(745) Bontà

Spesso ci penso, mi domando che cosa sia veramente la bontà. La bontà d’animo intendo. Mi domando se sia un sentimento o una condizione del cuore. Il sentirsi buoni quanto ha a che vedere con la bontà? Niente, credo, proprio niente.

Si misura la bontà? No, non credo sia misurabile, o c’è  e allora non ha limiti, o non c’è. Non ce ne può essere un po’ dentro a una persona, non ce ne può essere troppa. C’è o non c’è. Non si conta, non aumenta e non diminuisce. Non si può metterla da parte quando non conviene, non la si può inventare quando non c’è.

La bontà è quella cosa che sfugge al controllo, non si fa nascondere dentro un cassetto. La trovi sempre scoperta anche perché se non la sai riconoscere è come se fosse invisibile. Può agire nell’assoluto anonimato, chi non la vede è perché dentro di sé non ne ha e non sa neppure com’è fatta.

La bontà afferma se stessa senza bisogno di applausi, la bontà si fa portavoce di una Giustizia che non ha Dèi da servire. Bontà significa esserci nonostante tutto e nonostante tutti. Bontà è sentire quel peso, il peso di ogni cosa, e non scansarlo, piuttosto prenderlo in braccio per sollevare un po’ il mondo – anche se il mondo non ne ha bisogno – soltanto perché non esiste altra scelta anche quando la scelta c’è.

Bontà è uno sguardo che soccorre, una mano che ferma, una parola che sostiene. Bontà è una dolcezza di un istante, una negazione eterna, uno scostarsi silente. Non accetta valutazioni, non si cura delle opinioni altrui, non si sente sprecata o troppo preziosa per essere spesa.

Nulla di che vantarsi, nulla di che servirsi, nulla di che. Si fa fatica a trovarla, perché si pensa che non sia nulla. E lei, anche di questo, se ne frega.

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