(871) Convinzione

Nutrire una convinzione può portare ovunque. E questo non è affatto rassicurante. Sto pensando a tutte le mie convinzioni e c’è di che riderne, lo garantisco. Se non mi fossi focalizzata su alcune di loro ora non sarei qui (nel bene). Se non avessi dato retta ad alcune di loro ora non sarei qui (nel male). Fatto sta che sono qui e ho un po’ di tempo per pensarci e scriverne.

Quando sei convinta che qualcosa sia possibile, e questo è parecchio inquietante, è molto probabile che lo sia. Soltanto perché tu agisci già come lo sia, quindi non dai adito a dubbi e a tentennamenti o anche opposizione (interne o esterne) e vai incontro a ciò che tu già sai che sarà. Possibile. Semplicemente.

Stessa cosa vale per tutto quello che riteniamo impossibile. Lo è prima di tutto perché noi ne siamo convinti. Magari la Realtà o il Destino la pensano diversamente, ma non siamo disposti a credere ad altro se non alla nostra convinzione. Se per noi è impossibile, stiamo certi che impossibile sarà.

Dopo anni di realizzazioni improbabili, ma per mio credo assolutamente fattibili, ho iniziato a pensare che gran parte delle cose che avrei voluto fare e che non ho fatto hanno unicamente me come responsabile: non ero abbastanza convinta. Non ci credevo tanto da poter sentire dentro che era possibile. Che idiota.

Credo faccia parte di quell’ampio discorso sul nostro essere protagonisti della nostra stessa esistenza o solo spettatori. Spesso deleghiamo al Fato la scelta che è solo nostra. Ci convinciamo che non ce la potremo mai fare perché abbiamo una visione di noi fin troppo piccola. Nonostante un ego smisurato, beninteso. Perché una cosa è voler essere e un’altra cosa è essere consapevoli di essere.

Posso affermare con convinzione che io predico bene e razzolo male. Sto ancora qui persa nelle mie paranoie soltanto per poi ridere di me. Che – perlamordelcielo – non fa mai male, ma alla fine diventa stucchevole.

Dovrei svegliarmi. Santiddio!

 

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(698) Empasse

Non so come prenderla, ma mi conviene prenderla bene. Se la guardo come fosse un problema rischio di non uscirne più. Non è proprio un blocco, ma è sicuramente un fermo. Mi sono fermata. O forse, meglio, ho smesso di avanzare e sto girando in tondo come se il tondo fosse tutto quello che ho. Non va bene, lo so, ma per il momento è tutto quello che riesco a fare.

Ho valutato – o almeno ho cercato di valutare lucidamente, cosa che al momento temo sia fuori dalla mia portata – i motivi per cui mi ritrovo in questa situazione emotiva e l’unico che mi sembra solido sembra essere il seguente: sono stanca.

Ho sempre fatto le cose che amavo fare perché mi facevano stare bene, non mi preoccupavo del dove andassero a finire, mi stava bene anche tenerle nel mio cassetto e non pensarci più. Ecco, mi bastava non pensarci più. Ora è diverso, ora non faccio le cose che amo fare perché a parte a me non fanno bene a nessun altro. Piuttosto assurdo, me ne rendo conto, ma grattando via i primi diecimila strati di stronzate sono arrivata al dunque. Questo dunque, rendiamoci conto, non ha vie di uscita. Niente che dipenda da me può essere messo in atto affinché le cose che amo fare inizino a far bene anche agli altri. Il fatto che agli altri non gliene freghi niente è qui davanti ai miei occhi e non posso cancellarlo neppure passandoci sopra una mano di bianco.

Se non riesco a riprendere la convinzione che basta che faccia bene a me, rischio di abbandonare la lista delle cose che voglio fare perché il presupposto del “voglio fare” non regge più. Forse mi arriverà un segno – tipo un pugno in faccia – che mi farà capire che è tempo di riprendere le cose in mano… immagino di stare qui, in questo stato semi-catatonico, aspettando che arrivi. Ho messo il paradenti in ogni caso, non si sa mai.

Oppure.

Eh. Oppure sono in quello stato di demenza pre-creazione che mi preclude visione periferica e riflessi agili e tra poco bypasserò l’empasse. Già è successo, può ricapitare. Magari non è necessario che mi arrivi un pugno sul naso questa volta per darmi una mossa. Magari domani mattina mi sveglio e ricomincio a fare come se fossi sempre la stessa, come se fossi ancora io.

Seh, va bene. Buonanotte.

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(312) Temporale

Aria calda che sale e si raffredda, e scoppia il finimondo. Quando scoppia ti lascia senza fiato, può diventare terribile e allo stesso tempo ipnotizzante. Lampi, fulmini e saette, tuoni, pioggia, vento… tutto insieme. 

Ecco, non c’è niente che mi spaventi di più che sentire arrivare il temporale. Sentire che la pressione sale e che è solo una questione di pochi istanti e perderò il controllo. Giove al confronto è un novellino. E sono fatta così, non riesco a gestire con saggezza la mia emotività e, quando scoppio, scoppio e amen.

I miei non sono temporali spettacolari, spesso sono lampi e pochi tuoni lontani, ma riesco a farmi il vuoto attorno ed è quel vuoto di cui ho bisogno. Potrei gestire meglio le cose e me stessa, ma forse è solo una debole consapevolezza che non va a scalfire minimamente la mia intima convinzione.

Tutto si riduce a un niente e un temporale che spazza via tutto fa solo il suo dovere: su quel che rimane si ricostruisce. Come sempre accade, così deve essere.

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(293) Rinunciare

Un verbo che mi ha schiacciato per molti anni e allo stesso tempo mi ha modellato rendendomi resiliente come mai avrei pensato di poter essere.

Mi dà fastidio pronunciarlo, è come rendere più solide le cose a cui ho rinunciato durante il percorso. Oggi mi pesano tutte, anche quelle che ho fatto bene a mollare. Perché? E che ne so. Oggi va così.

Credo di essere in overdose da rinuncia. Ci si arriva col tempo, piano piano, ma ci si arriva perdio! E una volta che tocchi la sostanza delle tue rinunce come si fa a gestirla? Non lo so, oggi non so niente.

Dovrei trovare il coraggio di farne una lista e fleggare quelle ormai superate, quelle di cui non me ne frega più niente, quelle che sono state una liberazione anziché un sacrificio. Ho paura che siano più numerose le altre, però. Quelle che vorrei non aver fatto, quelle che mi suscitano ancora frustrazione, sensi di colpa, rabbia, malinconia.

Non lo so, serve davvero fare una lista? Forse è meglio imporsi un cambiamento radicale, forse è meglio affermare con vigore e convinzione intima che, a questo punto, rinunciare non fa più per me. Posso smettere, finalmente.

Non lo so.

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(265) Sostenere

Sostenere non è un verbo da poco, determina un’azione che reputo fondamentale. Si sostiene qualcosa o qualcuno, per aumentarne la forza. Si può sostenere con fermezza una posizione, un punto di vista, un’idea… non si sostiene poco convinti, poco partecipi, poco attivi.

Ecco: quando credo in qualcosa divento talmente assertiva da risultare prepotente anche a chi mi conosce bene. Ammetto che è, ed è sempre stato, un bel problema.

Sostengo gli amici quando si trovano soli contro il resto del mondo, però. Questo non ha mai dato fastidio ai diretti interessati. Eppure una mia caratteristica che è risultata come pregio in molte occasioni, può tramutarsi improvvisamente in difetto imperdonabile.

Quando? Semplicemente quando ciò che sostengo è ritenuto un’assurdità che reca fastidio. Allora, in un nanosecondo tutto cambia. Tutto.

Ma  arriva il momento in cui preoccuparsene non serve a nulla. Continuo a sostenere che il verbo sostenere e tutto ciò che si porta appresso è rimarchevole. Anche quando il resto del mondo pensa il contrario.

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