(850) Stronzata

stronzata /stron’tsata/ s. f. [der. di stronzo], volg. – 1. [comportamento e azione da persona spregevole] ≈ (fam.) canagliata, (fam.) carognata, infamia, (volg.) merdata, (volg.) porcata, (volg.) vaccata. 2. (estens.) [azione, discorso, comportamento e sim., da stupido: ha fatto un’altra delle sue s.; smettila di dire s.!] ≈ [→ STUPIDAGGINE (2)].

Ogni stronzata sparata random da qualcuno è un’affascinante scalata. Io la vedo così. Se hai la voglia e il tempo di farti ‘sta scarpinata scopri sempre la meraviglia da cui è scaturita: che si tratti di un cervello atrofizzato o di uno geniale è lo stesso, sempre meraviglia rimane.

Come si riconosce una stronzata? Eh. Le migliori non le riconosci se non quando è troppo tardi e te la sei già presa in quel posto. Questa è la grande potenza insita in ogni stronzata. Parte come un niente per rivelarsi – col passaparola – letale. Al di là del giudizio (bene/male), bisognerebbe prendere in considerazione che la crescita di una ipotetica misera stronzata può subire un’impennata esponenziale fino a coinvolgere il mondo intero, ma che dico il mondo, l’universo intero. La Bullshit Power è la vera grande minaccia per l’estinzione dell’Universo. Bene saperlo, no?

Partiamo dal presupposto che chi sta dicendo una stronzata se ne renda perfettamente conto, la sta dicendo per intortare il suo interlocutore per un qualche interesse. Parte in malafede, insomma. Già lì ti verrebbe di dargli una testata, ma andiamo avanti. Lo ascolti che sta sparando una stronzata e appena te ne accorgi (ci potresti mettere un po’ più del previsto perché tu sei in buonafede e finché non scatta il campanello d’allarme abbocchi innocentemente) contrattacchi educatamente usando il buonsenso. Ok, rimani educata perché lo pensi soltanto superficiale o male informato o poco intelligente – dipende dall’interlocutore ovviamente – e pensi che riportandolo a una sorta di ragionamento la stronzata sparirà. Non è così. Bene. La discussione si fa animata perché il tizio non molla la sua stronzata, l’argomenta anche bene, la sublima a tal punto che in te un dubbio nasce. Stoooooooooooooooooooooop.

Zoommiamo per un istante su questo istante d’empasse: ti sorge il dubbio. Ok, sei una persona assennata e pure umile nel tuo porti, ma se il dubbio ti pervade e ti blocca, allora non va bene per niente e devi importi. Non serve l’educazione, non serve l’umiltà, serve presenza e assertività. 

Riprendiamo l’azione: lui argomenta, tu dubiti, lui si accorge del tuo istante di dubbio e raddoppia la dose. Tu che fai? Una testata. Ecco, questo sarebbe il finale perfetto. Fai partire una testata, lui è costretto a chiudere la fogna di bocca che si ritrova e la stronzata svanisce. Puf. 

Questo film mi piace, lo rivedrei ancora e ancora e ancora. La Giustizia trionfa, l’armata delle stronzate sta perdendo la sua forza, l’Impero delle stronzate sta barcollando, fra poco si ripiegherà su sé stesso implodendo. Tutto perfetto. 

Poi accendi la tv e finisce l’illusione.

Buonanotte Universo, perdonaci.

 

 

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(793) Candido

Spesso pensiamo che soltanto perché la nostra vita fino a quel momento è andata in un certo modo le cose sono destinate a restare così per sempre. Non riusciamo a vedere le pagine bianche che sono lì davanti ai nostri occhi che chiedono di essere riempite. Candidamente, entusiasticamente, creativamente. Non le vediamo.

Karen Blixen ha scritto che la pagina bianca è una risorsa perché contiene infinite possibilità. E come darle torto?

Invece noi ci facciamo sopra uno scarabocchio e poi ne prendiamo un’altra, un altro scarabocchio e poi un’altra pagina. Come se non avessero significato, come se il disegno alla fine non contasse nulla, ma il disegno conta, soprattutto alla fine. Soprattutto alla fine.

I segni che tracciamo non possono essere cancellati, ma possono essere modellati dai segni che seguono. Immaginarsi il risultato finale aiuta. Ti fa procedere in una direzione mirata anche se mai certa e definitiva. C’è margine di sviluppo in ogni storia, basta saperla guardare. Basta avere il coraggio di viverla.

Io ho deciso che ritiro fuori il mio coraggio, ma in modo diverso. Non traccerò più i miei segni dentro ai margini che già conoscono, li farò strabordare e li osserverò mentre prenderanno forme che ho sempre sognato. Solo sognato, mai vissuto.

L’ho deciso ora. Perché solo ora? Ora sono riuscita a vedere il mio disegno, quello che fino a oggi ho tracciato e ho visto i margini da cui posso uscire e mi sono chiesta: quando ti decidi a farlo? Mi sono risposta adesso, prima solo con il pensiero e poi con l’azione. Ma prima è il mio pensiero che deve immaginare il nuovo tracciato e poi il resto seguirà.

Sono pronta. Ora mi butto a letto e sognerò un nuovo sogno. Vediamo come va.

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(412) Uragano

Forse, in certi frangenti, lo sono stata. Distruttiva, intendo. Magari senza volerlo, soltanto per troppa vita. Boh. La questione è che ormai rifuggo gli uragani emotivi, proprio me ne guardo bene dall’esserne coinvolta.

Per certi versi è un peccato, è come perdersi un pezzo di vita, un pezzo di me. Per altri versi benedico questa mia scelta ogni giorno. Sono una dislocata mentale, ormai lo si è capito.

Virtualmente parlando l’uragano porta in sé potenza e furore, è ipnotico e devastante, ti dà il carico d’adrenalina e in certi periodi della mia esistenza ne avevo bisogno – anche come sorta di autopunizione o giù di lì. A pensarci ora, però, mi domando: ma cosa diavolo mi era preso? Perché mi sono messa in quella stramaledetta cosa? Pensavo forse di essere Wonder Woman?

Sì. O comunque non me ne fregava niente di essere devastata e portata via. Dato di fatto, poco felice ma vero. Mi sono anche chiesta per chi io sia stata un uragano, quanti danni io abbia fatto vivendo, quanti cocci mi sono lasciata alle spalle e se qualcuno ne è rimasto ferito. Facendo qualche calcolo: qualche volta. Non tantissime, ma alcune sì. Mi dispiace? In tutta sincerità, poco. Per un paio di queste proprio per nulla. Sono una brutta persona, lo so.

A mia discolpa posso dire che il mio essere emotivamente un uragano silente ha tratto in inganno anche me stessa, non me lo immaginavo di esserlo fino a poco tempo fa. Questo la dice lunga sulla mia presenza scenica nello spettacolo della mia vita, ma forse questo argomento lo affronterò in un altro dei miei Giorni Così e non ora.

Se l’uragano distrugge, aggiungo, la quiete può uccidere. Vorrei non morire di quiete, sarebbe un finale davvero deprimente. Un fallimento. A volte la vita non ti dà scelta, figuriamoci la morte. Eh.

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