(1094) Pronta

Se mentre viviamo riusciamo a prestare attenzione agli andamenti della nostra evoluzione, possiamo riconoscere immediatamente i periodi in cui siamo pronti. Pronti per fare, pronti per dire, pronti per partire, pronti per litigare, pronti per progettare, pronti per spiccare il volo. Insomma: pronti.

Partire in anticipo non va bene, ti bruci (o bruci l’opportunità), non sei ancora pronto. Partire in ritardo non va bene, potrebbe anche non interessarti più, non interessarti abbastanza, senza neppure rendertene conto. Si parte quando si è pronti.

Essere pronti significa che sei focalizzato sull’obiettivo, sei motivato a manetta nel raggiungerlo, sei pieno di forze e di speranze sul buon esito della spedizione e, finalmente, hai a disposizione una buona dose di fiducia in te stesso per agire.

No, non significa che è tutto perfetto. Non significa che dentro stai una meraviglia e che fuori è tutto un peace&love. No. Ma nonostante tutto quello che hai dentro e tutto quello che c’è fuori tu pensi: ora. Non più domani, non più un altro giorno, non più fra un po’. Ora. Semplicemente ora.

E non ti sto a dire che si aprono le porte del Paradiso e l’Universo si piega ai tuoi voleri, anzi. Succede che metti da parte le lamentele, le delusioni passate, le paturnie ataviche per fare qualcosa che per te è importante. Stop.

Non sai come andrà. Non sai dove ti porterà. Non sai se stai facendo bene o male. Non sai quanti ostacoli troverai sulla tua strada. Non sai se riuscirai a superarli. Non sai se perderai anche le mutande. Non sai se riuscirai a tenere botta fino al raggiungimento dell’obiettivo. Non lo sai.

Quello che sai si riduce a un unico piccolo focalizzato punto. Molto solido. Molto prepotente (proprio molto): sai che sei pronto.

Stop.

 

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(845) Me

Si passa una vita a cercarsi e quando ti trovi ti cadono le braccia. Ti aspettavi che le cose si aggiustassero magicamente, che quella fosse la chiave. Wrong. Le deliziose sorprese del ritrovamento di pezzi di te che stavano persi nell’inconscio (se esiste, un motivo ci sarà no? Eh!) non è che siano una festa. Maneggi pezzi di quel che ignoravi – e che ora vorresti ricominciare a ignorare bellamente (e felicemente anche) – e ti domandi che cosa diavolo te ne puoi fare. 

Per quanto la lista sia breve (è davvero così?), il carico è comunque troppo.

Il maneggiare con cura perde proprio di valore, dovresti chiamare la squadra antimine per sanare la situazione. Certo, certo, la consapevolezza. La padronanza delle proprie potenzialità, la compassione nei confronti dei propri limiti e di quelli degli altri. L’illuminazione. Tutto bellissimo. Ma da dove iniziare? Non è che al momento del ritrovamento c’è pure un bignamino da consultare. E a dirla tutta il pulsante ON/OFF non funziona, s’è bloccato sul ON e le batterie non sono destinate a scaricarsi, a meno che tu non ti voglia scaricare. Bitch.

Faccio un esempio: scopri che stai mettendo in atto una dinamica di protezione che ignoravi. Ovvio che lo fai perché ti senti minacciata da un qualche mostro che sta là fuori. Ok. Questo è quello che pensavi. Sciocca. Il mostro non sta fuori bensì dentro. E adesso, fenomeno che non sei altro? Ecco. Roba del genere. Ritrovarsi con i propri mostri belli in fila davanti a te che ti strizzano l’occhio (sicuri che da lì non li sposterai neppure con le bombe), non è proprio tranquillizzante. Evviva, ora li vedi. Evviva, sei consapevole. Evviva. So what?

Quindi, lo dico serenamente e senza paura di essere smentita: la ricerca, prima o poi, comporta un ritrovamento – bisgona saperlo. Il ritrovamento riserva un sacco di sorprese – bisogna saperlo. Raramente bellissime – bisogna saperlo. Alcune carine, altre mostruose. Facendo una media… son cazzi. Ora, certo che il senso della vita sta nella ricerca. Ovvio. Certo che affrontare noi stessi è l’unico modo per aggrapparsi a un senso. Ovvio. Certo che sprecare l’esistenza agendo alla cavolo, tirando colpi a destra e a manca, è un’opzione come tante. Ovvio. Certo che si può fare di meglio. Ovvio. Soltanto che essere te, davvero te, comporta dei fastidi – bisogna saperlo.

Tutto qui. 

 

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(656) Elevazione

Quel tanto che basta per non farsi tirare dentro dalle cose e dalle persone che sguazzano nel marasma e hanno tanta voglia di includerti nei loro piani autodistruttivi. Ti fermi, inquadri la situazione, t’imponi di non vacillare, fai un bel respiro e poi ti elevi con un elegante: “Grazie, no”. 

Ok, se ti sembra un po’ troppo brusco – ma il tono della voce è tutto, ricordalo – ci si può mettere d’accordo cercando una frase più adatta. Quella che non ti provoca sensi di colpa, rimorsi o ripensamenti, quella che a dirla non t’inciampi perché liscio è il tuo pensiero in merito e limpide le tue intenzioni. 

Non serve inventarsi una scusa, basta essere assertivi. Ricordiamocelo.

Ora, però, vediamo che cosa possiamo fare per realizzare quel saltino quantico che ci permette l’elevazione. Per esempio, anche se io non faccio proprio testo in quanto equilibrio mentale, io mi prendo un caffè al guaranà perché ha un buon sapore, è energetico, e lo bevo in una tazzona termica che mi posso portare ovunque. Tipo copertina di Linus. Un’altra cosa che faccio per distaccarmi dal marasma e restare ferma su una posizione neutrale per farmi un’idea riguardo l’origine del marasma. Se è qualcosa che proprio non mi appartiene mi è facile dire no, ma è anche vero che attiriamo le cose che ci mettono in crisi apposta per poterle superare, quindi l’attrattiva a volte è forte. Mettiamo in conto anche che non sempre ho voglia di accrescere la mia consapevolezza – non ambisco all’Illuminazione in questa attuale vita – mi piaccio anche quando sono nel dormiveglia e posso sognare per i cavoli miei, quindi facendomi un paio di domande mi sgamo abbastanza in fretta. 

La parte più difficile è tenere botta una volta che ho deciso da che parte stare – ovvero dalla mia – perché le insistenze, le invadenze, le reminiscenze, i sensi di colpa maledetti ecc. ecc. intaccano enormemente la mia assertività. Allora lì, udite udite, posso usare la mia arma segreta: la pigrizia.

Sì, lo so, ai più sembra essere un difetto, ma ogni cosa la si può considerare una medaglia con doppia faccia e vi assicuro che la pigrizia è l’unica capace di potenziare la mia assertività. Quel forte “non c’ho voglia proprio per un caxxo” che sento rimbalzarmi dentro al cervello – per propagarsi a ogni nervo del mio corpo – mi ha salvato spesso da catastrofi annunciate che stavo per abbracciare soltanto per non sentirmi un verme per non averlo fatto.

Contenere moltitudini, mio caro Whitman, è un casino. Penso tu lo sapessi, ma penso anche che riuscivi a maneggiarle molto meglio di me. I miei limiti non aiutano, me ne rendo conto. Vabbé… e-l-e-v-a-t-i-o-n!

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(420) Nanosecondo

Precisamente il tempo che mi ci vuole per capire come girerà la cosa. L’illuminazione è questione di un istante, lo sanno tutti, anche quelle di settore (quella generale mi è ancora preclusa) e se ti applichi può avverarsi con regolarità e una certa sostanza.

Ci sono state circostanze nelle quali, per una serie di dubbi sul mio efferato sesto senso, sono passata oltre, ho registrato i segni ma senza volermici troppo soffermare. Pudore? Speranza? Dabbenaggine? Non lo so, forse un po’ di tutto questo e anche altro. Fatto sta che poi le ho pagate care certe scelte troppo fiduciose partendo da evidenti presupposti malsani.

Se ripenso a ognuna di queste posso indicare con certezza assoluta l’istante di consapevolezza che poteva salvarmi dalle rovinose conseguenze. Quel nanosecondo benedetto che io ho guardato con candore e che ho ignorato, invitandolo a ripresentarsi più tardi. Diamoci una chance, mi dicevo. E sbagliavo.

Non sono più così pudica o illusa o scema, credo, perchè ora quel nanosecondo me lo tengo ben vicino e me lo curo finché non decido il da farsi. Che a volte basta anche non fare niente e già la non decisione può cambiare tutto. Sono certa che ogni Essere Umano abbia un numero impressionante di nanosecondi di illuminazione su cui contare, solo pochi sanno coglierli. Basterebbe dar loro retta, in effetti, però ci vuole coraggio. E un po’ di arroganza. E un po’ di facciatosta. E un po’ di diplomazia. E un po’ di macchisenefotte.

Ci si arriva col tempo, molto probabilmente, ma conviene imparare in fretta.

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(389) Aerostato

aeròstato (ant. areòstato) s. m. [comp. di aero– e –stato, sul modello del fr. aérostat]. – Aeromobile che si sostiene per effetto della spinta che l’aria esercita su di esso; più in partic., sono detti palloni gli aerostati senza propulsore, e dirigibili quelli con propulsore. A. libero (o sferico), quello privo di dirigibilità che naviga trasportato dalle correnti aeree; è costituito da un involucro impermeabilizzato (che racchiude una certa quantità di gas più leggero dell’aria), cui è vincolata una navicella per l’equipaggio e i carichi, ed è usato per sondaggi aerologici. A. frenato, quello collegato a terra da un cavo di ritenuta per limitarne sia la quota sia la mobilità, usato soprattutto per l’esplorazione dell’atmosfera (detto in tal caso pallone meteorologico); sistemi di aerostati frenati sono stati usati anche nella difesa contraerea di obiettivi fissi e di navi (palloni di sbarramento).

Oggi ho avuto un’illuminazione: sono un aerostato. Nata come aerostato libero e vissuta come aerostato frenato. Non ce n’è per nessuno, non c’è un’altra definizione che potrebbe anche solo vagamente rappresentarmi meglio.

Non ho ancora capito chi sia stato a legarmi con un maledetto cavo a terra, ma appena lo scopro gliela faccio pagare. Mi ha costretto, l’infame, a esplorare l’atmosfera per decenni e come riconoscimento ho avuto addosso la controffensiva di centinaia di individui incazzati solo per il fatto che mi trovassi lì ancorata e – tra l’altro – controvoglia. Nessuno mai che si fosse fermato per liberarmi, avrei tolto il disturbo istantaneamente, per darmi addosso sì ma non per sollevarmi dal cavo di ritenuta.

Trovarsi legata mentre invece te ne andresti volentieri in alto, non è bello. Venire presa come quella che si mette in mezzo, ancora peggio.

La vogliamo finire o no?!

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(216) Saetta

Essere colti da folgorazione, una volta ogni tanto, è cosa da tutti. Ci capita e spesso non le diamo troppo peso, ma il suo bel peso ce l’ha. Se la saetta che ti ha colpito bene in fronte ce l’ha con te è perché hai bisogno di darti una svegliata.

Tu, non qualcun altro, proprio tu. E se fai finta di niente, magari la prossima volta la saetta ti sconquassa per bene così magari te ne accorgi meglio.

Rispetto molto l’impegno che la saetta si è presa in carico quando il buon Dio ha distribuito le mansioni ai diversi elementi. Lei avrebbe potuto ambire a ben altro e invece si è messa a disposizione del genere umano. Non solo: non al genere umano perspicace e agile, no, bensì a quella parte del genere umano che è fondamentalmente gnucco. De coccio, dicono a Roma.

Lei è precisa, è efficace, sa rendersi indimenticabile. Vorrei essere come lei, davvero.

Quando hai chiara la situazione, quando ti vedi così come sei e vedi quello che stai facendo senza poterti nascondere dietro scuse e disimpegni vari, quando capisci cosa manca o cosa è troppo, quando ti rendi conto che non dovresti essere lì o che ci dovresti essere ma non ci sei. Tutte saette.

Santa Saetta, ora pro nobis. Lei è la nostra arma segreta, basta farci caso e lei la giusta direzione ce la mostra senza mezzi termini. Lei sa. Dovremmo farcene una ragione e lasciarla lavorare in pace. La nostra esistenza ne trarrebbe grande giovamento, ne sono certa.

 

 

 

 

 

 

 

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