(1085) Ineluttabilità

Ci sono idee geniali che non concretizzerò mai. Una dura realtà che faccio ancora fatica a digerire nonostante la mia età non più verde. E di idee geniali ne ho almeno una al mese, che appena arriva si prende il mio cervello e lo stressa finché non ne esce con una certa sostanza (in parole, opere o omissioni).

Sono contenta che vengano a me nonostante io sia inabile a render loro onore, ma si dovrebbero prendere la responsabilità di una scelta (caduta su di me) piuttosto discutibile. Comunque, imperterrite, queste idee luminose arrivano, mi colpiscono e poi scemano. 

Alcune le vedo realizzate – dopo mesi o anni – da altri Esseri Umani ben più abili di me, e non mi dispiace perché saperle perse è una sofferenza. Ciò che è geniale (bello, buono, luminoso) non deve essere sprecato. 

Ci sono anche idee meno geniali, ma del tutto dignitose che mi sfrecciano in testa con quotidiana sollecitudine. Le riconosco come tali e del tutto fattibili, ma per qualche oscura ragione (sospetto ce ne sia più di una) non riesco a posarle a terra e fare di loro quel che mi chiedono. Tolto il fatto che sono tante, sarebbe quindi oggettivamente impossibile seguirle tutte e concretizzarle tutte, mi comporta una grande soddisfazione quando riesco a realizzarne una. 

Al momento nella mia testa viaggiano con insistenza (significa che mi sfrecciano davanti agli occhi, in corsia preferenziale su una tangenziale sinaptica che mi attraversa il cervello da est ad ovest) almeno tre maxi-badass-ideas che sto per acchiappare e lavorare. No, non sarà una passeggiata, ma saranno avventure interessanti. 

Stavolta voglio essere chiara: non pianificherò, eseguirò e lascerò che le cose accadano. Se non accadono vorrà dire che ho scelto le idee sbagliate, o quelle giuste che però non portano a niente. Che è ancora peggio.

No, non sarà una passeggiata. Conviene mettersi in cammino o non arriverò mai.

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(984) Tangenziale

Ti costruiscono una tangenziale a due corsie, comoda, liscia e ti mettono un limite di 40 km orari. Una provocazione, senza se e senza ma. Ecco, mi sento così. Sto viaggiando a 40 e potrei fare in tutta sicurezza gli 80, ma se supero il limite arriva una di quelle botte che se le eviti è meglio.

Valutando tutti i nessi che mi possono venire in mente ora, sono tanti, uscirei volentieri dalla tangenziale, mi farei a 40 la provinciale panoramica e bon, mi godrei il paesaggio.

La velocità non è tutto, vero. Ma neppure la lentezza.

Succede che se non abitui il motore quello ti si dà ai minimi, si assetta a un regime da turista confuso e felice e perde mordente. È così, giuro. Ci sono persone che danno il massimo di sé quando sono rilassate – quasi morte – io invece no. Il contrario esatto.

Non solo: detesto tutto quello che mi rallenta. Non riesco a sorridere a tutti gli inconvenienti, gli imprevisti, le dannatissime sorprese. No. Mi state rallentando, santiddddddio, non ve ne rendete conto? Mi state rallentando e poi non riesco più a recuperare e resto maledettamente indietro rispetto a dove dovrei essere, vi rendete conto?

E quando sono in burn out da lentezza divento isterica (forse lo si era vagamente notato), aumentando di un paio di tacche il mio livello di insopportabilità sociale, trasformandomi in un pericolo per il genere umano. È imbarazzante, lo so, me ne rendo conto, ma non è che posso fare tutto io, vi ho avvertito e ora sta a voi. A voi che mi fate inciampare, imprevisti-inconvenienti-dannatissimesorprese, e che mi sbucate fuori da ogni dove appena sono concentrata il giusto per passare in quinta.

Vi avverto: toglietevi di mezzo.

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(919) Interferenza

La quiete. Proprio calma piatta. Non si muove niente e tu fai in modo che niente si muova, tanto sei altrove. Tutto perfetto.

Ma fare niente-niente-niente, mentre vivi, è davvero difficile. Anche quando dormi fai qualcosa, quindi per fare niente-niente-niente dovresti proprio impegnarti tanto, concentrarti tanto, insomma faresti comunque qualcosa perché il niente non viene spontaneo a chi respira.

Detto questo, è una palese giustificazione sia chiaro, tu provi a fare niente ma qualcosa fai. E non sai mai se quel qualcosa – piccolo, inutile, banale, da nulla – ti provocherà qualcosa. Lo fai perché qualcosa comunque devi fare, quindi lo fai. Ecco. Non si tratta di consapevolezza, si tratta di per-forza-di-cose. Bon.

Tu fai quelle cose da nulla e una di queste mette in circolo un disturbo. Un disturbo che parte da lontano, non te ne accorgi perché sei sovrappensiero tutta impegnata a non fare nulla. E quel disturbo trova una strada sua: prima attraversa il tuo deserto, poi attraversa le tue foreste pluviali, e poi – fatalmente sopravvissuto – arriva in tangenziale. Quando è lì è troppo tardi.

Questo fastidio s’è fatto i muscoli, e quando ti si para davanti non è che uno spintone basti. Dovresti estrarre la katana. Ma dove diavolo l’hai messa? Nella tua quiete, nella tua dannata calma piatta non ti serviva. Dove te la sei dimenticata? Non ce l’hai sottomano, quindi guardi quei muscoli e pensi sono-fottuta. Ma non lo dici. Maledetta interferenza, pensi, ma non lo dici. Dirlo sarebbe debolezza esplicita. Prima si muore e poi ci si arrende, tanto per inciso.

Fatto sta che questa muscolosa interferenza sta mandando in corto tutto il tuo sistema, ormai la quiete è ben lontana e ti sei giocata da tempo l’illusione che il fare niente ti avrebbe messo in salvo da tutto. 

Idiota.

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(902) Buonumore

Stamattina mi sono svegliata di buonumore. Ignoro il perché. Lo voglio ignorare. Comunque sia è una cosa bella. 

Ho addirittura affrontato la coda in tangenziale col sorriso, mentre ero persa nei miei pensieri. Ho riascoltato per la duecentomillesima volta in due giorni la voce di George Michael scivolare sulle note rivisitate di Roxanne, di Miss Sarajevo, di Secret Love… che voce indimenticabile.

Consapevole che la giornata, molto probabilmente, si sarebbe potuta guastare per un milione di motivi diversi, non ci ho dato peso. Il sole brillava, le cose da fare sono sempre tante, e come diceva Aristotele:

Il piacere nello svolgere il tuo lavoro mette perfezione al lavoro.

E scrivo tutto questo perché ci sono anche Giorni Così, così insensatamente gioiosi, che anche se non liberi palloncini colorati nel cielo, i palloncini colorati ce li hai in testa. E potrebbe non essere un bene, ma finché non c’è nessuno che te li scoppia facendoti tuonare le orecchie, male non fanno.

Non lo so, a volte ho degli istanti di lucidità, dove guardo davvero le cose per quello che sono e sono, tutto sommato, interessanti e anche divertenti. Magari non bellissime, ma divertenti sì, perché fatte di niente. Un niente che puoi soffiare via soltanto se lo vuoi, soltanto se le vedi nude. 

Le cose vanno e vengono, come pare a loro, e ti insegnano che non ci devi far conto, devi trovare il centro in altro. In te. Tutto molto banale, certo, ormai siamo assuefatti dalla New Age Spirituale, che fa un mescolone di tutto e sminuzza in aforismi concetti che hanno radici mica da poco. Ma tant’è…

E ci sono giornate come questa, dove tocco il mio centro e mi sembra proprio solido. E guardo le cose per quello che sono, trovandole interessanti. Divertenti. Magari non tutte belle, ma la bellezza è un fatto soggettivo. 

A me basta questo. Oggi.

 

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(734) Rugiada

Ho dovuto imparare a scrollarmi la rugiada di dosso al mattino presto perché il lavoro lo devi andare a incontrare e non ti viene a svegliare a letto come faceva la mamma quando andavi a scuola. Sono un animale notturno, una civetta direi, e questo fa di me lo strazio che sono: comincio a carburare leeeeeeeeeeeentamente e non andrei mai a dormire perché durante le ore tarde il mio cervello – quando non troppo devastato dalla giornata – inizia a funzionare alla grande.

Il mattino, un tempo, lo detestavo. Dovevo alzarmi per fare quello che odiavo fare. L’indolenza adolescenziale me la sono lasciata alle spalle, ma mi è comunque ostico il pensiero che la sveglia puntata alle 6.00 sta suonando e io non posso far finta di niente. Dentro di me l’imperitura lotta fra il chissenefrega e il fai-il-tuo-dovere è sempre cruenta come allora. Stoicamente mi alzo, stoicamente mi butto in doccia, stoicamente arrivo all’auto e affronto la solita coda in tangenziale. Tutto peeeeerfetto.

Mentre percorro gli oltre 30 chilometri per recarmi in ufficio butto lo sguardo sui prati e sul ciglio della strada e quella rugiada che luccica pare un po’ la mia, quella che mi sgocciola dentro. Alla fine sono uguale a un filo d’erba. Considerazione illuminante, vero?

Senza crogiolarmi troppo in quest’ultima immagine, faccio presente che comunque preferirei essere a Bali e godermi il paradiso terrestre, che comunque penso che il mio mattino non abbia l’oro in bocca ma a malapena un ettolitro di caffè da ingurgitare, che comunque ‘sta cosa del viviamo di giorno e dormiamo di notte dovrebbe essere un’opzione e non un’imposizione, che comunque avrei preferito fare la rockstar che qualsiasi altro lavoro al mondo… ma.

Ma il mio cervello in parallelo pensa già a come affrontare ogni punto della lunga lista di cose da fare, a come risolvere quel tal problema, a che idea aggiungere alla presentazione che sto lavorando e via di questo passo. Il mio cervello, la parte che funziona e che non si piange addosso, si formatta autonomamente per permettermi di funzionare – nonostante tutto, nonostante me – fino a notte inoltrata quando appoggio la testa sul cuscino e mi arrendo all’oblio.

Il mio cervello asciuga la rugiada senza neppure il bisogno di un fòn. E io dovrei essergliene grata. Molto anche.

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(618) Piano

Piano piano il piano si compie. Inizio subito con la morale della storia, così almeno un riferimento l’ho dato. Perché scendere in particolari richiede tanta pazienza, soprattutto da parte di chi si ferma qui a leggere – per il quale nutro rispetto supremo, per questo eviterò di dilungarmi in un resoconto che è di poco interesse.

Vediamo se riesco a esprimere il concetto senza fronzoli: andare piano non mi piace, di solito, preferisco un’andatura sostenuta. Sempre, fuorché quando cammino. Quando cammino l’andamento forsennato mi fa salire l’ansia. Prima contraddizione? Forse, ma io sono un ricettacolo di contraddizioni – ormai è evidente a tutti. Riprendiamo il filo del discorso: andare piano significa che il risultato arriva dopo molto tempo dalla partenza. La strada può anche essere la stessa ma se la percorri a 50 all’ora, a 90 o a 130 le cose cambiano. Altroché.

In queste ultime settimane ho preso due multe per eccesso di velocità, per un chilometro in più (oltre al limite + 5) e per 3 chilometri in più, considerando che sono stati gli unici due giorni in cui non ho trovato coda in tangenziale ho valutato che la stramaledetta coda quotidiana mi permette di non consegnare il mio dannato stipendio direttamente nelle casse del comune a fine mese. Assurdo? Sì, ma andare piano mi obbliga a metterci un’ora e anche oltre (se piove il tempo si può dilatare a dismisura, non ho ancora capito perché) al mattino e altrettanto a fine pomeriggio e la cosa mi sta demolendo i nervi. Quindi l’assurdità è motivata, ho i nervi demoliti.

Ritornando sul concetto iniziale: andare piano ti obbliga a rallentare tutto, sì, bellissimo, godersi il momento e tutte queste cose meravigliose, ma la vita non è che rallenta, lei ti passa sopra come uno schiacciasassi e gli anni corrono e tu andando piano non li rallenti mica, quelli vanno vanno vanno e ti ritrovi nella tomba prima ancora di aver raggiunto la prima tappa del tragitto. Porca miseria.

Mi piacerebbe che le cose nella mia vita – quelle belle intendo – non succedessero a rate minime con scadenze millenarie. Ci rendiamo conto o no che ho vissuto più tempo di quello che mi resta da vivere? Ci diamo una mossa o no? Vogliamo arrivare alle vere e importanti manifestazioni? Quelle che ti fanno fare un reale salto quantico, concreto non illuminazioni sconvolgenti… quelle vanno bene, per l’amor del cielo, ma mica ti risolvono i problemi. Le illuminazioni ti sollevano dai problemi, ma i problemi restano. Che tu te ne fotta perché ormai sei illuminato va bene, buon per te, ma i problemi restano lì e finché qualcuno non li risolve quelli non svaniscono da soli.

Ora, il mio problema – quello che sta lì da molto tempo – è che il mio avanzare è davvero lento, in modo sottilmente irritante, tenacemente sfinente, caparbiamente esacerbante. Non so se ho reso l’idea. Ecco. Se l’ho resa, molto bene, se non l’ho resa fa niente. Male che vada ho fatto sfoggio di un bel po’ di avverbi inusuali che mi capita raramente di utilizzare. 

L-e-n-t-a-m-e-n-t-e… concludo.

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(607) Nonchalance

Dovrei prendere certe cose con distacco. Dovrei. Ma non ci riesco. Eppure sono una persona pacifica, tranquilla, paziente, controllata… o almeno mi sono sempre considerata così.

Eppure se guardo ai fatti, a quanto poco tollerante e controllata riesco a essere quando mi toccano questioni per me cruciali, va a finire che non lo sono. Mi sbalordisce ‘sta cosa. Quando ho cominciato a non essere più pacifica-tranquilla-paziente-controllata? Lo ignoro.

Come può un punto e virgola messo da qualcuno al posto dei due punti scatenare il putiferio dentro di me? Ignoro anche questo.

Il tipo che oggi in tangenziale si è attaccato al baule della mia auto bestemmiandomi contro e facendomi i fari perché voleva passare – eravamo obbligati alla coda e facevamo i 70 all’ora – è pur sempre un mio simile, no? L’ho fatto passare e poi l’ho visto inchiodare cinque metri da me perché un camioncino gli aveva tagliato la strada costringendolo a rallentare ulteriormente, ed è lì che ho pensato che il karma istantaneo è di fatto una meraviglia. Ho riso di gusto, non sono riuscita a impedirmelo.

Reagire con distacco, elargire freddezza anziché sguardi fulminanti è un atteggiamento adulto, elegante, no? Sì, ma non ci riesco. Ascoltare un comizio politico che rasenta il folle, da parte di un decerebrato che pensa di essere il fenomeno della situazione, per la maggior parte delle persone è tollerabile quel tanto da cambiare canale e non pensarci più. Ecco, per me no, io mi costruisco un discorso di opposizione suddiviso in paragrafi e capitoli – tutto nella mia testa – e finché non ho scritto il finale non sono contenta.

Sospetto di non essere così normale come mi sono valutata negli ultimi quaranta-e-rotti-anni. Forse dovrei preoccuparmi.

Valuterò e mi farò sapere.

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