(1005) Notte

Quando la notte scende la testa mi rallenta. È come se riconoscesse questa dimensione come il suo luogo, dove espandersi e mettersi comoda. Va, indipendentemente da me, dove vuole andare e trova esattamente quello che le serve per sostenersi e sostenermi durante il giorno. Questo quando è in stato di veglia, una volta addormentata non so che fine faccia e dove si vada a cacciare. Preferisco quasi non saperlo, evitiamo di incrementare l’ansia, per favore.

La mia notte ideale parla di energie assopite che si risvegliano, di sguardi che si fanno più lucidi, di vicinanze che se ne infischiano dei confini e cose così. La mia notte ideale non fa casino, assorbe significati e brilla di luce calda.

C’è chi approfitta della notte per uscire allo scoperto, io preferisco nascondermi con lei. Di giorno è tutto troppo pieno, la luce acceca. Di notte la vista si concentra sulla percezione più che sulla forma. L’intensità della sostanza, anche quella più impalpabile, si palesa senza bisogno di forzarla.

Ci sono sottili trame che aspettano nella notte. Ci sono suoni che vibrano suadenti nella notte. Ci sono anime che si fanno trasportare dai sogni di chi non le può toccare, non temendo trappole.

E ci sono io. Che vago senza meta. Ma questa è un’altra storia. E per nulla interessante.

 

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(984) Tangenziale

Ti costruiscono una tangenziale a due corsie, comoda, liscia e ti mettono un limite di 40 km orari. Una provocazione, senza se e senza ma. Ecco, mi sento così. Sto viaggiando a 40 e potrei fare in tutta sicurezza gli 80, ma se supero il limite arriva una di quelle botte che se le eviti è meglio.

Valutando tutti i nessi che mi possono venire in mente ora, sono tanti, uscirei volentieri dalla tangenziale, mi farei a 40 la provinciale panoramica e bon, mi godrei il paesaggio.

La velocità non è tutto, vero. Ma neppure la lentezza.

Succede che se non abitui il motore quello ti si dà ai minimi, si assetta a un regime da turista confuso e felice e perde mordente. È così, giuro. Ci sono persone che danno il massimo di sé quando sono rilassate – quasi morte – io invece no. Il contrario esatto.

Non solo: detesto tutto quello che mi rallenta. Non riesco a sorridere a tutti gli inconvenienti, gli imprevisti, le dannatissime sorprese. No. Mi state rallentando, santiddddddio, non ve ne rendete conto? Mi state rallentando e poi non riesco più a recuperare e resto maledettamente indietro rispetto a dove dovrei essere, vi rendete conto?

E quando sono in burn out da lentezza divento isterica (forse lo si era vagamente notato), aumentando di un paio di tacche il mio livello di insopportabilità sociale, trasformandomi in un pericolo per il genere umano. È imbarazzante, lo so, me ne rendo conto, ma non è che posso fare tutto io, vi ho avvertito e ora sta a voi. A voi che mi fate inciampare, imprevisti-inconvenienti-dannatissimesorprese, e che mi sbucate fuori da ogni dove appena sono concentrata il giusto per passare in quinta.

Vi avverto: toglietevi di mezzo.

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(782) Idiota

Ci sono soglie che non si dovrebbero superare. Ce lo dice il buonsenso, ce lo dice l’esperienza, ce lo dice chissà-chi-ma-qualcuno-ce-lo-dice-di-sicuro perché quando lo stiamo per fare la voce ci rimbomba dentro con una certa potenza: i-d-i-o-t-a!  E noi già sappiamo tutto quello che ci capiterà da lì a poco.

Ricordo l’ultima volta, l’ultima volta che me ne sono fregata di quella voce ammonitrice andando ben oltre la soglia, e pensavo mi fosse bastata. No, a una vera idiota le lezioni non bastano mai. Fatto sta che ora è tutto un scivolare verso quella soglia e sembra che qualcuno ci abbia messo l’olio per quanto liscia mi pare la via. Eh. Non dico altro.

Vorrei invece analizzare ora la sensazione del non-me-ne-frega-niente che precede il disastro: ecco, penso che in questo semplice e diretto concetto si concentri l’essenza dell’Essere Umano.

Non significa che non lo so. Non significa che non possa cambiare rotta. Non significa che son presa dagli eventi e povera me. Non significa che m’illuda del fatto che stavolta potrebbe andare meglio. Non significa che io mi avvalga di qualche segreto acquisito lungo la via della vecchitudine che mi salverà il culo un attimo prima. No. Tutto questo sarebbe ridicolo, vero?

Significa proprio che so, sono capace di intendere e di volere, me ne prendo tutta la responsabilità, sono pronta per affrontare la disfatta e lo faccio come se non me ne fregasse niente. Anzi, in fin dei conti me ne frega niente perché altrimenti farei altre scelte. Quindi: sono pronta, lo ripeto. Sia quel che sia.

Senza nulla togliere all’idiozia che ne fa da base, questo pensiero è comunque tipico dei folli, dei grandi personaggi di cui sono pieni i libri e che ci intrigano con le loro avventure… bello, no?

Sì, bellissimo. Dentro a un libro. Fuori un po’ meno. Eppure. E-P-P-U-R-E non se ne parla di frenare, di cambiare direzione, di almeno rallentare sperando in un rinsavimento. NO.

Il dado è tratto. (Cesare)

Sì, mi rendo conto, ma guarda che saranno casini inenarrabili. Guarda che te ne pentirai ogni giorno della tua vita. Guarda che poi la menerai per decenni di quanto la Sorte si sia presa gioco di te, ben sapendo che sei stata tu a volerti beffare di Lei – che non è astigmatica e ti riconosce ormai lontano mille miglia. Guarda che poi te ne penti e lo sai benissimo.

No. So che mi lamenterò. So che piangerò. So che la menerò per decenni rifacendomi alla Sorte, alla sfiga e a tutto il resto. Lo so. Ma non mi pentirò. Non l’ho mai fatto. Mai pentita di nulla, purtroppo.

Non me ne pentirò, fidati Babs.

Eh.

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(602) Rallentare

Si fa presto a dirlo, ma mi è difficile anche solo concepirlo. Non ho tempo per fare tutto e non posso fare meno di così altrimenti non ci sto dentro. Così, in loop. C’è da domandarsi come io ancora non mi sia totalmente fusa. Mi lamento di come son messi i miei neuroni, ma a vederla bene son fin troppo gajardi per come li ho sfruttati in questi anni. Senza ritegno, davvero.

E allora come si fa a rallentare? Cosa devo mollare per poter occuparmi semplicemente di me?

Non lo so, non ho ancora trovato la risposta. So che ci sono vicina, però. Non so quanto ci metterò per fare i metri che mi mancano. So che non posso accelerare e so che devo per forza rallentare. Ma tutto ciò non mi aiuta.

Certo cadere distrutta a letto come se non avessi un domani è piuttosto ridicolo. Non si può neppure sentire che io già alle 22.00 stia cascando dal sonno, che io riesca a malapena a digitare qui due pensieri – per altro patetici al 90% – e che appena toccato il cuscino manco il tempo di spegnere le luce che già non esisto più. Che ne è di quella che stava in piedi tutta notte a scrivere e che carburava a meraviglia appena la luce del sole calava al tramonto? Sparita. Sembra incredibile.

Fatto sta che ho una pila di libri da leggere, libri belli-interessanti-utili, che non accenna a consumarsi perché dopo due pagine devo chiudere e buonanotte. Ma se continuo così non ce la farò mai a leggerli tutti! Sarebbe un disastro! Uno spreco disumano! Noooooooooooooooooooooooooooooooooooo!

Ok, vado a letto, non ce la faccio più.

Domani ci ripenserò a mente fresca. Tra una corsa e l’altra, ovviamente.

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(558) Cronometro

Che il tempo esista, inteso come lo intendiamo noi umani, lo si deve imparare da bambini. Impari a leggere l’ora, impari a rispettare gli orari (non tutti e non sempre, specialmente se ami essere un ritardatario), impari che i giorni passano e anche le settimane e i mesi e anche gli anni. Amen.

Che il tuo tempo, però, sia gestito dalle scadenze a cronometro è ben più difficile da digerire. Almeno lo è per me. Il cronometro non tiene conto di niente, non si cura di niente, non gliene frega niente di te. Il cronometro è uno strumento disumano. Il cronometro è un aggeggio diabolico. Abbasso il cronometro!

Già quando parte mi prende l’ansia. I miei pensieri hanno bisogno di immaginarsi liberi dal tempo per respirare e ossigenarsi. Come posso misurare tutto questo? Come?

La messa in opera dei miei pensieri non prevede l’imprevedibile e l’imprevedibile non si preannuncia e non si evita e non si può fermare. Come potrebbe? Come?

L’imprevedibile non arriva soltanto dall’esterno, può nascere dentro la mia testa e può influire anche sul mio corpo che risponde come vuole lui. Come posso pretendere di mantenere il controllo? Come?

Il cronometro questo non lo sa, non è compito suo tenerne conto, quindi va e va veloce e calpesta tutto quello che deve calpestare perché dell’umano lui non sa nulla. E non ne ha colpa. E allora io con chi diavolo me la devo prendere?

Tictictictictictictictic…

Il tempo del mondo non deve essere per forza anche il mio tempo. Posso perdermi e posso riposarmi e posso fregarmene del cronometro. Posso rallentare per ascoltarmi meglio e posso fermarmi per cambiare direzione e posso accelerare quando le cose mi sono chiare e accessibili. Posso.

Quello che non posso proprio fare è imparare che qualcosa di così disumano sia utile al mio agire. Non posso accettare di essere costretta a questa maledetta ansia perenne. Non posso. Non posso proprio.

Quindi: abbasso il cronometro!

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(431) Alto

Guardare le cose dall’alto ti fa sentire potente, una visione che solo gli Déi possono avere. Bisogna fare uno sforzo d’immaginazione, mettersi per un istante là sopra e adeguarsi a quello sguardo, a quel guardare. Lo spettacolo potrebbe non essere esaltante, ma la dinamica della situazione si espliciterebbe nell’immediato lasciandoti di stucco. Bam.

Come pedine ci muoviamo, come pedine mangiamo e siamo mangiati, come pedine scansiamo o siamo saltati, come pedine raggiungiamo – forse – l’altro lato guadagnandoci il trono. Soltanto una partita a disposizione, che può essere poco o tantissimo, dipende da chi ti si oppone.

Se c’è un significato in tutto questo dall’alto non lo si può capire. Non partecipi ai maremoti emotivi, guardi distaccato ciò che accade e trovi i flussi energetici che il movimento tattico alimenta o rallenta o inverte o blocca o tutto o niente. L’osservazione fredda, di questo tipo, ci aiuta ogni volta che siamo travolti dagli eventi, quando siamo sbattuti a destra e a manca e non abbiamo più punti di riferimento. Fermati – bloccati proprio – fai un respiro profondo, salta con la mente là sopra e guarda. Goditi lo show.

C’è quasi da ridere vero? Adesso capisci meglio l’intero Olimpo, vero? Ok, torna giù e agisci di conseguenza: prendi sul serio solo il gioco e non gli accadimenti. Il resto passa, perché deve passare, sono le regole del gioco.

Baby.

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