(907) Femminile

Un viaggio affascinante quello che ti fa attraversare le età del femminile. Mentre le percorri non te ne accorgi, ma se le guardi alle tue spalle ricomponi un quadro di te interessante.

Non è che mentre cresci ti rendi conto del perché di certe scelte e del come le stai portando avanti, lo fai perché sull’onda della ricerca (tu che ti stai cercando, tu che ancora non sai chi sei) agisci d’istinto oppure scegli per gusto o – quando sei davvero fortunata – nutri la tua visione. La visione che hai di te e che vuoi che si compia.

E mentre lo fai, mentre ti nutri e cambi e cresci e impari e ti riaggiusti, lo fa anche il tuo femminile. Quella vena d’oro che non esiste soltanto perché sei un Essere Umano e sei viva, ma perché sei un Essere Umano Femmina e sei dannatamente viva.

La cosa che ti rende potente – se sei davvero fortunata – è scoprire che non ci sono regole imposte dalla società che possono fermarti. Tu puoi andare oltre. Non ci sono legami che ti possono bloccare. Tu puoi andare oltre. Non ci sono tabù che ti possono schiacciare. Tu puoi andare oltre. E quando impari ad andare oltre non c’è niente che ti possa rendere schiava. Tu sei oltre.

Se sei davvero fortunata lo impari in tempo. Se sei davvero fortunata riesci ad applicarlo alla tua esistenza e a raccogliere i buoni frutti. Se sei davvero fortunata comprendi che quelle scelte e quelle fatiche e quelle ribellioni e quelle cadute e quelle ferite e quelle maledizioni che hai superato, non erano finalizzate alla distruzione bensì alla costruzione.

Se sei davvero fortunata a un certo punto riuscirai a guardarti e a sorriderti perché sai benissimo come poteva finire e sai che ancora non è finita ma che finirà bene. Sei nel pieno della tua femminilità e hai imparato ad andare oltre.

Sono davvero fortunata.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(898) Alleanze

Sotto ogni alleanza c’è una sorta di patto tacito: mi fido/ti fidi. Non ci si arriva per forza di cose, non è una concessione. Mi fido. Ti fidi. Reciprocità sostenuta da una visione comune, una condivisione di presupposti e di intenti. Un’alleanza si può costruire nel tempo oppure può nascere d’istinto, sulla scia di un entusiasmo che fa partire progetti (grandi, medi, piccoli/uno, alcuni, tanti, troppi).

Ti allei creando un ambiente dove lo scambio onesto di pensieri e di riflessioni non sia mai messo in discussione. Ci possono essere vedute differenti su questioni marginali, ma per il resto si va avanti insieme perché ci si è riconosciuti reciprocamente e su quella conoscenza si è fondato un micro-mondo dove ci si muove in libertà e nel pieno riguardo delle rispettive libertà.

Stima. Fiducia. Rispetto. Costruzione comune.

Così in famiglia, così in amicizia, così in amore, così in ambito lavorativo. Le alleanze ci sostengono e ci vincolano. Sostengono il nostro bisogno di non essere soli, allo sbando. Vincolano la nostra parola all’azione, un codice d’onore a cui non possiamo scampare. Ti ho guardato negli occhi e ci siamo capiti, soltanto quando finiremo di cercarci, di accoglierci, di capirci, la nostra alleanza smetterà di avere senso. Tutto il resto si può affrontare e risolvere. 

Mi fido. Ti fidi.

Ci credo. Ci credi.

Cos’altro serve? Eh. Servono le palle per esserci, per mantenere la parola e disciplinare la nostra azione. Serve coraggio, forza di volontà, pulizia, umilità, energia, fede. E tanto tanto altro. 

E impari che se la controparte non impegna lo stesso carico di sé stesso nell’alleanza, allora alleanza non è. Si tratta solo di comodità, di interesse, di superficialità mascherata con parole magnifiche e zero contenuto. 

Un’alleanza è un patto d’onore. Un patto d’amore. 

Mi fido, ti fidi?

Ci credo, ci credi?

Parliamone.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(855) Indigeno

Significa: che è originario del luogo. Certi luoghi possono essere selvaggi, primitivi, non necessariamente per ragioni di vegetazione maestosa e fauna esotica. Ognuno di noi appartiene a un luogo, indipendentemente dalla terra che li ha generati. Indigeno è l’unico aggettivo che vorrei fosse preso in considerazione quando si tratta di Esseri Umani. Renderebbe tutto più semplice.

Essendo per battezzo forzato una straniera, mi sono ritrovata spesso a soppesare la sostanza della terra che mi porto dentro. Senza mai venirne a capo.

Ho cercato quindi, per ovviare al gap, di compattare quella terra per crearne un’altra, una che mi assomigliasse il più possibile. Tutto sommato ci sono riuscita. Non era ovvio. Non lo è mai. Ne scrivo perché non temo di perderla ormai, è con me da tanto e si è solidificata per bene, respira come un pianeta e ha cielo stellato quando il sole riposa, nuvole sparse e giornate di vento, qualche precipitazione sparsa, temporali da paura e limpide e tiepide giornate dove tutto scorre e non si fa caso ai dettagli. 

Ritrovo la stessa energia, che è stata scelta strategica, in diverse persone che incontro. Sono quelle dove trovo conforto naturale, senza forzature di contatto.

Lo consiglierei a tutti. Quando hai la tua terra dentro, non hai paura che qualcuno te la rubi, rimane tua. Sai che devi curarla e questo impegno ti può occupare parecchio tempo, tempo che altri impiegano per togliere il diritto alla terra a qualcun altro pensando che gli spetti (perché poi?). Se sei impegnato nella cura, nella costruzione, tutto quello che è distruzione perde di attrattiva. Se arriva qualcuno che ti dice “qui è tutto sbagliato, buttiamo giù tutto” gli molli un pugno sul naso senza neppure il bisogno di chiedere ulteriori informazioni sul suo piano di devastazione. Ti suona male. Ti suona ingiusto. La distruzione non è mai così motivata da giustificare il niente che ne consegue. Si può sistemare, aggiustare. Si può. La vita è una questione di aggiustamenti degli squilibri, sistemazione delle falle, non è un ricominciamo daccapo no-stop perché daccapo si può cominciare soltanto una volta, la prima. Poi basta. Ricominci ma già da una base di partenza. E poi non puoi far altro che aggiustare. E sistemare. 

La terra che ti porti dentro non la spazzoli via, neppure quando è solo un mucchietto di granelli. Lei non va da nessuna parte, non può che accumularsi e crescere. Sta a te darle una forma, quella che ti sembra più bella, e renderla il pianeta con cui respirare. Credo sia questo che qualcuno chiama pace dell’anima. O è soltanto qualcosa che le assomiglia molto.

Lo consiglierei a tutti.

 

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(792) Pubblico

Davanti a un pubblico bisognerebbe porsi con rispetto. Rispetto per se stessi e per il pubblico, intendo. Sei lì sul palco e chiedi l’attenzione di persone che molto probabilmente non conosci di persona eppure sono lì per te – se sono lì per te significa che in qualche modo loro ti conoscono e comunque hanno voglia di conoscerti meglio – se non sono lì per te, ancora peggio. Più rigore in quello che dici e nel come ti poni. Più accuratezza, più oculatezza, più sensibilità.

Non è che sei al bar e puoi permetterti di sparare le minchiate che ti passano per la testa senza preoccuparti delle conseguenze e del peso di quello che butti addosso agli altri, sei in una posizione che ti impone responsabilità e decoro. Poi se riesci a brillare tanto meglio, ma nel caso non ci riuscissi almeno sei stato dignitoso. 

C’è un bel po’ di lavoro da affrontare prima di potersi affidare a un pubblico. Preparazione, di pensiero e fisica, e costruzione dell’evento. Non vai sul palco e t’inventi qualcosa, non lo fai neppure se sei un professionista navigato, non lo fai perché sarebbe irresponsabile, pericoloso, insultante. Lo sai e non lo fai, non ci pensi neppure. Se lo fai significa che sei un presuntuoso e non sei il professionista che dichiari di essere.

Ci vogliono delle doti per stare su un palco che non hanno nulla a che vedere con l’aspetto fisico – la bellezza intendo – ma con quello che ti porti dentro. Il carisma non è cosa da tutti, ma la presenza uno se la può costruire costruendo se stesso non per apparire ma per essere, essere al meglio delle proprie possibilità. Discorso lungo, lo so, però a certe cose bisogna pensarci, non ci può andare bene tutto, non possiamo farci andare bene quel che il nostro innato senso del giusto e della decenza registra come oscenità. Perché lo è, lo sono. 

Ci lasciamo convincere da quattro idioti che va bene così, ma non va bene così. Lo sappiamo, le nostre viscere ce lo urlano eppure dubitiamo. Perché ci facciamo trattare da idioti? Perché? Perché? Perché?

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF