(906) Svago

La mia idea di svago è piuttosto bislacca. In pratica io non mi svago mai. Anche quando ci provo con tutta me stessa fallisco. Non so proprio come si faccia, non sono programmata per farlo. Non ho altre spiegazioni.

Non riesco a staccare il cervello da quello che sto facendo per fare altro, forse perché il mio cervello non fa altro che divagare e divagando attraversa tutte le galassie e, di pianeta in pianeta, buco nero in buco nero, stella cadente in stella cadente… mi svago.

Quindi la mia idea di svago è semplice: vagare nel mio Iperuranio.

Che in soldoni significa che non stacco mai. Non mi rilasso neppure quando vago con la mente a corpo fermo. Tutto ciò è inquietante. Com’è possibile che ogni Essere Vivente sulla faccia della Terra sia dotato di neuroni-svago e io no? Non sono di questo pianeta, probabilmente.

Dipenderà forse dal fatto che non sono in cerca di divertimento? [non lo so il perché, è così e basta, non mi voglio neppure immaginare il perché]

Ok, prendiamo in considerazione che sono più affezionata all’idea impiego-il-mio-tempo-progettando-e-realizzando-cose-meravigliose piuttosto che gonfio-palloncini-per-farli-volare-in-cielo e che questa è comunque una posizione estrema. Diamo anche per scontato che, molto molto molto probabilmente, il mio vagare sia decisamente più svagante di uno svago classico. Cosa potrei fare, dunque, per avvicinare la mia idea di svago a quella del resto del mondo? Fingere di essere umana? Non sono credibile, sorry. Convincere tutti che il mio svago sia di miglior fattura del loro? Non ho energie sufficienti, sorry.

Ecco, posso fregarmene. E se qualcuno oserà chiedermi se mi sono divertita nel weekend potrò con orgoglio dichiarare: ho vagato nel mio Iperuranio ed è stato fantastico. Non mentirei, in ogni caso, oggi è stato fantastico. Davvero.

 

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(875) Filante

Mozzarella filante, questo mi viene in mente. Ma anche stella filante, certo. Poi sono andata a recuperare il dizionario e ho trovato anche: affusolato, slanciato, aerodinamico. Eh. Filante, come un siluro. Ci devo pensare su.

A volte penso che penso troppo. Dovrei smettere. Forse.

Non è che basta deciderlo. Magari. I pensieri sono filanti, come la mozzarella sulla pizza. Lasciano la scia quando li tiri, in qualsiasi direzione. Quando rimangono così attaccatti l’uno all’altro fanno filare il discorso. 

Sì, pensare troppo non mi fa troppo bene. 

Ritornando a tutto ciò che fila, mi piacerebbe tanto che una volta o due quello che per me fila filasse anche per gli altri. Presente quando costruisci un bel discorso che chiude il cerchio e tutto torna, la perfezione della logica si compie? Talmente evidente che manco ci sarebbe bisogno di spiegarlo. Lo guardi e capisci. Ecco, sarebbe bello che una volta o due mi riuscisse la magia, perché in certe giornate mi piglia uno scoramento smisurato nel constatare che c’è bisogno sempre di spiegare spiegare spiegare spiegare… Alla fine, dopo tante parole si torna al punto di partenza: embhé?

Eh. Ma che parlo a fare allora? Niente, ritorno al pensiero puro, a quello che rimane in testa e non ha bisogno di essere condiviso, quello che può filare e restare filante senza che questo comporti nient’altro. Sto lì e contemplo la perfetta filatura della mia mozzarella stesa sulla mia pizza sinaptica e faccio della contemplazione la mia ragione d’essere. Mi trasformo in un filosofo filante, uno con lo scazzo per il mondo, uno di quelli che stringe il cuore e smette di occuparsi dei piani bassi per proiettarsi nel suo magnifico iperuranio. Uno che se ne fotte del condividere e del confronto. Uno che ha in sé le domande, le risposte e i punti e le virgole. Tutto. 

Ok, detto questo vado a rispondere a un paio di email spiegando perché c’è bisogno di comunicare un po’ meglio. Non tanto, neh, soltanto un po’. Ma non credo userò i miei pensieri filanti, magari metterò un biglietto su un siluro e mirando bene…  

Maledizione.

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(563) Portale

Si apre una fessura e vengo risucchiata nel mio iperuranio e non mi fermo più. Posso continuare a parlare per ore, senza perdere un colpo, andando a braccio, finché qualcuno non ha il buonsenso di fermarmi. 

Mi è successo anche oggi, oggi che avevo davanti a me sette anime accoglienti che volevano sapere cos’è una storia e come si scrive una storia… non ricordo neppure quello che ho detto, ma so che tutto aveva un senso: solido, tangibile, prêtàporter. Lo do per scontato. Nel mio iperuranio funziona così.

Dal canto mio, però, ricordo quello che queste sette anime mi hanno raccontato, ricordo le domande che mi hanno fatto, ricordo i loro visi, nomi, sorrisi e quelle zone scoperte che chiedevano un riempimento. Non so se per qualcuno questo può avere senso, ma so che lo ha per me. Non mi serve altro.

E ho superato anche il chi-sono e il cosa-faccio, ho superato il quanto-valgo e il quanto-non-sono-abbastanza, ho superato il cosa-vorrei-essere e anche il cosa-non-sarò-mai… sono approdata al chi-se-ne-fotte-sono-quello-che-sono. E non è che sia un posto comodissimo, neppure splendente, men che meno rassicurante, è soltano una zona dove posso riposarmi. E ho un disperato bisogno di riposarmi, quindi starò qui, che sia per un anno o per sempre non ha alcuna importanza, starò qui.

Varcherò il mio portale ogni volta che potrò, accederò al mio iperuranio ogni volta che vorrò, respirerò aria pura o veleno a seconda della disponibilità. Sono civetta, d’altro canto, senza chiedere il permesso e senza chiedere scusa vivo nella notte più che nel giorno e la mia notte è infinita e non così spaventosa. Lascio che luce mi sia da guida, e nella notte ogni luce ha più potenza.

Ad occhi aperti. Sempre.

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