(1059) Distruzione

Questo senso di paralizzante distruzione ce l’ho addosso – come qualsiasi Essere Umano con un minimo di coscienza – da un bel po’. Vedo che il nostro pianeta si sta squagliando per il troppo caldo (il fuoco che brucia le foreste in Amazzonia e in Siberia e i ghiacciai che si sbriciolano ai Poli) e mi rendo conto che una volta che il disastro inizia non puoi che stare a guardare e sperare che finisca presto e si esaurisca senza creare una distruzione senza più alcuna cura possibile.

Diamoci il carico con la nuova Chernobyl (Severodvinsk) che in Russia sta liberando scorie radioattive di cui non si conosce la portata con la già ben nota catastrofe di Fukushima che rimarrà ancora a nostro carico per il prossimo millennio… serve continuare?

Non possiamo farci niente. Me lo ripeto perché mi sembra inverosimile, mi sembra assurdo, mi sembra fuori dal mondo. Me lo ripeto perché spero di non sentirmi responsabile di qualcosa che non si può controllare, non si può gestire, non si può prevedere perché sappiamo solo una millesima parte di quello che qualcun altro sta facendo alla Terra (che è casa di tutti, non solo di quelli che decidono di fare e fanno fregandosene degli altri).

E mi domando: mi hanno convinto? Mi stanno convincendo apposta per neutralizzare ogni movimento, ogni pensiero, ogni speranza? Mi stanno sbriciolando ogni buon proposito per agire indisturbati e distruggere distruggere distruggere distruggere finché non ci sarà più nulla da distruggere e ben poco da ricostruire?

Lo spirito si rialza e si arma e si prepara. Ma a fare cosa? Una manifestazione in piazza. Certo. Perfetto. Facciamoci infilzare dalle baionette come dei veri rivoluzionari, che Robespierre sarebbe orgoglioso di noi.

No. Guardiamoci negli occhi e facciamoci un favore: basta balle.

Sta finendo il mondo. E noi con lui.

Sorpresa? Ma fatemi il piacere, dai.

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(849) Fuoco

Il fuoco ci insegna la giusta misura: riscalda e brucia. Il giusto fa bene, il troppo stroppia. Per l’acqua è lo stesso, per l’aria pure. Di terra, invece, sembra non ce ne sia mai abbastanza… quella ti sparisce sotto i piedi che è una meraviglia appena ti distrai un attimo. Gli elementi della natura cercano di riportarci a quelle leggi che ci governano – nonostante quello che ci raccontiamo – e che noi puntualmente sfanculiamo [il termine potrebbe risultare volgare, ma nel contesto non saprei infilarci uno migliore, il concetto rimane: ce ne fottiamo allegramente di quello che dovremmo invece mai dimenticare]

Il fuoco è associato alla passione. Avere il fuoco dentro è un’espressione che rende bene, no? Ti dà proprio l’idea che quel fuoco ti nutre, ti motiva, ti emoziona… ti infiamma (giustamente, che altro potrebbe fare?). L’idea è sbagliata. O per lo meno è parziale. 

Il fuoco deve essere alimentato, deve essere monitorato, deve essere convogliato. Non lo fa da solo, ha bisogno di una mente pensante che lo gestisce in modo che faccia quel bene che sa fare e non finisca col distruggere tutto. Questo metterci il discernimento in un concetto che d’istinto lo si sente come selvaggio, puro, esaltante, abbassa la temperatura drasticamente. Sauna finlandese. Eh. Allora facciamo così: mettiamo il cervello in salamoia e bruciamo tutto. Alé.

E lo si fa bene se hai quindici anni, ma se ne hai cinquanta le cose cambiano. La ricerca spasmodica del fuoco bruciante, tanto per sentire qualcosa, è profondamente grottesca. Uno scempio di possibilità, di potenzialità, di visione. Fammi capire: sei sopravvissuto per cinquant’anni e ora pensi di bruciare selvaggiamente di passione come non hai mai fatto neppure da adolescente? Se non l’hai fatto quand’era il tempo giusto, parti male, sei destinato al fallimento. Se l’hai fatto già, per quanto tu faccia non sarà mai la stessa cosa. Ti salirà l’amarezza e sarà lei a seppellirti.

Il fuoco.

Se ce l’hai, usalo bene santiddddddio!  [se non ce l’hai… vedi tu]

 

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(836) Determinazione

Bisogna calibrarla per bene, ma se riesci a maneggiarla con destrezza puoi fare della tua vita un capolavoro. Ad alcuni vien facile, nascono con questo dono, ad altri ci vuole anche un’intera esistenza per prenderne possesso e i risultati tardano ad arrivare. Eh, questione di culo.

Comunque, si può imparare a tenere botta e perseverare se ci tieni davvero. Più è solida la tua motivazione e più ti viene la forza per andare fino in fondo. Una questione di allenamento, suppongo, un po’ come tutto nella vita.

La cosa difficile è usarla il giusto, non superare certi limiti, non usare violenza né contro sé stessi né contro gli altri né contro gli eventi e il tempo. Non puoi assoggettare l’universo ai tuoi voleri, puoi invece aiutare l’universo affinché ti sostenga per raggiungere i tuoi obiettivi.

Decidi cosa vuoi e muoviti di conseguenza.

Sembra facile. Soltanto che ogni giorno te lo devi ricordare e ogni giorno te lo devi ripetere e ogni giorno devi fare in modo di crederci. Devi esserci. Devi evitare distrazioni. Devi mantenere solidamente il tuo intento. No, il raggiungimento dell’obiettivo non è mai gratis. Non è così che funzionano le cose. Nessuno può fare il lavoro per te. E nessuno può chiarirti le idee quando sei confuso, e più sei confuso e più le cose vanno in malora.

La determinazione viene svilita, molto spesso, viene etichettata come caparbietà, ma si sta parlando di due posizioni mentali e d’anima molto diversi. La persona caparbia non sente ragioni, la persona determinata non si arrende davanti agli ostacoli. La persona caparbia se ne frega di quello che gli sta attorno, la persona determinata si muove in accordo con l’ambiente – senza obbligatoriamente scendere a troppi compromessi – per proseguire. La persona caparbia sbatte la testa contro il muro finché il muro non si spacca, la persona determinata se quello che sta facendo non ha più senso, non è più motivante, non va più bene allora si ferma. Si ferma e cambia obiettivo.

Il mondo vegetale ce lo insegna: se vuoi vivere non c’è nulla che ti possa fermare. Hai a tua disposizione la terra, l’acqua, il vento, il fuoco, non puoi fare altro se non crescere. Credo che sia questo il vero miracolo: mantenere forte la nostra determinazione nell’amare la vita, nonostante tutto e sempre.

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(762) Strano

Pare strano che il Pianeta Terra stia cambiando le sue priorità. Dove c’era caldo da secoli ora sta diventando più freddo e viceversa. I ghiacci si sciolgono, il suolo si spacca, i tifoni imperversano, le piogge sono come secchiate, il vento si è uniformato sulla velocità-Bora ovunque. Pare strano, ci stupiamo, ci preoccupiamo, ci facciamo venire il mal di testa pensando al da farsi. No, non tutti, solo chi ha a cuore le sorti del pianeta e dell’Umanità che contiene, ovvio.

Diamo per scontato che siamo responsabili dell’accelerazione impressionante degli ultimi trent’anni almeno, diamo per scontato lo scagli-la-prima-pietra-chi-è-senza-peccato e diamo per scontato che i danni ci sono e non sono pochi e anche che questo è solo l’inizio. Ora: perché non considerare che Gaia sta cambiando per forza di cose e che noi non ci possiamo fare nulla?

Cosa fai, fermi un terremoto? Un maremoto? Un tifone? Un uragano? Non puoi. Al massimo puoi costruire argini migliori per evitare le esondazioni, puoi prenderti cura dei boschi affinché non vadano a fuoco, puoi tenere puliti gli Oceani, i mari, i fiumi, i laghi. Puoi, certo che puoi, e devi, certo che devi. Però… il cambiamento della Terra, molto probabilmente risente anche dei movimenti dell’Universo e la questione dei cicli e degli spostamenti planetari ci accompagna dagli inizi – anche se i presenti non erano presenti, le notizie sono arrivate fino a qui e un po’ ne dovremo tenere conto, no?

Fa paura? Altroché. Dovremmo diventare più accorti, più responsabili, più accurati nel nostro pensare e nel nostro agire? Ossì! Lo faremo? Ni. A fasi alterne, costruendo e distruggendo, imprecando e benedicendo, un passo avanti e due indietro. Come abbiamo sempre fatto. Posso anche ammettere di essere una pessimista della malora, ma lo abbiamo già ampiamente dimostrato che preferiamo esclamare “strano” piuttosto che attaccarci con coerenza a un pensiero di salvaguardia del nostro meraviglioso pianeta con il suo ecosistema delicato e noi che ci sguazziamo dentro in modo sconsiderato e non meritiamo niente di niente. Eh.

Siamo proprio delle teste di cazzo.

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(759) Via

Finché non parto non è detto che io voglia partire. Se ancora non sono partita è perché qualcosa non mi torna, qualcosa non mi convince, ancora non ho il quadro completo della situazione, ancora non sono pronta. Partire impreparata non è contemplato dal mio DNA, semplicemente.

Come faccio a sapere che non si tratta di pigrizia o di codardia? Me lo sento. So bene che sono pigra e so bene che posso peccare di codardia pertanto mi tengo ben monitorata (vorrei non fossero limiti quindi sto cercando di lavorarci per depotenziarli nella loro forma più acuta). Riconosco il perché del mio rimandare quando una cosa che mi entusiasma perde lo smalto senza alcun motivo. Inizio a dubitare di quello in cui mi andrò a buttare, inizio a farmi alcune domande topiche, inizio a sondare con la mente tutte le complicanze della situazione. Un’analisi piuttosto certosina che potrebbe prendere più tempo del previsto, ma se la supero e mi ritorna il fuoco, allora parto.

Pronti, attenti… via!

Se parto, non mi fermo finché non arrivo alla meta. Ci posso mettere un mese, un anno o una vita, se parto allora arrivo anche. Poco ma sicuro. Non manco di tenacia, spirito di sacrificio e follia. Non manco di pazienza e perseveranza. Non manco di inventiva per risolvere problemi e saltare ostacoli. E poi, la cosa più importante di tutte: se prendo un impegno non mi rimangio la parola. Il che non sempre è un  bene, non sempre è intelligente, quasi mai è comodo, ma l’impegno preso significa tutto. Nel bene e nel male.

Iniziare per me non è mai un caso, è una scelta ponderata. Ci metto in conto le mie supposte capacità, oltre che il mio reale interesse, perché devo essere davvero convinta per poter completare il percorso. Se parto già dubbiosa so che non avrò la forza di mantenere quanto promesso. Mancare alle promesse mi causa uno sconforto senza fine, preferisco evitarlo.

Tutte queste chiacchiere per dire una cosa e una soltanto: partire è una faccenda seria. Si parte quando dentro di noi sentiamo quel click, quello dell’interruttore, che ci accende come una miccia. Il pronti-attenti-via solitamente è un sussurro, ma ha la forza di una rivoluzione. Sappiamo che da quel momento in avanti potrà succederci di tutto e che dipenderà tutto da noi. Se parti con altri presupposti, preparati a fermarti al primo pit-stop. Definitivamente, però.

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(467) Menomale

Tutto attaccato, sì, non è un errore, è un modo d’essere. Menomale è quell’espressione di sollievo che scaturisce da un fatto spiacevole. Non lo dici per le cose belle che ti accadono, ma per la cosa che salva il brutto per un pelo. Ti viene proprio dal cuore, è naturale, è liberatorio, è consolatorio.

Menomale funziona quasi come il “perfortuna”, solo che è più onesto, non è frutto di un calcolo d’interesse, è proprio il pesetto che metti sul bilancino che rimette leggermente in pari le cose.

Menomale che ho fatto in tempo a rincasare prima che la casa mi andasse totalmente a fuoco. Capito? La casa comunque è andata un po’ a fuoco, ma non totalmente. Il male c’è ma è meno, ovvero: menomale.

Ora, per chi non bazzica troppo volentieri le parole è una cosa da nulla, ma con l’andare del tempo il mio menomale-pensiero si è andato fortificando e ha svolto un ruolo fondamentale nella gestione della mia sopravvivenza. Il segreto sta nell’individuare lo scenario peggiore per quella data situazione è portarlo come confronto ultimo: menomale che cadendo dalla bici, a velocità piena, in discesa sui tornanti, ho sterzato a destra anziché sinistra perché altrimenti volavo giù dal dirupo!

Hai il naso sfasciato, un braccio rotto, la bici è diventata un cumulo di briciole d’acciaio, ma… non ti sei sfracellato precipitando là sotto. Fortuna? Ehmmmm, no. Perché se avessi avuto veramente fortuna non ti saresti rotto il braccio e sfasciato la faccia, saresti finito sull’erba e non sul muretto, la fortuna è sfacciata, mica gioca di fino. No, il menomale denota una prontezza di riflessi, una presenza, un’agilità che nessun’altro se non tu stesso avresti potuto avere in quel maledetto frangente. I tuoi nervi saldi, la tua esperienza, tu: questo è il menomale.

Il menomale toglie potere alla fortuna, così come alla sfortuna, per riporlo nelle nostre mani e renderlo valore aggiunto del kit di sopravvivenza di cui la vita ci impone l’acquisto. Ci fa prendere in carico il fatto che anche nella sfiga più nera, se guardi meglio la situazione, trovi un angolo dove un menomale ti aspetta. Non devi far altro che prenderlo velocemente e farne uso.

Menomale che l’ho scritto, avrei anche potuto dimenticarlo e mi sarei fatta un torto perché questo è uno di quei consigli che mi darei quando sbattere la testa al muro sembra l’unica soluzione.

Un menomale non è per sempre, ma solleva sempre, proprio sempre. E menomale!

 

 

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