale non fa casino, assorbe significati e brilla di luce calda.

C’è chi approfitta della notte per uscire allo scoperto, io preferisco nascondermi con lei. Di giorno è tutto troppo pieno, la luce acceca. Di notte la vista si concentra sulla percezione più che sulla forma. L’intensità della sostanza, anche quella più impalpabile, si palesa senza bisogno di forzarla.

Ci sono sottili trame che aspettano nella notte. Ci sono suoni che vibrano suadenti nella notte. Ci sono anime che si fanno trasportare dai sogni di chi non le può toccare, non temendo trappole.

E ci sono io. Che vago senza meta. Ma questa è un’altra storia. E per nulla interessante.

 

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(856) Panoramica

Stamattina pioggia di ghiaccio. Che è di per sé un fenomeno interessante, specialmente se ha potenza 9 e tu stai guidando al buio perché non è neppure l’alba. Dopo aver dormito sì e no due ore di filato e per il resto della notte aver pensato a tutto fuorché al fatto che avrei dovuto dormire. Un inizio spumeggiante.

Ora sto guardando il mondo fuori, mentre il mondo qui dentro in ufficio non è ancora arrivato. Sta per arrivare. 

Quello fuori si muove tra fari accesi e ombrelli che si muovono nascondendo misteriosi esseri dotati di gambe, sicuramente scarpe a prova di ghiaccio. Non come le mie che m’hanno fatto rischiare la spaccata tre volte in neppure 50 metri di percorso a piedi. Houston, abbiamo un problema.

Questo per dire che se inizia così non voglio neanche immaginare come andrà a finire. E tutto quello che può succedere nel mezzo. Il fatto che sia venerdì potrebbe giocarmi contro o pro, a seconda di come la vive il mondo che sta per arrivare. Perché sta per arrivare. E saranno saluti e sorrisi, questa è la parte migliore. Poi ci sarà la riunione della mattina, dove si dichiara la propria utilità agli altri e ci si augura buon lavoro reciprocamente (a volte con un certo malcelato sarcasmo, altre volte con serpeggiante speranza, altre ancora come ultimo desiderio del condannato a morte). 

Fuori non è più buio, è tutto bianco però. Il bianco si adagia qui e là e non puoi che pensare che è un colore che sta bene su tutto, anche se ingrassa un po’. Sto ascoltando James Bay e sto scrivendo, scrivo prima che il mondo arrivi e che mi attraversi, stasera sarò bella calpestata per avere ancora pensieri utili e stamattina non sento ancora la notte insonne pesarmi sul coppino, arriverà più tardi, nel bel mezzo del marasma, quando dovrei essere più concentrata e più agile. Intanto nevica fitto e sottile, sento il mondo arrivare.

Sta entrando. S’inizia davvero.

Buona giornata mondo.

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(835) Perfetto

Perché uno pensa che può essere felice solo se tutto è perfetto, si danna l’anima per far sì che tutto sia perfetto senza mai riuscirci, senza mai essere felice neppure per un istante. Il tempo passa, però. Perfettamente.

Stasera non sono stanca, di più. La prima settimana di rientro dopo la pausa natalizia è stata come essere sollevata da un tornado e provare a ballare la macarena senza ribaltarmi. Impegnativo.

No, non solo a livello professionale, anche a livello emotivo, perché il mio cuore e il mio cervello sono ormai talmente mescolati che non si distinguono più. Fatto sta che sono così e che funziono così e che non c’è niente che non mi tocchi e – molto spesso – quello che mi tocca finisce con il lasciare il segno. Impegnativo anche questo.

Eppure, tra tutto questo ho notato dei momenti perfetti che mi attraversavano da parte a parte e avrei voluto dire tanto e invece sono stata zitta, in contemplazione estatica. Come un incantamento. Perfetto. Sentivo una voce che mi riempiva con delicatezza ogni sbandamento per aiutarmi a restare in equilibrio. Non posso spiegarlo meglio, è tutto quello che so scrivere.

Eppure, in modo perfetto sentivo e mi ritrovavo fatalmente in accordo con quel sottile filo lucente che si dipanava da me all’ovunque che mi stava intorno. E allora posso affermare che perfetto è ogni istante in cui in presenza di me stessa so testimoniare della vita e di quel sentimento che a nominarlo fa paura eppure c’è. Eppure c’è. A occhi aperti e a occhi chiusi. Giorno e notte. Eppure c’è.

Mi sento quasi male a pensarci, la perfezione così com’è davvero (sottile e lucente) mi schianta il petto e le parole non sanno più che fare di sé stesse, se non posarsi qua e là con cautela, come se la terra bruciasse e tutta l’acqua del mondo non fosse sufficiente per chetare l’anima.

Perfetto.

Vero?

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(734) Rugiada

Ho dovuto imparare a scrollarmi la rugiada di dosso al mattino presto perché il lavoro lo devi andare a incontrare e non ti viene a svegliare a letto come faceva la mamma quando andavi a scuola. Sono un animale notturno, una civetta direi, e questo fa di me lo strazio che sono: comincio a carburare leeeeeeeeeeeentamente e non andrei mai a dormire perché durante le ore tarde il mio cervello – quando non troppo devastato dalla giornata – inizia a funzionare alla grande.

Il mattino, un tempo, lo detestavo. Dovevo alzarmi per fare quello che odiavo fare. L’indolenza adolescenziale me la sono lasciata alle spalle, ma mi è comunque ostico il pensiero che la sveglia puntata alle 6.00 sta suonando e io non posso far finta di niente. Dentro di me l’imperitura lotta fra il chissenefrega e il fai-il-tuo-dovere è sempre cruenta come allora. Stoicamente mi alzo, stoicamente mi butto in doccia, stoicamente arrivo all’auto e affronto la solita coda in tangenziale. Tutto peeeeerfetto.

Mentre percorro gli oltre 30 chilometri per recarmi in ufficio butto lo sguardo sui prati e sul ciglio della strada e quella rugiada che luccica pare un po’ la mia, quella che mi sgocciola dentro. Alla fine sono uguale a un filo d’erba. Considerazione illuminante, vero?

Senza crogiolarmi troppo in quest’ultima immagine, faccio presente che comunque preferirei essere a Bali e godermi il paradiso terrestre, che comunque penso che il mio mattino non abbia l’oro in bocca ma a malapena un ettolitro di caffè da ingurgitare, che comunque ‘sta cosa del viviamo di giorno e dormiamo di notte dovrebbe essere un’opzione e non un’imposizione, che comunque avrei preferito fare la rockstar che qualsiasi altro lavoro al mondo… ma.

Ma il mio cervello in parallelo pensa già a come affrontare ogni punto della lunga lista di cose da fare, a come risolvere quel tal problema, a che idea aggiungere alla presentazione che sto lavorando e via di questo passo. Il mio cervello, la parte che funziona e che non si piange addosso, si formatta autonomamente per permettermi di funzionare – nonostante tutto, nonostante me – fino a notte inoltrata quando appoggio la testa sul cuscino e mi arrendo all’oblio.

Il mio cervello asciuga la rugiada senza neppure il bisogno di un fòn. E io dovrei essergliene grata. Molto anche.

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(563) Portale

Si apre una fessura e vengo risucchiata nel mio iperuranio e non mi fermo più. Posso continuare a parlare per ore, senza perdere un colpo, andando a braccio, finché qualcuno non ha il buonsenso di fermarmi. 

Mi è successo anche oggi, oggi che avevo davanti a me sette anime accoglienti che volevano sapere cos’è una storia e come si scrive una storia… non ricordo neppure quello che ho detto, ma so che tutto aveva un senso: solido, tangibile, prêtàporter. Lo do per scontato. Nel mio iperuranio funziona così.

Dal canto mio, però, ricordo quello che queste sette anime mi hanno raccontato, ricordo le domande che mi hanno fatto, ricordo i loro visi, nomi, sorrisi e quelle zone scoperte che chiedevano un riempimento. Non so se per qualcuno questo può avere senso, ma so che lo ha per me. Non mi serve altro.

E ho superato anche il chi-sono e il cosa-faccio, ho superato il quanto-valgo e il quanto-non-sono-abbastanza, ho superato il cosa-vorrei-essere e anche il cosa-non-sarò-mai… sono approdata al chi-se-ne-fotte-sono-quello-che-sono. E non è che sia un posto comodissimo, neppure splendente, men che meno rassicurante, è soltano una zona dove posso riposarmi. E ho un disperato bisogno di riposarmi, quindi starò qui, che sia per un anno o per sempre non ha alcuna importanza, starò qui.

Varcherò il mio portale ogni volta che potrò, accederò al mio iperuranio ogni volta che vorrò, respirerò aria pura o veleno a seconda della disponibilità. Sono civetta, d’altro canto, senza chiedere il permesso e senza chiedere scusa vivo nella notte più che nel giorno e la mia notte è infinita e non così spaventosa. Lascio che luce mi sia da guida, e nella notte ogni luce ha più potenza.

Ad occhi aperti. Sempre.

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(214) YinYang

NeroBianco-BiancoNero-OmbraLuce-NotteGiorno e potrei continuare per alcune righe ancora e non significherebbe nulla. 

Contenere il tutto mentre si è niente, contenere il niente mentre si è tutto. Anche qui ci sarebbe troppo di cui parlare. Non lo so perché mi sono messa in questo ginepraio, so soltanto che oggi me lo sono sentito ovunque questo YinYang e m’era sembrata una buona idea parlarne. Pensavo di avere pensieri in proposito, invece ho confusione. Più focalizzo e più confondo – che sia la vecchiaia che incombe?

So che ci sono notti colme di luce e non soltanto per la luna piena. So che ci sono giorni dove il buio ti inghiotte, nonostante il sole rovente. So che ci sono momenti in cui ti senti abbracciare tutto e altri in cui la solitudine ti tiene stretta e senza neppure un perché ti va bene così. So che mi accorgo dell’ombra e della luce solo se sto attenta, questo dovrebbe preoccuparmi, ma ho altro da fare.

Non sono pensieri utili, questi. Possono essere un inizio? Mah.

 

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