(211) Mare

C’erano lunghissimi pomeriggi, che tirati fino al tramonto mi facevano diventare le mani grinzose, gli occhi rossi e la pelle scura. Non sarei mai uscita dall’acqua se non per divorarmi un panino o un piatto di pastasciutta. Avevo dieci anni.

Leggera dentro l’acqua, in apnea, nuotavo ad occhi aperti. Nessuna paura.

Quel mare era la mia libertà. Oggi l’ho trasportata in un mare interiore, con un vento solo mio, e non è migliore è solo diverso. Quel mare, però, rimane con me, come impronta di quello che può essere e di quello che deve essere.

Il mare che oggi troppi Esseri Umani conoscono è quello famelico, quello assassino, quello che ti toglie tutto e non puoi impedirgli niente. Non deve essere così, non deve. Non so a quanti mari un Essere Umano deve sopravvivere prima di potersi ritenere salvo, so solo che un mare di troppo può essergli fatale e bisognerebbe fermarlo in tempo.

Non deve essere così, non deve.

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