(1060) Palla

Quando sta a te giocare la palla ovviamente le cose cambiano. È tutto nelle tue mani: la tua concentrazione, la tua determinazione, le tue capacità, la tua fortuna (sì, quella ci vuole sempre). Se la giochi bene, non puoi che migliorare, se la giochi male e non ti riprendi dalla delusione autoinferta rischi di schiantarti in un fallimento totale.

Avere una palla da giocare non è cosa ovvia. Potrebbe non succederti mai se pensi che l’occasione ti cadrà magicamente in mano. Conviene darsi da fare. Sempre.

Al di là che nella vita si vince e si perde a fasi alterne, e non è dovuto tanto al talento e alle capacità quanto a una serie infinta di varianti e variabili ambientali che a farne la lista non si finisce più, è anche vero che vincere fa sempre bene e perdere mica sempre. Dipende da come perdi. Ma non è del tutto vero neppure questo, perché se perdi per un soffio ti sale un nervoso che preferiresti esserti classificata ultima piuttosto che seconda a un punto di scarto. Eppure…

La vita non è una competizione a punti, ma a situazioni. Nel senso che se le situazioni che non ti vedono in pole position te le giochi comunque bene, al meglio delle tue possibilità, ti prepari il terreno per una probabile vittoria futura. E allora ci si dovrebbe chiedere: cos’è una vittoria? Uno stagliarsi sopra tutti per far vedere al mondo che sei il migliore, o una gratificazione concreta per un lavoro ben fatto a cui ti sei dedicato con passione? Eccoci. Non lo so.

Sinceramente, non lo so. Ho sempre pensato fosse la seconda che ho scritto, ma poi la realtà – le vittorie celebrate – sono le altre. Quindi una vittoria senza celebrazioni vale niente? Sì, è possibile. Quindi una sconfitta fatta passare per vittoria, celebrata come fosse una grande vittoria, può valere più di una senza celebrazione? Sì, è possibile.

Fatto il giro dell’oca con questo ragionamento del tubo, mi posiziono per giocare la mia palla. Conscia della mia preparazione onorevole, della mia determinazione onorevole, del mio impegno onorevole, della mia fortuna ancora da verificare. Devo però ricordarmi di celebrare, alla fine del gioco, con qualsiasi risultato avrò in mano, o non sarà valso a nulla.

Oppure no?

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(804) Strisce

Ho sempre pensato che il mondo fosse organizzato in strisce, più o meno irregolari e di varia portata. Credo di pensarla ancora così.

Una striscia è meno ingabbiata di una piramide a livelli. Al top stanno i fighi e alla base gli sfigati, così ci dicevano un tempo. Ecco, le strisce, secondo me, si fanno beffa di questa suddivisione e si estendono come cavolo vogliono loro. Dall’alto-in-basso/dal-basso-in-alto o da destra-a-sinistra/sinistra-a-destra o trasversalmente, ogni striscia contiene un bel pezzo di umanità con tutte le diversità possibili.

Credo, però, che tutto parta da due macro strisce: quella delle persone per bene e quella dei farabutti, e queste due strisce rarissimamente si vanno a confondere, e quando lo fanno sono anomalie che fan partire una tromba che ti deve mettere sul chi-va-là. Non penso che una persona per bene a un certo punto possa diventare un farabutto, potrà commettere degli errori (certo) ma la sua natura non muterà a causa di questi errori. Non penso neppure che un farabutto possa diventare una brava persona, può fare anche delle cose buone ma la sua indole rimarrà la stessa e appena se ne presenterà l’occasione rifarà vedere la sua vera faccia. Questo ragionamento molto basic potrebbe risultare irritante, eppure mi permette di non farmi illusioni. Se un farabutto mi fa un sorriso, non mi faccio distrarre, non mi faccio sedurre, so che la sua natura è ben lontana da quella di un agnellino e non mi permetto dubbi al riguardo. Tanto per dirne una: se mi insulti per vent’anni e poi mi sorridi chiedendomi il voto, se ti voto davvero, io sono l’idiota e tu sei il farabutto furbo.

La questione delle due strisce iniziali, mi semplifica forse troppo lo spettro infinito di sfumature dell’animo umano, ma è il mio modo di orientarmi nel mondo. Si parla di macro e non di micro. Le cose si complicano quando il rapporto umano si esplicita in un tu-per-tu. Ecco, qui mi sbaglio – lo ammetto – ma mi sbaglio sempre quando mi lascio abbindolare dalle sfumature. La questione delle due strisce mi ha, invece, sempre aiutato a ristabilire un po’ d’ordine nei pensieri.

Non dico che al mondo esista solo il bianco e il nero, dico però che il bianco e il nero sono agli opposti e sono i limiti del nostro animo. Una persona-per-bene non si confonderà mai con un farabutto, un farabutto potrà fingersi una persona-per-bene se ha davanti qualcuno che gli permette di farlo (per suo interesse o per dabbenaggine). Perché chi pensa il bene non vede il male. Chi pensa il male lo vede anche nel bene. Bisognerebbe rifletterci, secondo me.

 

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(606) Goal

Mai vinto davvero una partita, lo so, ma ho fatto tanti goal. Mai abbastanza, lo so, ma ne ho fatti tanti e pure belli. Quelli che te li riguarderesti mille volte perché sono il frutto di una strategia, di un disegno fatto per bene. Giusto che lo tenga presente, di tanto in tanto, altrimenti mi sembra che il tempo trascorso non sia servito a niente.

La grande ambizione, com’è ovvio che sia, è quella di poter vincere una partita, almeno una volta. Una tripletta coi controfiocchi, vittoria clamorosa e… adios, mi riposo per un po’. Sì, mi piacerebbe.

E lo so che ci sono campioni e poi ci sono io, lo so. So anche che ci sono partite facili, in cui manco mi ci metto, e partite quasi impossibili – le mie preferite, c’è da dirlo? – quindi non è che se non vinco è perché sono proprio una schiappa… è che alzando il tiro, magari manchi la porta proprio quando quel punto ti farebbe portare a casa la vittoria, e se perdi una partita così tosta sai che puoi sempre dare la colpa alla sfortuna (anche se la sfortuna non ne ha alcuna di colpa).

No, al momento non sono intenzionata a mollare. Sto aspettando l’occasione giusta per giocarmi tutto, ogni grammo di energia rimasta, e vedere come va a finire. Devo ammettere che non mi aspettavo di arrivare fino a questo punto e, un senso, questa lentezza perversa ce l’ha. Pazienza non ne ho più molta, forse anche questo potrebbe giocare a mio favore al momento opportuno. Ci sono cose da completare, percorsi da compiere, progetti da realizzare.

Ma che scherzi? Sono qui per questo.*** [cit. G.P.]

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(571) Dimensione

In un’altra dimensione sono straricca, proprio da buttare i soldi dalla finestra. In questa no. E non è bello. In quell’altra dimensione so farmi toccare solo dalle cose importanti, non mi lascio fermare dalle idiozie che ormai manco mi piovono più addosso perché han capito di che pasta sono fatta. In questa no. E neppure questo è bello. Sempre in quell’altra dimensione riesco a fare tutto benissimo, talmente bene che non ho limiti e non ho insicurezze e non faccio altro che fare cose grandiose che fanno stare bene tutti. In questa no. E anche se non è bello, ho imparato a conviverci.

La questione, però, rimane: ci sono cose che in questa dimensione mi sono precluse e non so il perché. Se lo sapessi me ne farei una ragione, smetterei di almanaccare e me ne starei buona, ma così è difficile far finta che mi sta bene. Non mi sta affatto bene. Ma proprio per niente.

Forse sto guardando troppi film della Marvel, lo ammetto, ma ci sono certi privilegi che fan comodo a tutti, soprattutto in questa mortificante dimensione astrale dove è tutto limitato e tutto soffocante. Ma non si può fare qualcosa? Non si può rompere la barriera dimensionale e far fluire un po’ di leggera-positiva-benefattrice energia rinvigorente anche qui da noi? No perché, è giusto saperlo, così si stenta a godersela la vita, davvero. Con tutta questa fatica della miseria ci si domanda sul serio e costantemente se ne vale la pena. Ti vien voglia di dormire tutto il giorno. Ti vien voglia di girarti dall’altra parte quando ti pare che l’occasione anche per te sia arrivata. Ti vien voglia di alzare le spalle quando invece dovresti giocare al rialzo. Per forza!

Vabbé, ora vado a vedere cosa combino in quell’altra dimensione cercando di non rosicare troppo. Pensa te come sono messa. Eh.

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(509) Ponte

Se potessi, tirerei un ponte per raggiungerti. Anzi, ti chiderei di percorrerlo e di arrivare fino a me. Non per pigrizia, ma per lasciarti la libertà di scegliere, di declinare l’invito, di rispedirmi il ponte indietro. Sarebbe una delusione, ma capirei. Io capisco sempre tutto. E non dimentico – e raramente perdono (non sono buona, no).

Un ponte è un’occasione (sempre) e a volte può essere un’opportunità. Quando ti si presenta, un’opportunità non aspetta che tu ti convinca ad abbracciarla, se ti vede titubante, scettico, insofferente, lei se ne va. Ha altri da tentare e zero tempo da perdere. Altri ponti da abitare.

Ci sono ponti che percorreresti correndo, altri a cui ruberesti il paesaggio con ogni sguardo a ogni passo (passo lento, ovviamente). Ci sono ponti troppo lunghi, che ti penti di averli presi almeno dieci volte prima di attraversarli tutti, e tornare indietro sarebbe una gran fatica e te la vuoi risparmiare. Altri ponti sono troppo corti, non ti danno il tempo di ripensarci che sei già arrivato dall’altra parte.

Ci sono ponti che si bruciano appena arrivi a destinazione, non puoi più tornare indietro da lì e chissà se riuscirai mai a tornare indietro.

Ci sono ponti che una volta percorsi rimangono solidi e saldi per sempre, quelli sono una benedizione e bisogna sapersene prendere cura.

Il mio ponte porta il tuo nome, se l’opportunità ti sembra poca cosa allora vorrà dire che lo lascerò frantumarsi per il gelo e il vento, per la pioggia e per il sole rovente che negli anni lo flagelleranno. Una volta che costruisco un ponte, una volta che lo chiamo per nome, una volta che azzardo un sogno, non ritratto.

Così è se mi pare.

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(338) Offerta

Mi sconvolge sempre quando davanti a un’offerta senza alcun doppio fine le persone reagiscono con sospetto. Specialmente se l’offerta viene fatta a persone conosciute (non estranei).

Partendo dal presupposto che non si offre qualcosa che ritieni essere una fregatura – mai, neppure agli sconosciuti – mi offende parecchio il pensiero che mi vuole in malafede mentre propongo qualcosa a qualcuno.

Credo sia il sospetto uno dei mali peggiori di questi tempi. Non dico sia ingiustificato, visto i costumi e gli usi che si sono sistemati piuttosto male negli ultimi trent’anni, ma adottarlo a prescindere e usarlo random penso sia incauto e possa creare danni quanto o più del procedere innocentemente dando per scontata la buonafede del nostro prossimo.

Saper accettare un’offerta non è cosa da poco, forse non ci viene insegnato, ma bisognerebbe impararlo. Sono certa sia un’occasione per farci umili e per provare quel sentimento illuminante che è la gratitudine.

Nutro profonda gratitudine per tutte le persone – benedette – che mi hanno offerto il loro aiuto, il loro sostegno, la loro stima, il loro rispetto in tutti questi miei anni di vita. Quando ho avuto bisogno di aiuto ho ricevuto un’offerta che mi ha sollevato e dato speranza. Anche se all’inizio mi risultava difficile per il mio spiccato orgoglio friulano, ho iniziato a capire davvero molte cose di me e della vita quando mi sono aperta ad accogliere le offerte, i doni.

Se ci penso mi commuovo.

 

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