(568) Praticamente

Preferisco ragionare in termini pratici, anche quando sogno. Lo so, potrebbe sembrare un ossimoro, ma mi ci trovo bene perché in questo modo i miei sogni vestono l’abito della progettualità e sono più alla mia portata. Una questione di gestione oculata delle aspettative, mettiamola così.

Praticamente succede che quello che io tratto come idea da realizzare, procede esattamente su quella strada, per quello che è, per quello che l’ho convinta a essere. Non ci sono dubbi né ripensamenti. Praticamente non devo far altro che schiacciare a terra le aspettative e farmi bastare quello che resta dell’idea: il lavoro forsennato. Il segreto per tenere botta sta nel fare del tuo lavoro forsennato un buon motivo per alzarsi dal letto ogni mattino.

Ricordo una circostanza, che mi vedeva protagonista di un’interrogazione, in cui il mio intercalare praticamente mise di cattivo umore l’insegnante che a un certo punto sbottò: “Non c’è niente di pratico in un romanzo, signorina Favaro!”. Ecco, questa cosa da quel momento in poi ha girato tra i miei neuroni e con nessun tipo di ragionamento c’ho visto del giusto. No, Prof, in un romanzo tutto è pratico, altrimenti sarebbe rimasta aria fritta. A quel tempo non avrei saputo dirlo, neppure pensarlo, ma ora sì e saprei argomentarlo per ore.

Partendo da questo presupposto, è facile spiegare la mia idiosincrasia per l’aria fritta. Tutto ciò che è privo di contenuti mi appare inutile. Mi rendo conto che forse sono fuorviata da alcuni pregiudizi sparsi sulla via del mio ragionare, ma davvero i contenitori vuoti sono inutili finché non li riempi e se esiste una teoria che dice il contrario… bé, fa niente, non cambierò idea soltanto perché una teoria si sa esprimere meglio di me.

Il contenuto di questo mio post lo trovo sostanzioso e nella pratica è stato tutto dimostrato, da ogni passo fatto sul mio cammino. Che è reale, non aria fritta.

Amen.

 

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(517) Karate

karatè s. m. [dal giapp. karate, propr. “a mano (te) vuota (kara)”, cioè disarmata]. – (sport.) [tecnica di lotta e arte marziale, sviluppatasi in Giappone nel 16° sec., praticata come mezzo di difesa, in cui i colpi sono portati con la mano aperta a coltello o col piede] ≈ ⇑ lotta giapponese.

Il concetto di mano vuota e quindi disarmata mi piace, mi fa pensare a quanto una mano vuota può fare. Praticamente tutto. Questo concetto trasportato in una tecnica di lotta fa ribaltare la situazione per renderla arma. Cosa può fare una mano armata? Può colpire, per bloccare provvisoriamente o per sempre, ovvio. Non è molto, vero? Non è che la mano armata possa fare altro se non usare l’arma di cui dispone. Siamo d’accordo che se ti può salvare la vita è la benvenuta, eh!

Certo, nel karate c’è una risposta all’offesa, quindi una reazione a una aggressione, e questo sistema le cose. Va bene.

Se, però, ritorno al concetto di mano vuota allora mi vengono in mente immagini che possono e sanno riempire il cuore: la mano vuota che stringe un’altra mano vuota, per esempio. La mano vuota che si riempie di acqua per dissetare qualcuno, oppure la mano vuota che accarezza la terra o il viso di una persona cara, oppure la mano vuota che tasta la consistenza di un tessuto o un alimento… la mano vuota si può riempire, ma non per questo risulta armata, e come si riempie si può svuotare. Semplice. 

Se la mano armata decide di svuotarsi, non può che provar sollievo, sarà libera di fare molte molte molte buone cose, per sé e per gli altri. E se lei è libera non ha motivo per covare odio verso nessuno, una vera rivoluzione! Glielo diciamo?

 

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(95) Riempire

Si riempie ciò che è vuoto, lo so. Eppure l’esistenza di ognuno di noi ci mette un bel po’ prima di essere piena fino all’orlo. Solitamente ce ne accorgiamo quando siamo al limite e il vaso inizia a straripare.

Il buonsenso consiglia di svuotarlo di quel che non ti serve più per aver agio nel riempirlo di nuovo. Se arrivi fino all’orlo e lasci che sia il vaso a decidere che cosa deve uscire potrebbe non piacerti.

Io svuoto con assennatezza, ma faccio fatica a farlo in tempo, arrivo proprio sul filo filo. Devo affrettarmi a buttare e mi dispiace sempre.

L’ho fatto anche in questi ultimi giorni, anche se nessuno se n’è accorto. Ho scelto e ho buttato perché il vaso stava per straripare. Sarò dispiaciuta per tutto il mese, è ormai la prassi, ma poi il vaso mi si riempirà ancora di tante cose e nel casino me ne dimenticherò.

Succederà che qualcuno, a un certo punto, mi vorrà far ricordare qualcosa che io ho dimenticato e mi riprenderà lo sconforto (perché buttare è brutto) e poi me lo ri-scorderò. Così si sopravvive.

Questo per dire che anche se ho buttato non significa che non sia stato importante. Voglio sopravvivere e poter accogliere ciò che arriverà. Ho idea che mi ci vorrà spazio e molta forza per farlo, diventa sempre più complicato sopravvivere.

Augh.

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