(716) Isolare

Quando isoli una persona dal contesto (ambiente e persone) acquista luci e ombre piuttosto diverse, da studiare. Una persona isolata ha la libertà di essere o non essere ciò che vuole, lontano anche dal suo passato e dalle sue origini, distante anche da quello che ha sempre desiderato e sognato. Come se si reinventasse, per un minuto o per una nuova vita, senza catene.

Isolare una persona ha valenza negativa perché la si mette in una condizione di tensione, costretta davanti a una scelta che forse non ha mai contemplato: essere o non essere quello che fino a ora sono stato?

Una persona isolata può avere reazioni imprevedibili, dipende dalla decisione che prende e se questa è conscia o inconscia. Una persona isolata può trasformarsi in un rischio per tutti – soprattutto in quelle condizioni dove la violenza è legge, oppure può perdere la forza e smettere di reagire, smettere di vivere. Si arrende al suo nuovo, e non voluto, stato.

In ogni caso isolare qualcuno è fargli un danno, o almeno tentare di fargli un danno, perché l’Essere Umano costretto alla solitudine e all’emarginazione è capace di tutto come di niente, è sempre la bomba inesplosa ma non disinnescata che può scoppiarti in mano.

Isolarsi dal mondo, invece, come atto volontario ha un valore credo totalmente diverso: di purificazione – quando si ha bisogno di disintossicarsi dal proprio quotidiano, oppure di rinascita – quando il cambiamento è totale e duraturo. Un gesto coraggioso, audace, che comporta un certo rischio promettendo un maggior benessere. Isolarsi per un po’ ti permette di pensare meglio, di andare in profondità, di riprendere contatto con la tua voce interiore. Può essere un po’ stordente, ma di sicuro è tonificante perché quando rientri nei ranghi vedi meglio, senti meglio, assapori meglio tutto quello che ti circonda.

Un’isola di per sé può essere selvaggia e splendida o selvaggia e spaventosa. Può essere collegata al mondo o completamente fuori dal mondo. Un’isola può renderti pazzo di felicità o pazzo di dolore. Un’isola può essere rifugio o prigione. Se ci andiamo di nostra volontà è un’avventura, se siamo costretti con la violenza a viverci è una condanna a morte. Come spesso accade la positività o la negatività oggettiva non esiste, esistono le circostanze e le condizioni che determinano e gestiscono gli Esseri Umani che vi capitano in mezzo.

Difficile giudicare, difficile condannare o assolvere. Difficile essere Umani. Difficile essere Umani tra gli Umani, specialmente tra quegli Umani che hanno perso la propria Umanità ergendosi a Déi egoici dell’Olimpo.

Tornate giù, deficienti, tornate giù a prendervi quel che di Umano vi spetta per la vostra superbia e per la vostra crudeltà. Lassù isolati sembra facile, ma noi vi aspettiamo qui e vi sarà difficile ridere quando la vita vi presenterà il conto. Perché siete carne e ossa come tutti noi, dovrete ricordarlo – chi prima, chi poi. Tutti.

 

 

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(702) Rischio

Corri il rischio se pensi che ne valga la pena. Corri il rischio quando il danno che ne potrebbe derivare è comunque maneggiabile, sopportabile. Il rischio calcolato non lo è mai fin nei dettagli, arriva fino a un pezzo e poi boh. Sia quel che sia.

Se giochi con la tua vita e non coinvolgi nessun altro, hai carta bianca per quanto mi riguarda e in certi casi hai anche la mia ammirazione. Se non sei solo, se il danno cadrebbe addosso a chi non c’entra nulla, allora dovresti fermarti. Se non ti fermi qualcuno dovrebbe farlo, dovrebbe fermarti. Con le buone meglio che con le cattive, in ogni caso non si tratta solo di te se ti trascini dietro un’intera nazione. Ci siamo capiti?

Ruba, inganna, mistifica, ingrassati di soldi e potere, ma non decidi con la tua misera coscienza malata per milioni e milioni di Esseri Umani – trattandoli come insetti da schiacciare – impunemente. Qualsiasi troglodita che ti ha votato, e ti ha permesso di arrivare nella posizione di potere in cui ti trovi ora, ha il diritto di essere protetto da te e dalla tua scelleratezza. Un troglodita è pur sempre un Essere Vivente, anche se si meriterebbe una mazzata in testa. 

Alzare lo sguardo al cielo e vedere sfilare sopra le nostre teste le flotte armate come se fossimo stati catapultati dentro un colossal storico hollywoodiano mi sembra semplicemente assurdo, semplicemente inammissibile, semplicemente inconcepibile. E chi pensa il contrario deve essere fermato. Fermato da chi? Da chi ha coscienza civile, umana direi, da chi sa guardare lucidamente le conseguenze e non vuole far finta di niente. Da noi. Siamo in tanti, noi. 

Io lo so che ‘sta cosa del votare democraticamente è una questione delicata, ma bisognerebbe votare a neuroni sani e non andare giù di rabbia e violenza come se non ci fosse un domani. Perché un domani c’è ancora e faremmo meglio a pensare ai rischi e alle conseguenze prima di consegnare le nostre vite nelle mani sbagliate. 

Non credo in chi urla di più e in chi alza di più i pugni o digrigna meglio i denti. Preferisco il ragionamento trasportato su un piano dialettico corretto e pulito, preferisco il confronto onesto allo storytelling da Game of Thrones. Preferisco l’incontro allo scontro, la pace al conflitto, la vita alla morte. E poi detesto i bugiardi cronici che ti pensano un idiota e ti tirano matto con le diverse versioni della stessa minestra. Ah, è vero, dimenticavo: questa è la politica, così dicono. 

No, questa è la brutta politica, e bisognerebbe recuperare quel concetto di buona politica che manca da troppo tempo. Eh, anche questo è un tema che dovrebbe essere affrontato prima o poi e non certo da me. 

In ogni caso, rischiare perché? Perché il margine di miglioramento a beneficio di tutti a cui accedere è talmente certo da riuscire a farti sognare. Anzi: sperare.

  

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(698) Empasse

Non so come prenderla, ma mi conviene prenderla bene. Se la guardo come fosse un problema rischio di non uscirne più. Non è proprio un blocco, ma è sicuramente un fermo. Mi sono fermata. O forse, meglio, ho smesso di avanzare e sto girando in tondo come se il tondo fosse tutto quello che ho. Non va bene, lo so, ma per il momento è tutto quello che riesco a fare.

Ho valutato – o almeno ho cercato di valutare lucidamente, cosa che al momento temo sia fuori dalla mia portata – i motivi per cui mi ritrovo in questa situazione emotiva e l’unico che mi sembra solido sembra essere il seguente: sono stanca.

Ho sempre fatto le cose che amavo fare perché mi facevano stare bene, non mi preoccupavo del dove andassero a finire, mi stava bene anche tenerle nel mio cassetto e non pensarci più. Ecco, mi bastava non pensarci più. Ora è diverso, ora non faccio le cose che amo fare perché a parte a me non fanno bene a nessun altro. Piuttosto assurdo, me ne rendo conto, ma grattando via i primi diecimila strati di stronzate sono arrivata al dunque. Questo dunque, rendiamoci conto, non ha vie di uscita. Niente che dipenda da me può essere messo in atto affinché le cose che amo fare inizino a far bene anche agli altri. Il fatto che agli altri non gliene freghi niente è qui davanti ai miei occhi e non posso cancellarlo neppure passandoci sopra una mano di bianco.

Se non riesco a riprendere la convinzione che basta che faccia bene a me, rischio di abbandonare la lista delle cose che voglio fare perché il presupposto del “voglio fare” non regge più. Forse mi arriverà un segno – tipo un pugno in faccia – che mi farà capire che è tempo di riprendere le cose in mano… immagino di stare qui, in questo stato semi-catatonico, aspettando che arrivi. Ho messo il paradenti in ogni caso, non si sa mai.

Oppure.

Eh. Oppure sono in quello stato di demenza pre-creazione che mi preclude visione periferica e riflessi agili e tra poco bypasserò l’empasse. Già è successo, può ricapitare. Magari non è necessario che mi arrivi un pugno sul naso questa volta per darmi una mossa. Magari domani mattina mi sveglio e ricomincio a fare come se fossi sempre la stessa, come se fossi ancora io.

Seh, va bene. Buonanotte.

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(657) Abnegazione

Questione delicata, ma oggi mi va di parlarne. Dedicarsi a qualcosa o a qualcuno con tutto te stesso è un atto di grande potenza. Talmente grande che potrebbe ritorcersi contro di te e distruggerti. Si può cadere nell’ossessione, nel delirio. Un rischio che è meno remoto di quel che si potrebbe pensare.

Mantenere il controllo della dedizione che mettiamo in campo non è cosa da poco e non è cosa da tutti. 

Per molti anni, lunghi anni, ho pensato di aver perso il senso del giusto, di aver focalizzato la mia energia su obiettivi irrealizzabili – no, non ho mai avuto problemi riguardo alle persone a cui mi sono dedicata, non più di tanto almeno. Ho dubitato della mia sanità mentale, ho pensato che l’ossessione mi avrebbe consumato e reso folle.

Ultimamente la realtà mi sta rassicurando. Il sollievo è enorme, il sollievo fa respirare di nuovo il fuoco che cercavo di contenere. Pazzesco, vero? La mia mente non si pone più limiti, sta allargando le sue braccia per lasciare liberi pensieri ora leciti. Pazzesco davvero. 

La mia abnegazione mi ha resa libera, non schiava. Il rischio c’era, non so come io abbia fatto a schivarlo, ma è un rischio che adesso posso contenere (non domare, ma contenere sì) ed è una cosa grande. Grandissima. 

Non sto dicendo che io non sia stata folle a vivere nel modo in cui ho vissuto, anzi, sto solo facendo il punto della situazione per rendermi conto che posso abbandonare la paura, posso abbandonare le insicurezze, posso abbandonare la vecchia visione di me stessa che mi voleva soltanto e poveramente folle e patetica. Sembra facile, vero? Non mi è facile, lo assicuro, ma ho intenzione di dedicarmici anima e corpo, voglio ribellarmi al giudizio che ho avuto fino ad ora di me stessa e voglio avere la meglio. 

Sono folle? Certo che sì, ma come si dice? Ah, sì: ai posteri l’ardua sentenza.

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(414) Superpoteri

Ci sto pensando da tutto il giorno (come se non avessi di meglio o altro da fare, lo so) e ancora non mi so decidere. Qual è il superpotere che potrebbe risolvermi la vita? Quale? Quale? Quale?

Nella mia personalissima Top Ten i primi tre posti se lo sono aggiudicati:

1° Il teletrasporto

2° La telepatia

3° Schioccare le dita e far apparire denaro.

Non sono granché fantasiosa, lo ammetto, ma in tutta onestà il gioco non riguarda la creatività, ma la capacità di usare questi poteri per risolvermi la vita. Infatti, per ognuno dei tre ho un milione di situazioni diverse nelle quali usarli e questo mi rende parecchio creativa. Pure troppo.

Ora: dando per scontato che l’Essere Umano è del tutto incapace di valutare cosa sia la felicità e quale sia il tenore dei propri desideri, sospetto che questi tre superpoteri potrebbero anche distruggermi.

Va bene, sono disposta a correre il rischio. Aspetto pacco dal corriere, allora, è deciso.

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(342) Emergenza

Emergenza, sembra ormai che tutto sia diventato un’emergenza. Talmente tutto e talmente emergenza che registriamo la cosa come normale e passiamo oltre. Allucinante, vero? Vero, ma facciamo così.

Diamo per scontato che l’emergenza qualcuno la affronterà e che l’emergenza qualcuno la risolverà. Qualcuno. Ebbene, la notizia è che di solito le emergenze noi le affrontiamo ignorandole, sperando che non accada di peggio, ma senza la voglia di evitare concretamente la catastrofe. Al massimo preghiamo, se ci concediamo il lusso, beninteso. Ad ogni modo sarebbe bene ricordarsi come vanno le cose, e non per cattiveria, ma semplicemente perché così le cose devono andare.

Se la terra trema, non smetterà di tremare solo perché lo ha già fatto e noi ci abbiamo già pianto sopra.

Se qualcuno si lancia con un Tir sulla gente che passeggia spensierata, non smetterà di succedere solo perché è già successo e noi siamo già stati traumatizzati abbastanza.

Se qualcuno salta in aria su una mina antiuomo, non smetteranno le mine antiuomo di far saltare in aria Esseri Umani solo perché noi non ci vogliamo pensare.

Emergenza significa condizione di gravissimo rischio, gravissimo pericolo, gravissima minaccia. Si affronta con grande lucidità, preparazione, coraggio, determinazione. E lo si fa per risolvere l’emergenza, per rientrare nella normalità, per ritornare in zona sicurezza.

Emergency lo sa, sa come si fa, sa che deve fare e non delegare a chi non c’è e a chi non vuole esserci. Ecco, ascoltare chi fa e chi c’è per fronteggiare un’emergenza che vogliamo curare è una cosa saggia.

Un’emergenza è per definizione uno stato di cose che ha vita breve, non è fatta per restare, non è fatta per sopravviverci. Un’emergenza lo sa, siamo noi che non vogliamo prenderci la responsabilità di gestirla. Siamo veramente patetici.

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(211) Mare

C’erano lunghissimi pomeriggi, che tirati fino al tramonto mi facevano diventare le mani grinzose, gli occhi rossi e la pelle scura. Non sarei mai uscita dall’acqua se non per divorarmi un panino o un piatto di pastasciutta. Avevo dieci anni.

Leggera dentro l’acqua, in apnea, nuotavo ad occhi aperti. Nessuna paura.

Quel mare era la mia libertà. Oggi l’ho trasportata in un mare interiore, con un vento solo mio, e non è migliore è solo diverso. Quel mare, però, rimane con me, come impronta di quello che può essere e di quello che deve essere.

Il mare che oggi troppi Esseri Umani conoscono è quello famelico, quello assassino, quello che ti toglie tutto e non puoi impedirgli niente. Non deve essere così, non deve. Non so a quanti mari un Essere Umano deve sopravvivere prima di potersi ritenere salvo, so solo che un mare di troppo può essergli fatale e bisognerebbe fermarlo in tempo.

Non deve essere così, non deve.

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(9) Posizione

Da bambina ho imparato una cosa importante: non si può avere tutto. O questo o quello. Tutto non si può. Credo sia stato l’insegnamento che più ha aiutato la mia resistenza alle avversità. O questo. O quello.

Va da sé che ogni volta mi sono trovata a scegliere tra quello che era giusto per me e quello che per me non era giusto, abbracciando sempre la prima ho capito presto che avrei dovuto rinunciare a un bel po’ di cose. Non ho cambiato la mia posizione neppure quando si trattava di perdere tutto quello per cui avevo lavorato. Se la mia pancia urla lo fa perché quello che vede non può accettarlo. Io seguo la mia pancia, anche se il cervello mi dice che non è saggio rischiare una perdita del genere.

Non è giusto essere calpestati. Non è giusto essere manipolati. Non è giusto essere usati. Non è giusto. Semplicemente non è giusto.

Mantengo la mia posizione.

Ho perso lavori importanti per questo. Ho perso persone importanti per questo. Eppure, dopo anni, posso affermare che forse non erano così importanti perché io sono ancora qui e la mia vita è migliore adesso.

Nel tempo ho notato che mantenere la mia posizione è sempre meno difficile. Insomma, so come si fa, so come si sta durante e come si sta dopo. So che poi troverò qualcosa che mi confermerà che quel giusto che mancava non poteva essere sopportato, accettato, ingoiato giorno dopo giorno per timore di ritrovarmi senza niente.

Io per me sono tutto, non niente. E da lì si riparte.

Si tratta di sentire dove inizia quel “non giusto” e metterci uno stop. L’ascolto ti può evitare tanta sofferenza gratuita.

Basta saperlo, no? Anche se sceglierai la sofferenza gratuita, sarà pur sempre una tua scelta e di nessun altro. Basta saperlo.

b__

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