(1094) Pronta

Se mentre viviamo riusciamo a prestare attenzione agli andamenti della nostra evoluzione, possiamo riconoscere immediatamente i periodi in cui siamo pronti. Pronti per fare, pronti per dire, pronti per partire, pronti per litigare, pronti per progettare, pronti per spiccare il volo. Insomma: pronti.

Partire in anticipo non va bene, ti bruci (o bruci l’opportunità), non sei ancora pronto. Partire in ritardo non va bene, potrebbe anche non interessarti più, non interessarti abbastanza, senza neppure rendertene conto. Si parte quando si è pronti.

Essere pronti significa che sei focalizzato sull’obiettivo, sei motivato a manetta nel raggiungerlo, sei pieno di forze e di speranze sul buon esito della spedizione e, finalmente, hai a disposizione una buona dose di fiducia in te stesso per agire.

No, non significa che è tutto perfetto. Non significa che dentro stai una meraviglia e che fuori è tutto un peace&love. No. Ma nonostante tutto quello che hai dentro e tutto quello che c’è fuori tu pensi: ora. Non più domani, non più un altro giorno, non più fra un po’. Ora. Semplicemente ora.

E non ti sto a dire che si aprono le porte del Paradiso e l’Universo si piega ai tuoi voleri, anzi. Succede che metti da parte le lamentele, le delusioni passate, le paturnie ataviche per fare qualcosa che per te è importante. Stop.

Non sai come andrà. Non sai dove ti porterà. Non sai se stai facendo bene o male. Non sai quanti ostacoli troverai sulla tua strada. Non sai se riuscirai a superarli. Non sai se perderai anche le mutande. Non sai se riuscirai a tenere botta fino al raggiungimento dell’obiettivo. Non lo sai.

Quello che sai si riduce a un unico piccolo focalizzato punto. Molto solido. Molto prepotente (proprio molto): sai che sei pronto.

Stop.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(470) Catarsi

Pensavo di dover lavorare molto per ottenere ciò che volevo. L’ho fatto, ma non sono mai riuscita a ottenere quello che volevo, mi sono sempre fermata un passo prima. Non lo so il perché.

Pensavo di dover impegnarmi molto per diventare ciò che volevo essere. L’ho fatto ma ancora non sono riuscita a essere ciò che voglio veramente essere. Non credo ci riuscirò mai.

Questa presa di coscienza non è recente, risale perlomeno a un quindicennio fa, eppure faccio fatica a digerire certe verità, mi ci vuole davvero molto molto tempo. Mentre passa il tempo faccio conti e bilanci, rimurgino, rivivo vicende e circostanze nella stanza buia delle memorie e mi tormento non poco. Il Perdite e Profitti non torna mai, ancora oggi non so come io abbia fatto a prendere 8 nel compito di ragioneria degli esami di maturità. Culo, non c’è dubbio.

Fatto sta che tutto questo struggimento senza fine, senza senso e senza possibilità di rivalsa perché ciò che è stato è stato, ha un luogo dove viene sospeso e per quel tempo in cui sono lì non esiste più.

Quel luogo è stretto e spaziosissimo, è profondo, altissimo e claustrofobico. Un luogo non sempre accessibile, non sempre comodo, non sempre solido. Fa caldo e fa freddo, è umido e secco. Un inferno, raramente un paradiso. Eppure, arrivo lì e non esiste più nulla di certo, il reale si rende effimero, l’effimero si concretizza.

Quella catarsi mi mantiene viva. Mi fa sopportare tutto quello che non sarò mai, tutto quello che non avrò mai, tutto quello che non oserò mai sognare, tutto quello che non so neppure di ignorare. Non lo so dire meglio, ma credo di essere fortunata.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF