(1035) Rassicurare

Credo che tutti abbiano bisogno, almeno una volta al giorno, di essere rassicurati circa qualcosa che li riguarda. Perché sì, possiamo tutto e siamo tutto e tutto insieme, ma di tanto in tanto (un paio di volte all’ora) ci prende una morsa allo stomaco, cadiamo in un baratro di dubbi e ci sentiamo niente.

Avrò fatto bene o male? Sarò fatto bene o male?

Cose così, che se non dai loro un peso sembra che un peso non ce l’abbiano, invece col tempo si depositano dentro di te e ti rendono cemento armato.

Cerchiamo gli occhi di chi ci sta accanto, che magari sappiamo essere occhi benevoli, per chiedere senza voce è tutto a posto?, va tutto bene?, va bene così?

Va bene così? E basta un mezzo sorriso, basta un cenno invisibile con il capo, basta una carezza che ci rimette in riga, di nuovo presenti a noi stessi e si va avanti. Magari non va tutto bene, magari non è il massimo che si possa desiderare dalla vita, magari non c’è più niente e il vuoto dilaga, ma possiamo farcela, possiamo sopportarlo, possiamo andare avanti. Ancora un po’.

Io ci faccio caso a quanti sguardi lancio al mondo e registro ogni sorriso, ogni cenno, ogni tocco benevolo che mi arriva. Sono tanti, grazie al cielo sono tanti. E ringrazio con un sorriso, con un cenno o con un tocco leggero chiunque sappia darmi quel pizzico di luce che mi rassicura e mi fa procedere con schiena dritta e senza troppa paura. A mia volta, spero di saper fare altrettanto, magari non spesso come dovrei perché ho dinamiche strambe dentro di me da tenere a bada, e spero che mi venga bene rassicurare chi per un istante si sente perso.

Perché non viaggiamo su rotaie, siamo passi liberi che sollevano sabbia e polvere e inciampano sui sassi e rotolano per terra se cozzano contro qualcosa. Come niente. Senza bussola, con poca acqua e il sole che ti scava la fronte. E i miraggi fanno più male al cuore che alla gola, veder svanire desideri e certezze può toglierti tutta la vita in un secondo soltanto.

Abbiamo bisogno di parole e di abbracci che ci facciano rimettere in piedi. Abbiamo bisogno di abbracci e sorrisi che ci facciano riprendere il cammino. Abbiamo bisogno di sorrisi e pensieri buoni che ci facciano guardare di nuovo all’orizzonte contenendo la vita per non farla scappare.

Abbiamo bisogno di essere rassicurati che così come siamo è ok. Semplicemente.

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(829) Bosco

C’è chi pensa che nel bosco si possa trovare soltanto il lupo e qualche fungo. Questa visione ristretta della faccenda non ha nulla a che vedere con lo storytelling, ovviamente. La cosa che impariamo vivendo, è che nel nostro personale bosco mentale ci possiamo mettere quel diavolo che ci pare e piace e le cose – udite udite! – possono comunque funzionare.

L’importante è che certe cose che nel nostro bosco hanno una loro ragione d’essere, ci rimangano lì dentro per sempre. Non è sano far uscire dal bosco tutto quello che ci abbiamo messo dentro, bisognerebbe tenerlo presente.

E non sto parlando soltanto delle perversioni e delle brutte cose – nel bosco le brutte cose proliferano, lo sappiamo – ma anche delle cose belle. Anche i fiorellini di Cappuccetto Rosso devono rimanere lì e non andarsene a spasso nel nostro giardino. Perché? Perché il bosco è finzione, la realtà è altro. Nel bosco tutto è di più: più luminoso e più oscuro, più intenso e più tormentoso, più accattivante e più ributtante. I colori sono diversi, i suoni, i sapori, gli odori… tutto è di più dentro al bosco. Fuori c’è la realtà.

La realtà ha momenti spettacolari, verissimo, ma il più delle volte ha colori sbiaditi e tempi sbagliati (troppo lenti o troppo veloci) e modi sbagliati. Sbagliati perché castranti. Castranti perché ti bloccano il sogno. Ti inibiscono l’immaginazione. Ti fanno venire una voglia maledetta di buttarti dentro il tuo dannato bosco e restarci per sempre.

Ecco, la realtà non ti coccola, non ti asseconda, non ti rassicura. Ti dà quel che ti deve dare e non ti chiede se gradiresti – forse – altro. Se ne frega.

Il trick, però, che può farti risultare la realtà meno mostruosa sta nel prendere una parte del tuo bosco – quella meno strong, tanto per intenderci – e inserirla di tanto in tanto nel contesto adatto. Quando ci vediamo un film, o leggiamo un libro, o ascoltiamo musica, o balliamo senza che nessuno ci guardi, o cuciniamo assorti nei nostri pensieri, o ci dedichiamo al giardinaggio, al bricolage, alle passeggiate, al bungee jumping… ecco, così.

Non sempre, di tanto in tanto. Non necessariamente in compagnia, anzi meglio se da soli. Non per staccarci dalla realtà, ma per assaporare il mondo con una diversa profondità, come se non fosse tutto racchiuso in quel che c’è o non c’è. Il nostro bosco ha piccole parti di concretezza disarmante, solo che nessuno ne potrebbe indovinare l’esistenza. Nessuno le può vedere. Tranne noi, ovviamente. Tranne noi.

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(799) Punti

Vado per punti, non ho altro modo per procedere. Non giro mai a caso. Anche se mi ritrovo a caso in un giro, dei punti li trovo sempre e se non ci sono li creo. I punti uniti fanno una linea, la linea ha un inizio e una fine. Questo mi rassicura (per la presenza di un senso) e nel contempo mi preoccupa (per ogni inizio che affronto) e mi intristisce (per ogni fine che vivo). Se questo non è un casino, ditemi voi che cos’è. 

Ma non voglio soffermarmi sulla mia sbrindellata emotività – che non è argomento interessante – vorrei parlare dei punti.

Da qui a lì. Da lì a là. Da là a laggiù o lassù… si procede, si avanza, si va. Andare per punti è un modo sensato di andare, credo. E andare in modo sensato è bello, semplicemente bello. Il punto è (dimostrazione pratica che andare per punti serve) che non tutti abbiamo lo stesso modo sensato di procedere, ma qualsiasi modo sensato di procedere lo fa per punti. E i punti si fissano molto in fretta, si fissano e si possono spostare qualora le cose cambiassero improvvisamente o avessimo soltanto cambiato idea. I punti non occupano spazio, sono arrivi e sono partenze. I punti non ti chiedono ragioni né resoconti, sono approdi, sono appoggi. I punti non reprimono la libertà, la creatività, la scelta, le sostengono, le fanno appoggiare meglio a una base mobile ma stabile, che non affonda.

I punti si fanno invisibili agli occhi altrui, ma sono stelle che brillano dentro di te e soltanto per te. Ed è uno spettacolo la costellazione che negli anni ho creato nell’intimo del mio cielo. Ne sono proprio orgogliosa. E questo è il punto.

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(746) Posare

Ci sono pezzi che trovano il loro posto soltanto dopo anni. Molti anni. Non fanno altro che girarti intorno, non capisci cosa diavolo vogliano da te, sei anche pronto a lasciarteli alle spalle, andare avanti come se non fosse più importante. Niente da fare, ti ronzano sotto il naso senza posa, senza pace – loro e tua.

Sono certa che certi pezzi non andranno mai a posto, orfani di ragioni o di possibilità, ma prima o poi si stancano e vanno comunque a posarsi in un angolo o nell’altro preferendo il silenzio. E sono quelli che riescono a fare più male.

Alcuni pezzi ti chiedono di fare il primo passo, devono essere sicuri che non li ritirerai fuori ogni tre per due una volta che si sono sistemati. Bisogna stare attenti con loro, la sanno più lunga di noi.

Mettere in ordine i pezzi è sempre una buona idea, anche se costa fatica e se piuttosto andresti in Alaska in bikini. Mettere i pezzi al sicuro dove nessuno li potrà toccare ti aiuta a stare tranquillo, sai che se ti perderai puoi sempre ritrovarli lì e loro ti sapranno rassicurare.

Certi pezzi vanno a posto da soli, sono quelli meno importanti – forse – quelli che ti hanno lasciato un segno più leggero degli altri. Loro non si fanno pregare, in autonomia si posano un po’ qui e po’ là e si fanno dimenticare volentieri, sanno che quello che ti dovevano dare ti hanno dato e che i conti si son chiusi alla pari.

Quelli più tosti sono i pezzi che portano con sé delle domande perché di risposte ce ne possono essere più di una e non sai mai se quella che hai trovato sia davvero la definitiva. Rischi di illuderti per poi vederti ribaltare dalla risposta successiva e – magari – ancora provvisoria. Perché, ammettiamolo, certe domande non hanno risposte, contengono soltanto altre domande. Senza fine.

Ho imparato ad aspettare, potenziando la pazienza, forse perché ho imparato ad affidarmi o forse solo per stanchezza. Non lo so. Nel dubbio mi poso, guardando l’orizzonte sperando in un cielo di nuvole che corrono col vento che non ha posa.

 

 

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(597) Triciclo

Mi sono resa conto che ritornare al triciclo è un sacrificio che mi sta troppo stretto. Non lo so, forse perché siamo nati per soffrire e la vita è comunque una merdaviglia e siamo tutti masochisti e via di questo passo. Che ne so il perché. Non è che ogni volta che mi passa un pensiero per la testa, prima di scriverlo qui, io faccia grandi approfondimenti. Lo scrivo e mentre lo vedo scritto, spesso, mi rendo conto che c’è bisogno di fare un passo oltre il confine del non-ritorno. Così, tanto per rassicurarmi di non essere totalmente pazza, anche se dentro di me il dubbio è forte.

Non sempre riesco a rassicurarmi. Ovvio.

Vediamo, quindi, di capirci qualcosa: stavo andando in bicicletta da un po’, due ruote, e viaggiavo libera e felice-a-fasi-alterne (a seconda del terreno che incontravo, specifico che io sono donna-di-pianura-friulana) e devo dire che malgrado tutto me la stavo cavando discretamente. Certo, avrei dovuto accelerare per passare a un livello superiore e molto probabilmente in un periodo di sfinimento ho dubitato di me più del solito e questo mi è stato fatale. Quindi cos’ho fatto? Ho parcheggiato la bici e ho trasferito il mio deretano su un triciclo. Meglio per quanto riguarda l’equilibrio, ma non è che sia meglio in toto. I casi sono due: o soffro di labirintite oppure la libertà perduta mi sta giocando brutti scherzi.

In un caso o nell’altro sto soffrendo. Ma soffrendo perché? 

Non lo so. Davvero. Davanti a me le possibilità si aprono come quando sei proiettata dentro le maglie di Matrix, da perderci la testa. La prima naturale riflessione è: incredibile quanto la sofferenza sia sfaccettata! Quando sei felice non è che stai lì a misurare quanto e come, sei felice e basta. Per la sofferenza le cose non sono mai così semplici. Niente è come sembra, pillola rossa o pillola blu? Porca miseria, Morpheo, che domanda è? Se le smagliature nella tua realtà fittizia stanno andando in malora non è che puoi far finta di niente. O ti butti o vieni buttato fuori.

Chiudi gli occhi e passa tutto?

Vabbé, divagare non mi aiuterà a risolvere la questione, devo capire perché il triciclo che a due anni era la mia massima idea di libertà, ora è diventato un mezzuccio di poco conto. La bici mi faceva dannare, porco diavolo! Non me lo ricordo più? Cosa è successo alla mia memoria? Cosa mi è successo? Cosa? C?

Ora mi sparo tutti e tre i Matrix di seguito, la risposta è lì dentro, ne sono certa.

Caricamento.

 

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