(775) Rotta

rotta¹ /’rot:a/ s. f. [lat. rupta, part. pass. femm. di rumpĕre “rompere”]. – 1. a. [il rompere o il rompersi] ≈ rottura. ▲ Locuz. prep.: fam., a rotta di collo [a velocità elevata e pericolosa] ≈ a precipizio, a rompicollo, a scavezzacollo, in fretta e furia, precipitosamente. ↔ adagio, lentamente, tranquillamente. b. (fig.) [interruzione brusca di un rapporto: essere in r. con qualcuno] ≈ contrasto, dissidio, lite. 2. (milit.) [sconfitta molto grave: mettere in r. l’esercito nemico] ≈ disfatta, fuga, ritirata, sbandamento, sbaragliamento. ↔ trionfo. ↓ vittoria.

Mantenere la rotta, per alcuni è impossibile. Girano come trottole che a guardarle ti fan venire il mal di testa. Fantasiosi – caotici – ma fantasiosi. Mantenere la rotta, per altri è la normalità. Li potresti cronometrare durante la giornata e scopriresti che non perdono un bit. Bravi – ripetitivi – ma bravi. Per me, invece, è proprio una questione di capire dove diavolo sto andando che la strada mi sembra sempre troppo lunga o troppo tortuosa o troppo qualcosa.

Diamo per scontato che anche se non ci muoviamo stiamo comunque andando da qualche parte e sapere dove mi è sempre sembrata una buona idea. Certo, mancherò di precisione e a volte pure di fantasia, ma son sempre arrivata dove volevo arrivare (al di là dei risultati ottenuti) e questo m’ha sempre dato una certa tranquillità.

Non sono mai andata a rotta di collo, sia mai, la lentezza mi comanda a bacchetta, ma in un certo qual modo mi sono sempre rotta un po’. Mi sono anche riattaccata, ovvio, ma le palle una volta rotte non è che ridiventano sfere – parliamone. Ciclicamente si frantumano e io devo per forza di cose rivedere le coordinate e testare nuove vie.

Stavo pensando che forse è da un po’ che mantengo la stessa rotta – per una serie di decisioni prese con cognizione di causa –  e, forse, potrebbe essere arrivato il momento di deviare di qualche grado per verificare se nel frattempo il paesaggio attorno è cambiato, se c’è qualcosa di interessante a cui mi posso avvicinare. Non lo so, ipotizzo. Ipotizzare al momento è l’unica cosa che mi viene bene, a quanto pare. Già, però, il fatto che mi stia venendo un dubbio è un buon segno, significa che da qualche parte sta suonando una tromba e qualcosa dentro mi si è ridestato. No, ho mangiato leggero, non è quello.

Vabbé, a forza di girare con le parole m’è venuto mal di mare. Forse per oggi è meglio che tiri i remi in barca e mi lasci andare alla deriva. Dritta verso il mio amato letto, ovviamente. Dove sennò?

Buonanotte.

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(342) Emergenza

Emergenza, sembra ormai che tutto sia diventato un’emergenza. Talmente tutto e talmente emergenza che registriamo la cosa come normale e passiamo oltre. Allucinante, vero? Vero, ma facciamo così.

Diamo per scontato che l’emergenza qualcuno la affronterà e che l’emergenza qualcuno la risolverà. Qualcuno. Ebbene, la notizia è che di solito le emergenze noi le affrontiamo ignorandole, sperando che non accada di peggio, ma senza la voglia di evitare concretamente la catastrofe. Al massimo preghiamo, se ci concediamo il lusso, beninteso. Ad ogni modo sarebbe bene ricordarsi come vanno le cose, e non per cattiveria, ma semplicemente perché così le cose devono andare.

Se la terra trema, non smetterà di tremare solo perché lo ha già fatto e noi ci abbiamo già pianto sopra.

Se qualcuno si lancia con un Tir sulla gente che passeggia spensierata, non smetterà di succedere solo perché è già successo e noi siamo già stati traumatizzati abbastanza.

Se qualcuno salta in aria su una mina antiuomo, non smetteranno le mine antiuomo di far saltare in aria Esseri Umani solo perché noi non ci vogliamo pensare.

Emergenza significa condizione di gravissimo rischio, gravissimo pericolo, gravissima minaccia. Si affronta con grande lucidità, preparazione, coraggio, determinazione. E lo si fa per risolvere l’emergenza, per rientrare nella normalità, per ritornare in zona sicurezza.

Emergency lo sa, sa come si fa, sa che deve fare e non delegare a chi non c’è e a chi non vuole esserci. Ecco, ascoltare chi fa e chi c’è per fronteggiare un’emergenza che vogliamo curare è una cosa saggia.

Un’emergenza è per definizione uno stato di cose che ha vita breve, non è fatta per restare, non è fatta per sopravviverci. Un’emergenza lo sa, siamo noi che non vogliamo prenderci la responsabilità di gestirla. Siamo veramente patetici.

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