(743) Maestosa

Ho un’idea Maestosa della Vita. Di come la Vita è – nonostante tutto quello che di Lei possiamo farci (che non è granché perché non siamo capaci di azioni maestose se non di rado). Eppure la Vita porta in sé – e per sé – questa maestosità in ogni sua espressione. Basta solo farci caso e avremo davanti ai nostri occhi tutte le prove che ci servono.

Questa mia convinzione va contro ogni cosa che affronto quotidianamente perché la Maestosità in gioco non è sempre quella che ti porta carichi di felicità, e forse è ora di sfatare questo mito: la Vita ci vuole vivi ma non necessariamente felici, la scelta sta a noi.

Le proposte che la Vita ci mette a disposizione hanno un miliardo di variabili l’una, cambiano a seconda delle circostanze e degli intrecci e degli incontri e degli incidenti e degli imprevisti e delle sfighe o delle fortune. Variabili a non finire, variabili da perderci il sonno, variabili da sbattere la testa contro il muro. Talmente tanto e talmente tutto insieme che non lo si potrebbe definire se non nel modo che ho scelto io: Maestoso. Un dannatissimo Maestoso modo di farci attraversare ogni atomo dell’Universo con i nostri poveri sensi martoriati.

Come fare per non restare schiacciati da tutta questa Maestosità? Riconoscerla e rispettarla, credo. Non possiamo fare altro se non cavalcarla e sperare che non ci disarcioni. Non dobbiamo fare altro se non affidarci a quello che deve essere senza mai smettere di fare quello che dobbiamo fare: cercare e scoprire, cercare e provare, cercare e trovare. Pezzo dopo pezzo ci faremo un bel puzzle e ce lo guarderemo una volta diventati vecchi, ricordando un po’ e il resto inventando come fanno i bambini. Guarderemo il cielo invidiando le stelle che nonostante la mancanza di vita ancora sanno brillare. E saremo grati per tutto quello che di Maestoso ci avrà attraversato, perché la Vita avrà saputo prendersi cura di noi – nonostante tutto, nonostante noi.

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(111) Puzzle

Noi siamo le tessere del puzzle, ma qualcuno ci ha tolto la scatola con la nostra immagine di riferimento poco prima di arrivare qui.

Potrei dilungarmi giorni per spiegare questa mia conclusione, modesta e banale ma pur sempre mia, e non cambierebbe nulla rimarrebbe così: modesta e banale. E pur sempre mia.

Non è raro che le mie esternazioni siano modeste e banali, non lo dico come un vanto, anzi, ma è anche vero che sono il frutto di ragionamenti anche complessi che poi non riesco più a sostenere allora vado di semplificazioni e mi ritrovo modesta e banale. E affaticata.

Questa cosa del puzzle è perché li amavo molto da bambina, ne facevo di bellissimi (con tessere piccole e in numero spropositato), e mi sono resa conto qualche anno fa che mi stavo ricostruendo come fossi un puzzle. C’erano i pezzi di me sparsi in giro e, semplicemente, me li andavo a recuperare uno a uno per sistemarli bene. C’erano dei vuoti e ora ce ne sono molti di meno, mancava la cornice per la gran parte, ora sembra che la cornice ci sia tutta.

L’immagine la riesco a intravedere, forma e colori escono con forza, nell’insieme lo trovo bello questo puzzle, ma m’è venuto un dubbio: e se mi mancassero dei pezzi che non potrò inserire perché son finiti sotto il divano o li ha mangiati il cane o li ha buttati qualcuno nel cestino senza  neppure farci caso?

Mi sto rispondendo: pace. Sì, pace. Sarà quel che sarà. E non so se è una cosa buona oppure no.

[Sto per caso superando la mia mania di completare il quadro a tutti i costi?]

Mah! Vammi a capire!

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