(1075) Targa

Definire sé stessi è un casino. Per assurdo, meno ti conosci e più ti è facile trovare una descrizione di te da offrire al mondo. Più approfondisci la conoscenza del tuo Essere e più le cose si aggrovigliano.

Ogni volta che mi si chiede di presentarmi dico sempre la cosa più idiota e inutile possibile. Del tipo: “Ciao mi chiamo Barbara e mi piacciono le ciambelle”.  Cose che se stessi zitta sarebbe meglio. Comunque oggi stavo pensando che sarebbe più facile interagire con le persone se girassimo con delle targhe che riassumessero in massimo una riga le nostre caratteristiche. Lo so, è un pensiero di estremo interesse per un dromedario dell’Alto Egitto ma soltanto per lui immagino, ad ogni modo ci stavo pensando e ho anche trascorso un po’ di tempo a valutare cosa ci avrei scritto in quella targa per presentarmi.

Ci sto ancora pensando.

Non ne vengo a capo.

Ero convinta che “Essere Umano Senziente e Pensante” (cit. il Maestro Italo Calvino) potesse bastare, ma la vaghezza non fa buon impressione su nessuno. Ho valutato che potevo trovare qualcosa di più caratteristico rispetto alle mie… caratteristiche. Quindi, si finisce sempre lì, potrei far presente che la mia attività principale è scrivere, con un secco: “Scrivo dunque sono” (ispirato dal “Cogito Ergo Sum” di Cartesio, ovviamente). Che per quanto sia drasticamente autobiografico, può risultare a tutti gli effetti un tantino supponente. Focalizzarmi sulle cose che per me nella vita sono importanti può fuorviare leggermente il concetto, comunque non mi basterebbero trenta targhe una accanto all’altra per completare la lista. Se dovessi analizzare quali sono le lezioni che ho appreso vivendo fino a ora si finirebbe con un onesto e demoralizzante: “Mi sembra di aver capito finché non ci ricado”. Tirare fuori sogni e desideri darebbero come risultanza un lapidario: “Non più”. E di questo passo si precipita nel burrone dello scoramento totale.

Insomma: nella mia targa ci metto i puntini di sospensione. Appena capisco da che parte prendermi vedrò di sostituirli con qualcosa di sensato. Per il momento circolerò nel mondo senza presentazioni di sorta e il mondo sarà libero e legittimato a leggermi come diavolo gli pare.

Bon voyage!

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(907) Femminile

Un viaggio affascinante quello che ti fa attraversare le età del femminile. Mentre le percorri non te ne accorgi, ma se le guardi alle tue spalle ricomponi un quadro di te interessante.

Non è che mentre cresci ti rendi conto del perché di certe scelte e del come le stai portando avanti, lo fai perché sull’onda della ricerca (tu che ti stai cercando, tu che ancora non sai chi sei) agisci d’istinto oppure scegli per gusto o – quando sei davvero fortunata – nutri la tua visione. La visione che hai di te e che vuoi che si compia.

E mentre lo fai, mentre ti nutri e cambi e cresci e impari e ti riaggiusti, lo fa anche il tuo femminile. Quella vena d’oro che non esiste soltanto perché sei un Essere Umano e sei viva, ma perché sei un Essere Umano Femmina e sei dannatamente viva.

La cosa che ti rende potente – se sei davvero fortunata – è scoprire che non ci sono regole imposte dalla società che possono fermarti. Tu puoi andare oltre. Non ci sono legami che ti possono bloccare. Tu puoi andare oltre. Non ci sono tabù che ti possono schiacciare. Tu puoi andare oltre. E quando impari ad andare oltre non c’è niente che ti possa rendere schiava. Tu sei oltre.

Se sei davvero fortunata lo impari in tempo. Se sei davvero fortunata riesci ad applicarlo alla tua esistenza e a raccogliere i buoni frutti. Se sei davvero fortunata comprendi che quelle scelte e quelle fatiche e quelle ribellioni e quelle cadute e quelle ferite e quelle maledizioni che hai superato, non erano finalizzate alla distruzione bensì alla costruzione.

Se sei davvero fortunata a un certo punto riuscirai a guardarti e a sorriderti perché sai benissimo come poteva finire e sai che ancora non è finita ma che finirà bene. Sei nel pieno della tua femminilità e hai imparato ad andare oltre.

Sono davvero fortunata.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(816) Tempo

Credo di aver fatto in tempo. Rischiavo di perpetrare il mio ostinarmi finché le corna non si fossero rotte. Sono solo ammaccate. Non è mica facile fermarsi e farsi due conti, anche se sospetti il risultato non giocherà a tuo favore, tendi sempre a procrastinare. Avere in mano la certezza non è bello.

Quando sai non c’è finzione che tenga. Non è bello.

Credo di aver fatto in tempo. Non mi sono ancora trasformata in una velenosa ciabatta sfatta. Sono ancora moderatamente decorosa – dentro e più o meno fuori – da poter trascorrere i prossimi anni con dignità. La dignità che è obbligo di ogni Essere Umano. 

Credo di aver fatto in tempo. Me ne accorgo quando guardo la televisione, quando navigo in internet, quando saluto persone che conosco, quando sorrido a persone che non conosco. O quando mando a quel paese persone conosciute e sconosciute, perché quel genere di umanità mi fa proprio schifo.

Credo di aver fatto in tempo. Che non significa che sono fuori pericolo, ma che se continuo a prestare attenzione, forse, riuscirò a non cascare nel fango per trasformarmi in una porcata di Essere Vivente. Sono onorata di poter condividere il mio tempo e la mia energia con chi la pensa come me e vive come me, senza mai dimenticare la propria fortuna e le proprie origini. Che anche questo conta, altroché se conta.

So di avere fatto in tempo ed è un sollievo. Davvero.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(711) Presupposti

A volte penso che siamo fatti di anelli, come gli alberi. Ogni persona vive la propria vita a periodi e ogni periodo si sviluppa allo stesso modo: inizio-crescita-apice-decrescita-fine. Un anello. 

Se facessimo attenzione a questo particolare ci renderemmo conto che non è affatto facile leggere gli anelli che compongono una persona, non sono evidenti sulla pelle che la ricopre, bisognerebbe far entrare il nostro sguardo fin nelle viscere e allora sì potremmo avere una mappa veritiera del suo Sé, potremmo dichiarare: la conosco.

Ogni anello è una storia, una storia lunga anche anni perché non tutti i cicli hanno la medesima durata. Ogni storia parte da premesse conosciute per incasinarsi con incidenti di percorso e sorprese varie, leggere ogni anello comporta una conoscenza intima del Essere Umani. Solo pochi possono affrontare un’impresa del genere.

Quando raccontiamo agli altri i nostri anelli ne dobbiamo per forza fare un riassunto, tralasciamo le cose che non ci sembrano importanti e magari ci dilunghiamo su particolari che amiamo o che riteniamo fondamentali. Non siamo obiettivi, non possiamo esserlo. Mettiamoci poi il carico del pudore, della cautela, del buonsenso, del buongusto ecc. – tutto sacrosanto e lecito – come possiamo pensare che il nostro modo di raccontarci sia verosimile? In tutta buona fede, sarebbe comunque impossibile.

Chi riceve il nostro racconto si porta appresso i suoi anelli e il suo modo unico di mettersi all’ascolto – chi più distratto, chi meno – e anche lì in tutta buona fede, come possiamo pensare che riescano a leggerci in modo verosimile?

La comunicazione tra Esseri Umani non si può basare sull’ascolto o sul raccontarsi, bisogna spingerla oltre, bisogna spingerla oltre con l’intento dell’incontro. I nostri anelli e quelli del nostro prossimo se confrontati risulteranno molto simili per forma, non per suono forse, ma per forma sì.

Ogni albero differisce dall’altro, per specie se non altro, ma se li tagli scopri che gli anelli sono gli stessi. Ogni albero è un magnifico esemplare di vita, esattamente come noi. Mi domando, quindi, se non sia una questione di presupposti quella che fa crescere alcuni di noi storti. Se così fosse è da lì che bisognerebbe iniziare a lavorare, sui presupposti. Sarebbe già qualcosa, no?

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(694) Alieno

Essere un alieno può significare che provieni da un altro mondo, che appartieni a un altro mondo, ma anche che sei refrattario rispetto a qualcosa o a qualcuno: come al solito la lingua italiana si riempie di colore appena la sfiori. Quante volte al giorno ci succede? Centinaia. A tutti per di più. Siamo tutti goffi alieni che si muovono a tentoni e che fanno finta di avere tutto sotto controllo. Balle.

A me piacerebbe tanto incontrare un alieno capace di affermare non-lo-so quando davvero non sa qualcosa. Mi piacerebbe parlare con un alieno che non si vergogna di ammettere che non-può-fare qualcosa o addirittura che non-sa-fare-qualcosa. Sarebbe liberatorio. Non sarei sola in questo pianeta dove tutti sanno tutto e tutti sanno fare e possono fare tutto.

Io no. Ci sono milioni di cose che non so – anzi, miliardi – e altrettanti milioni di cose che non so fare o che non posso fare, eppure vivo. Forse non me lo merito, ma respiro lo stesso, anche se sono lontana dall’essere come vorrei, anche se la gran parte delle mie aspirazioni son finite in cantina e non c’è nulla di che vantarsi. Sono un Essere Umano finito, ho confini precisi e alcuni limiti che non mi sarà possibile superare neppure in cento vite. Pazienza. Non odio nessuno per questo, non c’è nessuno con cui prendersela, neppure chi può tutto, sa tutto, fa tutto e pure bene. Eh! Beati loro. Io no.

La cosa migliore di tutte? Nessuno si aspetta da me grandi cose. A tutti basta la mia normalità, quando ne hanno abbastanza se ne vanno liberamente, per andare a dimostrare altrove che sanno, che possono, che fanno. Magari ne danno annuncio sui social, perché se non lo racconti a qualcuno la questione perde il luccicore. Dal mio angolo alieno osservo: a volte ammiro e altre mi dissocio con fermezza.

Qui da me l’ordinario ha un sapore buono, che sazia, e quando qualcosa di straordinario accade lo si festeggia. Potrebbe non accadere più.

Noi alieni siamo fatti così. Portate pazienza.

 

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(515) Inarrivabile

Le stupidate che riesco a fare io darebbero filo da torcere a chiunque, ho raggiunto un livello tale da ritenersi a pieno diritto inarrivabile. Sul serio.

Oggi, per dirne una, ho trascorso il tempo a lamentarmi per un appuntamento serale che avrei voluto evitare con tutte le mie forze e che invece mi ha vista arrivare puntuale nel posto giusto ma nel giorno sbagliato –  un paio di mesi in anticipo, sigh – parcheggiando a casadidio sotto la minaccia di un diluvio imminente.

Ecco, cose così… ma ho fatto anche di peggio, altroché.

Un’altra caratteristica inarrivabile che porto avanti con orgoglio (giusto per non dovermi buttare a lago) è la mia ostinazione nel fidarmi delle persone. A prescindere io mi fido, poi me ne pento, anche subito, anche solo un nanosecondo dopo (e rimedio), ma intanto mi fido. Non lo so il perché. Sarebbe semplice vedere la causa nel mio essere istintivamente in buonafede, credo invece che abbia a che fare con il fatto che non vedo motivo per cui qualcuno dovrebbe raccontarmi una bugia. A che scopo?

Va bene, ho capito che la gente mente anche senza scopo alcuno, solo perché le va o perché non può farne a meno o perché ignora quale sia la realtà delle cose, eppure non riesco a partire scettica, è più forte di me.

Onestamente parlando, mi piacerebbe potermi vantare di essere inarrivabile per peculiarità più edificanti, purtroppo non ne ho. Le so riconoscere negli altri però e questo credo sia un buon modo per mantenere allertata la mia curiosità, nonostante la massa di trogloditi con cui ci troviamo a lottare ogni giorno.

Per me inarrivabile è la condizione di gioia intima anche quando tutto va al rovescio, mi piacerebbe incontrare un Essere Umano portatore sano di gioia… resterebbe dentro di me per sempre.

 

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(453) Lustrini

Sono una di quelle cose con cui combatto: ne sono attratta e respinta allo stesso tempo. So che sotto i lustrini solitamente non c’è niente di che, ma i lustrini sberluccicano che sembrano piccole stelle di luce… e così mi brilla un po’  il cuore, come se fossi ancora una cinquenne capace di sognare bei sogni.

Vabbé, vediamo di astrarre il concetto luce-che-sberluccica per sistemarlo dentro un discorso sensato non solo alla portata di una patetica cinquenne di mezza età. La realtà non è sberluccicante, per nulla, ma Madre Natura lo è. Madre Natura fa parte della realtà? Sì e no, non è parte della realtà, bensì è la realtà che ci si palesa per farci capire che dovremmo assomigliarle almeno un po’. Altro passettino al ragionamento: l’Essere Umano è sberluccicante? A volte, a intermittenza, spesso a sua insaputa. L’Essere Umano fa parte della realtà? Sì e no, dipende da quanto e cosa si è fatto (era una battuta).

Tirando le somme, non riesco a capire perché la realtà non sia sberluccicante se in potenziale comprende ben due condizioni che glielo potrebbero garantire: l’Ambiente e l’Essere Vivente. Cosa accade quindi? 

Credo che l’intermittenza psicopatica dell’Essere Umano vada a invalidare lo sberluccichio naturale della Vita sul Pianeta Terra, il che rende tutta la faccenda piuttosto schizzata. Non me ne capacito. Vogliamo davvero vivere in una realtà che non ha neppure un luccichio stellato? Vogliamo davvero opacizzare tutto per darci alla nebbia e alla tristezza? Vogliamo davvero spegnere ogni lustrino, ogni lucetta che riesce ad accendersi mentre noi brancoliamo stupidamente al buio?

Ma cosa abbiamo nel cervello? Le scimmie urlatrici? Come possiamo permettere che gli haters dei lustrini ci tolgano impunemente la gioia? Come pensiamo di sopravvivere se ci mancano i sogni quelli belli, quelli che a cinque anni ci riempivano il cuore di felicità?

Siamo degli idioti.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(382) Varie

… et eventuali.

Non nascondo che certe volte mi siedo qui, davanti alla mia tastiera consumata dai polpastrelli, pronta per scrivere e mi blocco. Faccio fatica a decidere l’argomento. Il titolo di questi post non è scelto alla selvaggia, c’è una logica di finto disordine alla quale sottostanno – a volte malvolentieri – e questo mi impone un certo rigore nel trovare qualcosa di blandamente intelligente da buttar giù anche quando parto dal niente.

Se parti dal niente e un’idea compare non devi far altro che seguirla. La osservi mentre si espande e mentre la traduci in parole ne ammiri la forma. Anche quando è bislacca o addirittura brutta, non sei nelle condizioni di ragionarla con obiettività quindi conviene evitare la zona giudizio e pubblicarla.

Un salto nel vuoto senza paracadute? No, non esattamente. Se non mi fossero spuntate le piume sulle ali non mi ci metterei neppure. Ho due alette da pollo, niente di che, non faccio voli lunghi né raggiungo quote impressionanti, ma due/tre metri li faccio. Comunque, saltando dal trespolo dell’aia attutisco la botta dell’atterraggio senza colpo ferire.

Se parti, invece, dal troppo – quindi troppe cose da dire – anziché farsi più facile si fa ben più spinosa la situazione. Tutto sembra urgente, tutto preme per uscire in contemporanea e permetterlo sarebbe un suicidio inutile quindi si va per esclusione. Il titolo s’impone. Regole che ho fatto io e, per quanto me ne possa pentire ogni sacrosanto giorno, le regole non si cambiano in corso d’opera. Non si fa e basta.

Scegliendo il titolo Varie, ho cercato di fare una furbata, non credo mi riuscirà tirare fuori qualcosa di decente. Un argomento troppo vasto ti boicotta la focalizzazione. Io funziono per focalizzazione, le cose vaghe mi mettono a disagio. Amo le parole per questo, definiscono e circoscrivono, quindi mi tranquillizzano.

Credo che la vastità sia cosa ingestibile per un Essere Umano. La Natura può, noi no. Dovremmo affidarci a Lei di più, noi limitiamo ciò che non dev’essere limitato soltanto perché non sappiamo gestirlo. Siamo patetici. Piuttosto di ammettere la nostra finitezza costruiamo muri e confini per spezzettare il disegno che ci contiene. Poveri noi.

Tutto questo mi riporta a un’origine lontana, lontanissima, dove varie cose si sono sistemate per permetterci di far parte del Tutto, dandoci il beneficio del dubbio. Non ci siamo meritati nulla, sia ben chiaro. Stiamo abusando del beneficio e la nostra arroganza è cresciuta smisuratamente. Abbiamo varcato ogni confine del buonsenso, abbiamo calpestato ogni dono riducendolo in polvere. (…)

Mai più titoli aperti. Mannaggia a me.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(355) Mug

Una delle mie fissazioni ormai celeberrime è quella delle mug. Ne ho parecchie, le uso tutte. Alcune spesso, altre saltuariamente, altre a periodi. 

Ora che ci penso ne ho una che non ho mai usato e che non userò, manco da morta, perché è bellissima. La tengo addirittura cellophanata. Rimarrà bellissima per sempre.

La scelta della mug che userò dipende da diversi fattori: dal liquido che deve contenere (tè, caffè americano, ginseng/guaranà, tisana, acqua, succo di frutta ecc.), da quanto ne voglio bere (le dimensioni contano – eccome), e – cosa non da sottovalutare – dal mio umore (tranquilla, nervosa, pensierosa, preoccupata, felice ecc.), di conseguenza anche da come vorrei sentirmi dopo aver finito di bere quello che ho scelto di bere.

La cosa eccezionale, ma davvero eccezionale, è che ci metto un secondo per decidere cosa voglio bere e la mug più adatta all’occasione. Spesso non ci penso neppure, vado dritta a prendermi quello che voglio senza sbagliare un colpo. Sono ovviamente guidata dal fattore “come mi sento e come voglio sentirmi dopo”. Tutto avviene in modo naturale, senza pensieri aggiuntivi, addirittura agisco sovrappensiero, senza frappormi tra me e il mio bisogno/desiderio.

Ecco, faccio così con il 99% delle cose che mi riguardano. Mi gestisco scegliendo in base a come mi sento e a come mi vorrei sentire. Se faccio la scelta sbagliata, non è imputabile al metodo che uso o all’intento, entrambi funzionano divinamente, quando non funziona è perché sono stata deviata nella scelta da qualcosa che arriva dall’esterno e che mi ha distratta, che mi ha fatto pensare meno a come mi sento e più a come non disattendere le aspettative di chi mi sta attorno.

Detto questo, una sola cosa mi resta da aggiungere: io funziono da Essere Umano, tutti gli Esseri Umani funzionano come me. Ognuno di noi si muove in base a come si sente e a come vorrebbe, invece, sentirsi. Questo particolare dovrebbe farci valutare diversamente certe cose, certe situazioni, certe azioni e certe persone. Non per giustificare, ma per capire dove sta il disagio e se c’è qualcosa che si può fare per sistemarlo.

Stasera tè alla vaniglia in mug grande, bianca con B stampata in verde scuro e edera attorcigliata color verde chiaro. Sto benissimo, grazie.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(287) Nessuna

No, non ho nessuna immagine di me da offrire al pubblico se non quella che ho. Una sola, non ne ho altre. E non mi dispiace.

Ammetto che a volte ho pensato che non potesse bastare, che non fosse adeguata, che non fosse all’altezza, che fosse sbagliata. È sempre durato poco e quando il pensiero passa vado avanti e basta. Potrei dare l’impressione di essere una gran presuntuosa – e forse lo sono – ma parto da presupposti non così ovvi come si potrebbe pensare.

Ho grande rispetto per chi è portatore sano di talento, di capacità, di qualità d’anima, di mente, di corpo e quant’altro, ma non provo un sentimento di sudditanza. Ammirazione sì, non sudditanza.

Non abbasso gli occhi, guardo il mio interlocutore dentro ai suoi con franchezza e curiosità. Come Essere Umano mi ritengo alla pari di ogni altro Essere Umano, differisco per caratteristiche, capacità, possibilità, limiti… tutti dettagli importanti, ma soltanto dettagli. Allo stesso modo guardo ai miei simili, senza paura.

Nessuna.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(262) Cerotto

Serve a unire i lembi della ferita per farli cicatrizzare dalle fide piastrine. Un’idea geniale. Fa quello che le parole possono fare quando le ferite non sono visibili, ma sanguinano nell’Anima. Quando le parole non sono sufficienti, forse, gli abbracci possono aiutare. Dipende.

Se smetto di credere a questo ho la sensazione che mi gioco gran parte di quel che sono oggi. Mettere parole-cerotti qua e là per permettere al tempo di sanare le ferite dell’Anima è un’occupazione no-stop che mi ha tenuta impegnata per gran parte della mia vita.

A volte, quando mi rendo conto su che filo sottile è sorretta la mia essenza di Essere Umano mi viene da ridere. Altre volte muoio di paura.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(230) Nutrimento

Riuscire a bastare a noi stessi è una bella sfida. Il nutrimento che possiamo ricevere da un altro Essere Umano/Essere Vivente può dissolversi in un istante. Anche senza ragione, anche senza colpe o responsabilità. Succede. E quello che fino a un minuto prima ti ha nutrito ora ti lascia il vuoto.

Il vuoto non è che sta lì in silenzio e si fa i fatti suoi, no. Il vuoto inizia a divorarti e lo fa a suo piacimento. Può durare molto a lungo, tu non lo puoi sapere quando si fermerà, quando sarà finalmente sazio. Non solo ti manca il nutrimento, ti manca la tranquillità per correre ai ripari, per iniziare a guarire. Crudele.

Allora decidi che devi imparare a bastare a te stesso, per evitare che succeda ancora e ancora e ancora. Un loop maledetto, inarrestabile. Maledetto. Maledetto. Maledetto.

Ci ho pensato molto negli anni, nei miei alti e bassi, nei miei pieni e nei miei vuoti, e mi sono chiesta cos’è che mi manca per riuscire a ottenere quell’equilibrio che mi permetterebbe di bastare a me stessa. Cosa?

Non lo so. Proprio non lo so.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(120) Rispetto

Mi voglio soffermare sul rispetto (dovuto e dato) con significato di considerazione. Considerare l’Essere Umano che ti sta davanti, o accanto, come tale e quindi portatore sano del diritto di essere rispettato, è l’unico modo per me di interrelazionarmi con i miei simili (inteso come Esseri Umani). Quando l’Essere Umano (chiunque sia) che ho davanti, o accanto, mi priva del mio diritto e mi manca di rispetto divento una belva.

Si dice che il rispetto uno se lo deve guadagnare. Bene, non sono d’accordo. Il rispetto (quello di cui ho scritto sopra) è dovuto di default. Dirò di più, coinvolge ogni Essere Vivente e Madre Natura in toto.

Ci si può guadagnare la fiducia di qualcuno, ci si può guadagnare l’amore di qualcuno, ci si può guadagnare la benevolenza di qualcuno, non il rispetto.

Mi è stato insegnato, purtroppo, che non va bene alzare la voce per rimettere a posto qualcuno che ti manca di rispetto. Un insegnamento fuorviante. Credo che sia nostro diritto non solo alzare la voce, ma anche usare parole ferme e pesanti quando chi interagisce con noi ci manca di rispetto.

Avrei dovuto impararlo prima, mi avrebbe aiutato parecchio, ma in questi giorni sto cozzando su più fronti contro queste cose e sento un dolore profondo, come se mi si fossero presentate davanti una dopo l’altra tutte le umiliazioni che nei miei anni non ho mai saputo rispedire al mittente.

Una sorta di catarsi.

Spero finisca presto.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(105) Gradino

Quel momento in cui stai alzando la gamba per poggiarla sul primo gradino. Mi sento così. E mi sento anche piccola e piena di aspettative. Non me ne importa nulla se poi le aspettative verranno deluse, in questo momento tutto è possibile. Questo essere tutto nello stesso momento e nulla di reale è una condizione benedetta. Benedetta.

L’ho provata tante volte. Il dopo non è stato sempre all’altezza, anzi, ma non importa. Non importa perché in questi momenti io sono alla mia massima ampiezza come Essere Umano. Piena di aspettative e pronta ad accoglierle con il cuore che trema.

La realtà, domani, sarà quel che deve essere, non è così vitale che tutto vada alla grande come io vorrei.

L’importante è ora: io al massimo della mia ampiezza. Chi se lo immaginava, dopo tutti questi anni, che ne ero ancora capace.

Accidenti!

Share
   Invia l'articolo in formato PDF