(1060) Palla

Quando sta a te giocare la palla ovviamente le cose cambiano. È tutto nelle tue mani: la tua concentrazione, la tua determinazione, le tue capacità, la tua fortuna (sì, quella ci vuole sempre). Se la giochi bene, non puoi che migliorare, se la giochi male e non ti riprendi dalla delusione autoinferta rischi di schiantarti in un fallimento totale.

Avere una palla da giocare non è cosa ovvia. Potrebbe non succederti mai se pensi che l’occasione ti cadrà magicamente in mano. Conviene darsi da fare. Sempre.

Al di là che nella vita si vince e si perde a fasi alterne, e non è dovuto tanto al talento e alle capacità quanto a una serie infinta di varianti e variabili ambientali che a farne la lista non si finisce più, è anche vero che vincere fa sempre bene e perdere mica sempre. Dipende da come perdi. Ma non è del tutto vero neppure questo, perché se perdi per un soffio ti sale un nervoso che preferiresti esserti classificata ultima piuttosto che seconda a un punto di scarto. Eppure…

La vita non è una competizione a punti, ma a situazioni. Nel senso che se le situazioni che non ti vedono in pole position te le giochi comunque bene, al meglio delle tue possibilità, ti prepari il terreno per una probabile vittoria futura. E allora ci si dovrebbe chiedere: cos’è una vittoria? Uno stagliarsi sopra tutti per far vedere al mondo che sei il migliore, o una gratificazione concreta per un lavoro ben fatto a cui ti sei dedicato con passione? Eccoci. Non lo so.

Sinceramente, non lo so. Ho sempre pensato fosse la seconda che ho scritto, ma poi la realtà – le vittorie celebrate – sono le altre. Quindi una vittoria senza celebrazioni vale niente? Sì, è possibile. Quindi una sconfitta fatta passare per vittoria, celebrata come fosse una grande vittoria, può valere più di una senza celebrazione? Sì, è possibile.

Fatto il giro dell’oca con questo ragionamento del tubo, mi posiziono per giocare la mia palla. Conscia della mia preparazione onorevole, della mia determinazione onorevole, del mio impegno onorevole, della mia fortuna ancora da verificare. Devo però ricordarmi di celebrare, alla fine del gioco, con qualsiasi risultato avrò in mano, o non sarà valso a nulla.

Oppure no?

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(1004) Modellare

È difficile immaginarci come sarebbe andata se non avessimo detto o non avessimo fatto, o se avessimo detto e fatto anziché starcene immobili o andarcene nel momento in cui dovevamo restare. Si prende la via di Sliding Doors e si viaggia di fantasia. Poteva succedere di tutto, ci diciamo, per giustificarci (scampato pericolo) o per scusarci (mancanza di coraggio). Poteva.

Quel che facciamo è una manipolazione della nostra esistenza che perpetriamo con una certa nonchalance, come se non contasse nulla. Anziché prendere coscienza di come stiamo modellando il nostro oggi e il nostro domani ci rendiamo autori di un ieri che non volevamo e non vogliamo. E lo trattiamo come se non fossimo stati noi a decidere, a fare o non fare, dire o non dire.

Eravamo noi. Magari diversi da quello che siamo oggi, ma eravamo noi. Noi lì a modellare incoscientemente quel che poi sarebbe restato a testimonianza del nostro passaggio nel tempo.

Modellare significa dare forma. Dare una forma ci permette di riconoscere quel che stiamo creando come un’espressione del nostro volere e della nostra capacità di rendere concrete certe idee, certi pensieri.

Modellare quel che abbiamo tra le mani significa avere un’idea su quello che sarà il suo scopo, la sua utilità, foss’anche soltanto qualcosa di bello da guardare. Perché la Bellezza fino ad ora non è riuscita a salvare il mondo, ma lo tiene a galla. Onorevolmente, considerato che è rimasta sola a combattere la battaglia, lei sola a crederci.

Modellare è nelle nostre possibilità, è nelle nostre corde, sappiamo come fare e sappiamo anche farlo bene quando ci impegniamo. Dovremmo forse impegnarci più spesso. Se fossimo concentrati sul nostro modellare la nostra esistenza saremmo meno focalizzati sul disturbare o distruggere il lavoro di chi lo sta facendo, magari anche bene, magari anche meglio di noi.

Ma si sa, siamo qui per crearci fastidio l’un l’altro, siamo qui per rovinare quello che di bello ci è stato dato in dotazione nell’istante in cui abbiamo fatto il primo respiro. E pensiamo di averne il diritto, siamo tutti così annoiati dal nostro vivere.

Qualcuno, poco tempo fa, mi ha detto: meritiamo di estinguerci. E ho sentito una stretta allo stomaco rendendomi conto che è quello che ci meritiamo davvero. Poi ho continuato il pensiero per vedere dove mi stava portando e il pensiero si è preso cura di me ricordandomi che a molti sbagli si può porre rimedio e che a modellare un po’ meglio si fa sempre in tempo.

Bisogna soltanto credere che ne valga la pena.

Ne vale la pena?

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(849) Fuoco

Il fuoco ci insegna la giusta misura: riscalda e brucia. Il giusto fa bene, il troppo stroppia. Per l’acqua è lo stesso, per l’aria pure. Di terra, invece, sembra non ce ne sia mai abbastanza… quella ti sparisce sotto i piedi che è una meraviglia appena ti distrai un attimo. Gli elementi della natura cercano di riportarci a quelle leggi che ci governano – nonostante quello che ci raccontiamo – e che noi puntualmente sfanculiamo [il termine potrebbe risultare volgare, ma nel contesto non saprei infilarci uno migliore, il concetto rimane: ce ne fottiamo allegramente di quello che dovremmo invece mai dimenticare]

Il fuoco è associato alla passione. Avere il fuoco dentro è un’espressione che rende bene, no? Ti dà proprio l’idea che quel fuoco ti nutre, ti motiva, ti emoziona… ti infiamma (giustamente, che altro potrebbe fare?). L’idea è sbagliata. O per lo meno è parziale. 

Il fuoco deve essere alimentato, deve essere monitorato, deve essere convogliato. Non lo fa da solo, ha bisogno di una mente pensante che lo gestisce in modo che faccia quel bene che sa fare e non finisca col distruggere tutto. Questo metterci il discernimento in un concetto che d’istinto lo si sente come selvaggio, puro, esaltante, abbassa la temperatura drasticamente. Sauna finlandese. Eh. Allora facciamo così: mettiamo il cervello in salamoia e bruciamo tutto. Alé.

E lo si fa bene se hai quindici anni, ma se ne hai cinquanta le cose cambiano. La ricerca spasmodica del fuoco bruciante, tanto per sentire qualcosa, è profondamente grottesca. Uno scempio di possibilità, di potenzialità, di visione. Fammi capire: sei sopravvissuto per cinquant’anni e ora pensi di bruciare selvaggiamente di passione come non hai mai fatto neppure da adolescente? Se non l’hai fatto quand’era il tempo giusto, parti male, sei destinato al fallimento. Se l’hai fatto già, per quanto tu faccia non sarà mai la stessa cosa. Ti salirà l’amarezza e sarà lei a seppellirti.

Il fuoco.

Se ce l’hai, usalo bene santiddddddio!  [se non ce l’hai… vedi tu]

 

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(793) Candido

Spesso pensiamo che soltanto perché la nostra vita fino a quel momento è andata in un certo modo le cose sono destinate a restare così per sempre. Non riusciamo a vedere le pagine bianche che sono lì davanti ai nostri occhi che chiedono di essere riempite. Candidamente, entusiasticamente, creativamente. Non le vediamo.

Karen Blixen ha scritto che la pagina bianca è una risorsa perché contiene infinite possibilità. E come darle torto?

Invece noi ci facciamo sopra uno scarabocchio e poi ne prendiamo un’altra, un altro scarabocchio e poi un’altra pagina. Come se non avessero significato, come se il disegno alla fine non contasse nulla, ma il disegno conta, soprattutto alla fine. Soprattutto alla fine.

I segni che tracciamo non possono essere cancellati, ma possono essere modellati dai segni che seguono. Immaginarsi il risultato finale aiuta. Ti fa procedere in una direzione mirata anche se mai certa e definitiva. C’è margine di sviluppo in ogni storia, basta saperla guardare. Basta avere il coraggio di viverla.

Io ho deciso che ritiro fuori il mio coraggio, ma in modo diverso. Non traccerò più i miei segni dentro ai margini che già conoscono, li farò strabordare e li osserverò mentre prenderanno forme che ho sempre sognato. Solo sognato, mai vissuto.

L’ho deciso ora. Perché solo ora? Ora sono riuscita a vedere il mio disegno, quello che fino a oggi ho tracciato e ho visto i margini da cui posso uscire e mi sono chiesta: quando ti decidi a farlo? Mi sono risposta adesso, prima solo con il pensiero e poi con l’azione. Ma prima è il mio pensiero che deve immaginare il nuovo tracciato e poi il resto seguirà.

Sono pronta. Ora mi butto a letto e sognerò un nuovo sogno. Vediamo come va.

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(751) Paura

Le settimane corrono veloci, come le ore di sonno che dovrei fare e che non vedrò mai più. Una cosa curiosa, però, è che nonostante questa settimana sia stata delirante (da ogni verso la si voglia guardare), per me va bene così.

Le cose sono due: ho raggiunto il punto xyz dove la stanchezza non osa neppure avere più una soglia oppure il poter guardare oltre e vederci un futuro migliore mi sta sostenendo come mai prima. Potrebbe darsi tutte e due, in sinergia. Mah.

Focalizzandomi sulla seconda opzione potrei addirittura azzardare che se togli la visione del futuro a un Essere Umano gli togli la voglia di vivere il presente. E dirò di più: il futuro arriva comunque, sia che tu te lo sogni bene o che tu te lo mortifichi per bene. Lui arriverà e si espliciterà nonostante le tue speranze e nonostante le tue paure. Non è che avere speranza tolga la paura, questo no, ma avere paura distrugge la speranza, questo sì.

Vivere nella paura è giustificato solo per brevi periodi, ma alla lunga è intollerabile. Deve essere intollerabile. Se non lo è allora siamo in un bel guaio.

La mia paura esce fuori spesso, ma l’ho sempre calciata un po’ più in là, come se non fosse mai il momento giusto per occuparmene. Sì, sconcertante. O sono folle o sono scema. Una folle scema o una scema folle, molto probabilmente. Comunque sia questa cosa me la devo riconoscere, non c’è niente da fare. La paura la distraggo con i libri, con la musica, con l’arte, con le idee, con l’amore per le cose e per le persone. A lei gira la testa e si mette in un angolo. Appena le passa ritorna in campo e io ancora lì a farle lo stesso scherzo. Ci casca sempre.

Forse il miglior modo di fottere la paura è dedicarsi a qualcosa o/e a qualcuno senza farsi portare via dall’angoscia. Forse altro modo non c’è. O almeno, io ancora non l’ho trovato.

Contare tutte le facce della mia paura non serve a niente, sono più numerose di me. Contare tutte le possibilità per distrarle mi aiuta a calcolare il tempo da vivermi. Libera.

 

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(746) Posare

Ci sono pezzi che trovano il loro posto soltanto dopo anni. Molti anni. Non fanno altro che girarti intorno, non capisci cosa diavolo vogliano da te, sei anche pronto a lasciarteli alle spalle, andare avanti come se non fosse più importante. Niente da fare, ti ronzano sotto il naso senza posa, senza pace – loro e tua.

Sono certa che certi pezzi non andranno mai a posto, orfani di ragioni o di possibilità, ma prima o poi si stancano e vanno comunque a posarsi in un angolo o nell’altro preferendo il silenzio. E sono quelli che riescono a fare più male.

Alcuni pezzi ti chiedono di fare il primo passo, devono essere sicuri che non li ritirerai fuori ogni tre per due una volta che si sono sistemati. Bisogna stare attenti con loro, la sanno più lunga di noi.

Mettere in ordine i pezzi è sempre una buona idea, anche se costa fatica e se piuttosto andresti in Alaska in bikini. Mettere i pezzi al sicuro dove nessuno li potrà toccare ti aiuta a stare tranquillo, sai che se ti perderai puoi sempre ritrovarli lì e loro ti sapranno rassicurare.

Certi pezzi vanno a posto da soli, sono quelli meno importanti – forse – quelli che ti hanno lasciato un segno più leggero degli altri. Loro non si fanno pregare, in autonomia si posano un po’ qui e po’ là e si fanno dimenticare volentieri, sanno che quello che ti dovevano dare ti hanno dato e che i conti si son chiusi alla pari.

Quelli più tosti sono i pezzi che portano con sé delle domande perché di risposte ce ne possono essere più di una e non sai mai se quella che hai trovato sia davvero la definitiva. Rischi di illuderti per poi vederti ribaltare dalla risposta successiva e – magari – ancora provvisoria. Perché, ammettiamolo, certe domande non hanno risposte, contengono soltanto altre domande. Senza fine.

Ho imparato ad aspettare, potenziando la pazienza, forse perché ho imparato ad affidarmi o forse solo per stanchezza. Non lo so. Nel dubbio mi poso, guardando l’orizzonte sperando in un cielo di nuvole che corrono col vento che non ha posa.

 

 

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(703) Spirale

Arriva la pioggia, scende la temperatura e il mio cervello si rifà vivo. Molto rincuorante, giuro, pensavo di averlo perso per sempre. Un’afosa e infinita estate questa, temevo non sarei più stata la stessa, invece ho fatto l’appello e i neuroni che c’erano son rimasti e stanno ricominciando a respirare. Bene.

E a settembre si ricomincia a progettare. Inevitabile. Bene pure questo.

Per un anno me ne sono rimasta buona in disparte perché volevo concentrarmi su quello che stavo professionalmente vivendo. Non è stato facile, pensavo non sarebbe stato un problema, ma probabilmente zittire la mia parte artistica è stata una sofferenza pesante che ha influito sulla mia capacità di ritenermi soddisfatta di me stessa, intera. Ora, sembra, io possa ricominciare a esserlo: soddisfatta e intera.

Basta già questo pensiero a mettermi di buon umore, pare impossibile ma è così. E non lo so perché questa spirale non si rassegna e non mi fa scappare, non lo so, so soltanto che se le cose stanno così significa che così deve andare. Ogni volta che mi sono rimessa in gioco è stato un salto nel vuoto, questa volta no. So cosa posso fare, so cosa voglio fare, so dove voglio andare e so che non voglio andarci da sola ma con le persone giuste, quelle con cui si viaggia volentieri, quelle con cui si può condividere, quelle che se ci sono rendono tutto più bello.

Ho ancora e sempre bisogno di bellezza, avvolgente e appagante, e sono ancora convinta che la bellezza si possa creare con la forza delle visioni ben nutrite e con il fare insieme. Non ho intenzione di cambiare idea perché sarei infelice. Smettere di credere in quello in cui credo mi renderebbe cinica, arida, rabbiosa, pronta a scagliarmi contro tutto e tutti. Non voglio trasformarmi in un recipiente di amarezza e veleno. Voglio continuare a credere.

Come andrà? Eh. Se avessi la sfera di cristallo mi farei chiamare Madame Babsie e venderei le mie consulenze magiche come noccioline. Dico, però, che andrà bene. Comunque andrà bene. Per le premesse, per le possibilità, per la musica e per i sentimenti che il viaggio ha in sé. Sarà faticoso? Eh. Anche senza la sfera di cristallo posso rispondere senza dubbi che: sì, dannatamente faticoso. Eppure ne varrà la pena. Come lo so? Non è mai stato diversamente da così nella mia vita. Non vedo perché dovrebbe cambiare proprio ora.

I’ll sleep when I’m dead… e si ricomincia a cantare.

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(696) Palindromo

Il numero 696 di questo ***Giorno Così*** rimane invariato anche se letto al contrario. Detto l’ovvio, stavo riflettendo su come io sia solita leggermi correndo all’indietro (nel tempo e nello spazio) per cercare di capirmi meglio. Questa pratica se da un lato m’ha dato più di una soddisfazione, ora sta perdendo la sua carica positiva. In poche parole: mi annoio.

Conosco i passaggi a memoria, mi sembra tutto banale e privo di significato.

Dovrò cambiare tattica. Anziché all’indietro potrei leggermi di traverso. Questa interessante intuizione comporta parecchi problemi d’equilibrio, sono ancora titubante sul da farsi, non vorrei amplificare certe mie deviazioni sinaptiche e non ritrovarmi più – magari pensandomi Marilyn Monroe (mica si possono prevedere le conseguenze di una autoletturatrasversale, eh!).

Un po’ mi dispiace, perché davvero la mia vita letta dall’anno 1972 al 2018 e dal 2018 al 1972 non cambia di una virgola e in questa perfezione di forma mi crogiolo da un bel po’. Certo, non ho un’esistenza da immortalare in un’autobiografia capace di scalare le classifiche di vendita di tutto il mondo, ma conosco persone che hanno avuto possibilità ben più ricche delle mie e quando raccontano di se stessi ti vien voglia di buttarli al macero per quanto siano riusciti a non capire una benemerita mazza riguardo la vita. Le mie persone preferite, invece, sono quelle che hanno capito tanto e senza bisogno di molto e te lo porgono come fosse un dono da niente, con umiltà. Vabbé, ora sto uscendo dal seminato però, ripigliamoci.

Diamo per scontato che cambiando punto di vista, cambiando prospettiva, potrei trovare angoli interessanti del mio vissuto di cui ancora non mi sono presa carico, varrebbe la pena tentare, ma dal basso ci sono già passata, dall’alto ormai è un’abitudine, all’indietro è cosa nota, in avanti è decisamente pericoloso – considerato che il mezzo del cammin di mia vita è stato superato da un po’ e l’idea di aver così pochi anni ancora da vivere non mi mette di buon umore – non mi resta che prenderla in trasversale – come dicevo qualche riga fa. Non so ancora cosa significhi nel concreto, ma mi sono ripromessa di pensarci in questi prossimi giorni per vedere se riesco a venirne a capo.

Non so di tutto questo a voi cosa possa interessare, voi che gentilmente e pazientemente mi state leggendo, ma spero che qualcosa di utile in tutte queste cialtronate voi possiate trovare e magari usare meglio di come sto facendo io.

In ogni caso: grazie.

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(680) Dimostrare

Mettersi qui ogni sera per cercare di salvare un pensiero, uno soltanto, che sia frutto di riflessione meramente intelligente non è facile, lo confesso. Lo può essere per un mese, forse per due mesi, ma il gioco diventa sempre più duro con il tempo. Mano a mano che scavi dentro di te per trovare quel pensiero capace di trasformarsi in qualche riga di post, ti accorgi che o ti scopri un po’ o il gioco finisce e perdi la sfida. Dimostrare che posso farcela fa parte di quel solido know-how che mi sono costruita nei miei oltre 40 anni di vita, e non si scappa.

Dimostrare: che esisti, che vali, che sai pensare, che puoi fare, che sai fare, che vuoi fare, che concretizzi, che non molli, che ci tieni, che non ti tiri indietro, che sei all’altezza, che sai rimetterti in piedi, che sai dove guardare, che sai come fare per arrivare alla meta… che…

La lista è lunghissima, la lista non finisce mai, la lista non si completa: né con il tempo, né con le competenze acquisite, né con le sfide vinte, né con i progetti realizzati. Mai.

Sto cercando di capire, però, se può esserci un altro modo di vivere questa condizione, se c’è un modo per mantenere il respiro regolare e mantenere salda l’opinione che ho di me. Senza cadere e farmi calpestare. Perché non è tanto al resto del mondo che io voglio dimostrare qualcosa, ma a me stessa. Sono io quella che mette in dubbio le mie capacità, le mie possibilità, le mie qualità. Sono io. Devo dimostrarmi continuamente che ho una ragione per essere qui – nel mondo – e che è mio diritto esserci.

Dimostrare al mondo che ci sono e che è mio diritto esserci non è lo scopo, il mondo non mi sta chiedendo niente e – grazie al cielo – ignora tutto di me, persino la mia esistenza. Ed è un sollievo, ed è giusto così. Ma io? Cosa potrò mai fare, cosa potrò mai conquistare, cosa potrò mai ottenere per sentirmi nel posto giusto? Lo ignoro bellamente.

Quando prendo in mano un libro, pretendo che mi si dimostri che il mio tempo e la mia energia sono spese bene lì dentro. Se non è così, non perdono. Ecco, vorrei essere un libro che mantiene la promessa, vorrei essere un libro che si guadagna ad ogni pagina lo sguardo che cattura. Vorrei essere un libro non solo di parola, ma di sostanza. Quel libro che tieni sul comodino e non vorresti mai arrivare all’ultima pagina perché sai già che ti mancherà, ma che sei pronta a ricominciare dalla prima pagina perché sai che c’è ancora molto da scoprire ad ogni rilettura.

Sì, sono un’ambiziosa. Per fortuna, purtroppo.

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(660) Lordo

Il peso lordo delle cose non dovrebbe essere trascurato. Certo che poi è il peso netto che ci interessa, ma il peso lordo è il carico completo ed è fondamentale tenere ben presente che gli si aggiunge la tara e dobbiamo valutare l’insieme per capire se possiamo prenderci carico di tutto oppure va al di là delle nostre forze. 

Spesso il carico  è troppo. Noi pensiamo di poterlo fare, ma più che altro lo vorremmo e ci auguriamo di poterlo fare. Ci illudiamo di essere abbastanza forti, abbastanza capaci, abbastanza attrezzati. E non è che se arriviamo fino alla fine è perché lo siamo davvero, ma soltanto perché siamo stati ostinati, coriacei e stakanovisti – forse persino masochisti. Insomma, alla fine siamo stremati e ci domandiamo: “Ne è valsa la pensa?”. Quando te lo domandi, la risposta è ovvia: “No”. E ti senti un idiota.

Che noi possiamo fare quasi tutto – noi Esseri Umani – se lo vogliamo davvero, è un dato di fatto. Ma che tutto quello che ci mettiamo in testa di fare sia la cosa giusta per noi non è affatto detto. Anzi.

Non ho mai valutato con criterio il peso lordo, lo davo per scontato, facevo conto che siccome mi sentivo forte lo potessi maneggiare, domare, modellare mentre le cose si sviluppavano. Sono arrivata fino in fondo, sempre, senza darmi la possibilità di mollare prima perché sarebbe stato quello il vero fallimento: mollare anzitempo. La tara delle cose ha finito per seppellire ogni entusiasmo, ogni scintilla, ogni tremore, ha soffocato tutto dentro di me – tutto tranne la ragione. La colpa è mia, me ne devo prendere la responsabilità.

Mai sottostimare il peso lordo delle cose. Mai.

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(652) Farina

Indispensabile, ci ha permesso con un pizzico di creatività e di pratica di sopravvivere per millenni. E chi lo avrebbe mai detto che lo avremmo fatto così bene? Che avremmo imparato a usare la farina per alzare il livello di mera sopravvivenza a livello gourmet 2.0? La storia che ci racconta la farina ha dell’incredibile, secondo me, e non finirà mai.

Pensando a tutto questo, non so come sono arrivata a pensarci perché non ricordo da dove sono partita, ho iniziato a valutare quanto quello che poi facciamo nella nostra vita sia impastare la nostra farina – fonte di nutrimento in trasformazione – per farne qualcosa che risulti: buono, sostanzioso, diversificato. Ognuno di noi ha la sua ricetta per arrivare al risultato che più gli pare, dandosi la possibilità di risistemarla a seconda della necessità, dell’occasione, delle possibilità. 

Provo grande ammirazione per chi si è impastato per bene la propria esistenza, golosa di carpire segreti che mi sono ancora preclusi e che potrebbero aiutarmi a fare meglio. A volte, sotto, ci sono dei piccoli atti coraggiosi che potrebbero passare inosservati ai più e che hanno saputo creare un ambiente ideale per nuove e fortunate situazioni. L’importante è tirarsi su le maniche, alla farina aggiungere acqua e altri ingredienti che sappiamo indispensabili (sale, lievito ecc.), e di buona lena impastare. Farlo noi, non farlo fare a un robot. Farlo noi, metterci la nostra forza, la nostra volontà, la nostra tenacia. Sappiamo farlo, sappiamo come farlo, dobbiamo solo scavalcare due metri di pigrizia atavica, e che sarà mai?!

La ricetta ce l’abbiamo, non usarla sarebbe un vero peccato, no? 

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(641) Potenziale

Il potenziale è quella cosa che è in noi – come dote naturale – ma che se non lo aiuti non crescerà mai così forte da essere per te una risorsa reale. Chiamiamola una possibilità inespressa, che non vede l’ora di rendersi esplicita, ma che per farlo ha bisogno del nostro aiuto. Bisogna impegnarcisi, o rimane lì a fare nulla.
Tutti noi abbiamo un potenziale, chi fa finta di non averlo è perché non è disposto a lavorare per renderlo attivo e utile. Pigrizia? Indolenza? Stupidità? Boh, forse un po’ di tutte e tre o forse inconsapevolezza. Va’ a capire, siamo esseri complicati noi umani.
 
Non voglio farla molto lunga, ma credo che la più grande fortuna per un Essere Umano è scoprire il prima possibile il proprio potenziale per iniziare a lavorarci subito. Bisognerebbe nascere con un libretto d’istruzioni con su scritto la lista delle potenzialità e magari anche un altro paio di dettagli tecnici indispensabili per il normale vivere (ma di questo non voglio parlare ora).
 
Per esempio: sai memorizzare i numeri di telefono abbinandolo ai nomi dei proprietari. Taaac… sai che hai davanti a te una carriera come elenco telefonico umano. Ti metti su quel binario e la vita ti si srotolerà davanti come il tappeto della Mostra del Cinema di Cannes, liscio e rosso immacolato.
 
Diamo per scontato che non per tutti le cose possono essere così facili, ma mi sono domandata mille volte: se la mente di un criminale sa essere così efferata quando commette gesti atroci, perché non usare le stesse capacità per compiere grandi e belle cose? Energia buttata, potenzialità sprecate.
 
A parte le assurdità che mi possono uscire dalle mani in questa afosa serata di luglio, l’ho già detto quanto io odi l’estate?, la questione delle potenzialità è una cosa che mi sta molto a cuore. Quando vedo qualcuno che è riuscito a fare di una sua dote innata una grande risorsa per il suo benessere, mi commuovo. Splendido. Cosa chiedere di più? La tua felicità va a beneficio di tutti. Non sarai rabbioso perché gli altri hanno/fanno e tu no. Non sarai astioso perché pensi che qualcuno ti ha tolto qualcosa. Non sarai invidioso del benessere altrui perché avrai il tuo, costruito con le tue stesse mani prendendo il tuo potenziale e trasformandolo in fonte di ricchezza personale senza fine.
 
La grande, grandissima, capacità dell’Essere Umano di fare – fare in un miliardo di modi e con triliardi di combinazioni diverse – è una benedizione. Chi non ne approfitta vive al minimo, tira il freno anziché spiccare il volo. Non c’è nessuno che può farlo per noi, nessuno che ci crederà se non siamo noi i primi a crederci. Nessuno. Svegliamoci prima che la vita ci scivoli via troppo in fretta.
 
 
 
 
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(458) Underground

Sotto la superficie non è un viaggio da poco. Un po’ sospendi il respiro, non deve occupare troppo spazio per farti scivolare in profondità. Non esiste itinerario quando ti immergi, non c’è una strada già fatta da percorrere, vai al buio inciampando su questo o quello e tieni le mani davanti a te come se bastassero loro a mettere al riparo il tuo povero naso. Non è mai così, le craniate ti arrivano da subito, senza preavviso, con tutta la violenza possibile. E sanguinerai.

Non lo decido io quando, avviene e basta, e mi ci trovo già dentro fin sopra i capelli quando me ne accorgo. Dicembre sembra essere il mese prediletto, vai a sapere il perché.

Quello che veramente mi terrorizza è la possibilità di rimanere intrappolata nelle viscere di me stessa senza poter mai più risalire in superficie. Rimanere prigioniera laggiù, al buio, per sempre. Nessuno ti può garantire che non ti succederà, nessuno può salvarti se succedesse. E se ancora non è successo, non significa che non potrà accadere… magari oggi stesso.

Milioni e milioni di persone ogni giorno rimangono intrappolate durante un viaggio come questo e anche se le senti urlare non puoi correre ad aiutarle, non puoi nulla, neppure tapparti le orecchie per non sentire. Ecco come siamo messi: un Inferno.

Per darti una possibilità di risalita, però, devi trovare un appiglio. Anche un granello di sabbia potrebbe rivelarsi abbastanza solido da trarti in salvo. Usa le mani per tastare nel buio e trova la tua salvezza. Non aspettare troppo, le forze fanno in fretta ad asciugarsi e poi non ti rimarrebbe nulla. Non pensare troppo ai perché e ai come, fallo e basta. Scegli e basta. Esci e basta.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

― Italo Calvino,  Le città invisibili

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(327) Appunti

Sono quella cosa che faccio in automatico. Non è che qualcuno me lo abbia insegnato, sono proprio io che a un certo punto ho iniziato a farlo (a scuola, ovviamente) e non mi sono più fermata. Trovo che sia un’attività indispensabile per agevolare il mio cervello nel suo barcamenarsi quotidiano.

Non ho un gran cervello, diciamo che ha misure standard, insomma è quello che è e non l’ho visto crescere tanto negli ultimi 40 anni, giusto quel che bastava per adeguarsi all’età. Significa che, conoscendone i limiti, ho dovuto inventarmi qualcosa per rendergli il lavoro meno pesante. Prendendo appunti… giustappunto!

(ho sempre desiderato usare giustappunto in un mio scritto e ora l’ho fatto: bellissimo!)

Ritornando al topic del post, riflettevo sul fatto che un’attività privata, silenziosa e, per certi versi, poco divertente come questa, mi ha permesso di gestire una traballante emotività e un poco brillante Q.I. in modo decente, quel che basta per farmi sopravvivere e non è poco. Posso affermare serenamente che non mi è andata male, anche se non ho ancora imparato a vivere alla grande (e mi piacerebbe, ma ci vuole troppa energia e temo di non averne a sufficienza).

Il mio vivere umilmente – non lo dico per vantarmi, ma per focalizzare meglio la riflessione – non è dovuto a una scelta illuminata bensì a una mancanza di mezzi (intellettivi e fisici), eppure scartare le mancanze per creare onorevoli sostituti ha origine proprio nel mio geniale diletto del prendere appunti.

Su di me, sugli altri, su quello che vedo, su quello che non riesco a vedere… la lista può continuare all’infinito perché seppure il mio mondo sia nettamente delimitato da confini e orizzonti troppo vicini, la possibilità di prendere appunti su tutto il resto non vede, e non ha, fine. Me ne sorprendo pure io, ma è così.

Questo mi fa stare bene. Lo dico senza un grammo di umilità: ben fatto Babs!

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(302) Curiosità

Curiosity killed the Cat… sì, può anche essere vero, ma è un dato di fatto che la curiosità ti mantiene vivo. Se non te ne frega niente di scoprire cosa succederà domani, bé, sei finito.

E poi da lì il discorso si allarga, perché ci sono cose che se non le guardi con curiosità perdono valore. Anche per le persone funziona così. Se pensi che la persona che hai accanto non sia altro che quello che già sai di lei, se non curiosi negli angoli che ancora di lei non conosci, bé, è finita.

E la curiosità non si insegna, la si coltiva. Ti forzi ad andare oltre la pigrizia, oltre le umane e disumane resistenze, oltre. Dall’altra parte c’è qualcosa da capire, da scoprire, da ascoltare, da vedere… potrebbe essere quella cosa che ti ribalta l’esistenza, potrebbe essere la chiave che apre la tua gabbia, potrebbe essere la musica che stavi cercando, potrebbe.

Non sei curioso di vedere quello che la vita ha in serbo per te? Non dire no, datti una possibilità. Dopotutto te la meriti, non pensi?

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(288) Sciogliere

Ogni tanto, ho scoperto, lasciare sciogliere certi nodi che ti porti dentro è un atto d’amore nei confronti di te stesso. Siamo molto affezionati ai nostri nodi, come se fossero loro a dirci di che cosa e come siamo fatti. Non è così. I nodi ci ricordano dove ci siamo dovuti fermare perché siamo stati spezzati da qualcosa e siamo stati costretti a raccogliere i due pezzi di noi e legarli insieme per non farli scivolare via.

I nodi, quando abbiamo imparato a ricompattarci, devono essere sciolti. Non servono più.

Non che si sciolga anche il ricordo di quello spezzarsi e di tutto quello che ne è seguito (cose lunghe e dolorose), ma il nodo sì. Il nodo si scioglie, il nodo è lì per essere sciolto. Perché? Perché mentre lo sciogli ti rendi conto che la ferita là sotto si è cicatrizzata e tu sei già andata avanti, nonostante tutto.

Il nodo si scioglie e tu ti guardi di nuovo intera. Ma non come prima, mai come prima. Eppure, va bene così. Come potrebbe non andare bene visto che sei ancora viva? Viva e piena di possibilità, come se quel che è stato non fosse che un incidente di percorso. Ed è meglio crederci per affrontare attrezzati il prossimo e fare il nodo meglio e farlo durare il giusto. Soltanto il giusto.

 

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(287) Nessuna

No, non ho nessuna immagine di me da offrire al pubblico se non quella che ho. Una sola, non ne ho altre. E non mi dispiace.

Ammetto che a volte ho pensato che non potesse bastare, che non fosse adeguata, che non fosse all’altezza, che fosse sbagliata. È sempre durato poco e quando il pensiero passa vado avanti e basta. Potrei dare l’impressione di essere una gran presuntuosa – e forse lo sono – ma parto da presupposti non così ovvi come si potrebbe pensare.

Ho grande rispetto per chi è portatore sano di talento, di capacità, di qualità d’anima, di mente, di corpo e quant’altro, ma non provo un sentimento di sudditanza. Ammirazione sì, non sudditanza.

Non abbasso gli occhi, guardo il mio interlocutore dentro ai suoi con franchezza e curiosità. Come Essere Umano mi ritengo alla pari di ogni altro Essere Umano, differisco per caratteristiche, capacità, possibilità, limiti… tutti dettagli importanti, ma soltanto dettagli. Allo stesso modo guardo ai miei simili, senza paura.

Nessuna.

 

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(218) Pozione

Ben inteso: la pozione mica è sempre magica, tutt’altro. Spesso è un semplice decotto, un infuso blando, un medicamento placebo. Eppure adoriamo le pozioni.

La sola possibilità che lo sia, magica intendo, cambia tutto. La possibilità che si può tradurre meglio in: immaginare la possibilità. Solo immaginare che questa pozione mi darà la forza di Asterix me la fa prendere volentieri. Faccia anche schifo come sapore, i risultati saranno strabilianti.

Io la vorrei la pozione giusta per farmi diventare strabiliante. Non l’ho ancora trovata, ma ogni giorno mi aggrappo a una delle mie possibilità immaginate per farmi fare ancora un altro passo nella giusta direzione. Fosse anche una pratica stupida, una cosa da nulla, non la abbandonerei mai, per nulla al mondo.

Ho ancora un paio di possibilità immaginate che mi sorreggono quando le gambe cedono e sono loro il mio segreto, la mia pozione magica. Un goccio e divento strabiliante. Lo consiglio a tutti, posologia a piacere, effetti collaterali ridotti a un nulla. Tenere lontano dalla portata dei cinici e dei boicottatori di possibilità immaginate, ovviamente.

 

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(172) Equità

Equità 1. Imparzialità 2. criterio valutativo, svincolato da riferimenti di legge a cui il giudice può in certi casi ricorrere per affermare un principio di giustizia sostanziale: decidere secondo equità.

Decidere secondo equità mi piace. Mi piace l’idea che sta dietro questo concetto, qualcosa che ti fa sentire guardato con gli occhi giusti. Se è vero (e lo è) che non siamo tutti uguali (per fortuna e purtroppo) è anche vero che ci sono situazioni in cui fingere di esserlo provoca danni.

Sapere che possiamo andare oltre quello che è giusto o sbagliato e considerare l’Essere Umano semplicemente per quello che è – fallace – ci dovrebbe mettere al sicuro.

Eppure, preferiamo aggrapparci a criteri che valutiamo essere i capisaldi di una giustizia utopica, perché mero paravento per nascondere furberie del potere ormai scontate.

Questo in generale. Ora scendo nel particolare.

Se decido che – nonostante tutto – tu meriti una possibilità, io la possibilità te la do. Se valuto secondo equità che la possibilità te la meriti perché dentro di te c’è qualcosa di buono, qualcosa di bello, che deve uscire e non sa come fare, ma deve uscire… la possibilità te la do e mi prendo tutte le conseguenze del caso.

Se quello che ho visto si rivela essere soltanto un miraggio, pazienza. Non ne morirò.

Equità, è un pensiero che mi apre alla possibilità e me lo voglio tenere stretto.

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(113) Mente

Trovo abominevole che a scuola non si faccia neppure un minimo cenno a come funziona la nostra mente, la nostra memoria, la nostra logica (sì, neuroscienze in soldoni), credo sia abominevole.

Se un ragazzo non sa come funziona il suo cervello, come il suo cervello lo può gestire se non impara a gestirlo lui, come il suo cervello può salvarlo quando il suo cuore è a pezzi, come il suo cervello può essere la sua dannazione se non se ne prende cura e se non lo tratta in modo corretto, come diavolo può capire gli effetti devastanti sulla sua mente di una droga, dell’alcool e di ogni abuso in cui si potrebbe imbattere?

Facciamo innamorare i nostri ragazzi delle proprie menti, aiutiamoli a usarle bene, a guardarsi dagli inghippi cervellotici e a ampliare il più possibile la portata delle loro capacità.

Diavolo, facciamolo subito!

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(36) Pezzi

Non è semplice metterli insieme. Neppure sistemarli in modo che i contorni combacino. Non è un puzzle con le tessere ricamate ad hoc. Un rompicapo ha soluzione che sistema tutto, ma i pezzi una volta andati non si ricompongono più in un’opera intera.

Rimangono buchi, incastri poco felici, figure sbilenche. Una bellezza deturpata per sempre.

La bellezza, però, si può rinnovare. Devi venirne a patti, ovviamente.

Il corpo può andare in pezzi, il cervello anche. Il primo porta segni evidenti, il secondo non sempre. Qual è il danno più serio: quello che si vede o quello che si cela? Non lo so, nessuno lo può sapere credo.

Ecco perché bisogna diffidare da chi afferma con sicurezza che i tuoi pezzi  valgono niente. Chi può saperlo? Tu? Loro? Nessuno.

Nessuno può prevedere come i tuoi pezzi potranno rigenerarsi e creare nuova bellezza. Credo valga la pena scoprirlo, con pazienza e speranza.

Speranza? Sì, serve anche quella quando i pezzi sembrano ridurti anziché moltiplicarti. Tieniti saldo all’immagine che hai di te e non perderti d’occhio.

Qualcosa succederà. La tua bellezza si rigenererà.

 b__

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